Eni (ENI) Eni, Descalzi: "Non siamo avvelenatori" (2 lettori)

tontolina

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Eni, Descalzi: "Non siamo avvelenatori"
5 aprile 2016 - 10:53 di FIRSTonline
L'ad del colosso energetico italiano chiarisce: "Sull'inchiesta dei pm di Potenza siamo tranquilli e vogliamo che venga fatta luce" - "Lo stop alle attività estrattive avrà un impatto" . Il cfo Mondazzi apre alla cessione della divisione Gas & Power - Fitch taglia il rating di Eni ad A-.

Eni, Descalzi: "Non siamo avvelenatori"
 

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“Io rovinato per aver fatto il mio dovere. E per aver raccontato i veleni del petrolio in Basilicata prima di tutti”
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Ambiente & Veleni
In un colloquio con Il Fatto Quotidiano lo sfogo di Giuseppe Di Bello, tenente di polizia provinciale ora spedito a fare il custode al museo di Potenza per le sue denunce sull'inquinamento all'invaso del Pertusillo

di Antonello Caporale | 4 aprile 2016
Commenti (206)
Più informazioni su: Basilicata, Eni, Petrolio, Potenza, Puglia
Mi chiamo Giuseppe Di Bello, sono tenente della polizia provinciale ma attualmente faccio il custode del Museo di Potenza. Da sei anni sono stato messo alla guardia dei muri, trasferito per punizione perché ho disonorato la divisa che porto. L’ho disonorata nel gennaio del 2010 quando mi accorgo che la ghiaia dell’invaso del Pertusillo si tinge di un colore opaco. Da bianca che era la ritrovo marrone. Affiora qualche pesciolino morto. L’invaso disseta la Puglia e irriga i campi della Lucania. Decido, nel mio giorno di riposo dal lavoro, di procedere con le analisi chimiche. Evito di far fare i prelievi all’Arpab, l’azienda regionale che tutela la salute, perché non ho fiducia nel suo operato. Dichiara sempre che tutto è lindo, che i parametri sono rispettati e io so che non è così. L’Eni pompa petrolio nelle proprie tasche, e lascia a noi lucani i suoi veleni. Chiedo la consulenza di un centro che sia terzo e abbia tecnologia affidabile e validata. Pago con soldi miei. Infatti le analisi confermano i miei sospetti. C’è traccia robusta di bario, c’è una enorme concentrazione di metalli pesanti, tutti derivati da idrocarburi. E’ in gioco la salute di tutti e scelgo di non attendere, temo che quei documenti in mano alla burocrazia vadano sotterrati, perduti, nascosti. Perciò le analisi le affido a Maurizio Bolognetti, segretario dei radicali lucani, affinchè le divulghi subito. Tutti devono sapere, e prima possibile!



Decido di denunciare i fatti alla magistratura accludendo le analisi che ho fatto insieme a quelle precedenti e ufficiali dell’Arpab molto più ottimistiche e tranquillizzanti ma comunque anch’esse costrette a rilevare delle anomalie. Alla magistratura si rivolge anche l’assessore regionale all’Ambiente che mi denuncia per procurato allarme. Il presidente della Regione, l’attuale sottosegretario alla Salute Vito De Filippo, dichiara pubblicamente che serve il pugno duro. Infatti così sarà. I giudici perquisiscono l’abitazione di Bolognetti alla ricerca delle analisi, che divengono corpo di reato. Io vengo denunciato per violazione del segreto d’ufficio, sospeso immediatamente dall’incarico e dallo stipendio (il prefetto mi revocherà per “disonore” anche la qualifica di agente di pubblica sicurezza) mentre l’invaso del Pertusillo si colora improvvisamente di rosso, con una morìa di pesci impensabile e incredibile. Al termine dei due mesi di sospensione vengo obbligato a consumare le ferie. Parte il procedimento disciplinare, mi contestano la lesione dell’immagine dell’ente pubblico e mi pongono davanti a un’alternativa: andare a fare l’addetto alla sicurezza del museo o attendere a casa la conclusione del processo. E’ un decreto di umiliazione pubblica. Ma non mi conoscono e non sanno cosa farò.


Infatti accetto l’imposizione, vado al museo a osservare il nulla, ma nel tempo libero continuo a fare quel che facevo prima. Costituisco un’associazione insieme a una geologa, una biologa e a un ingegnere ambientale e procedo nelle verifiche volontarie. Vado col canotto sotto al costone che ospita il pozzo naturale dove l’Eni inietta le acque di scarto delle estrazioni petrolifere. In linea d’aria sono cento metri di dislivello. Facciamo le analisi dei sedimenti, la radiografia di quel che giunge sul letto dell’invaso. Troviamo l’impossibile! Idrocarburi pari a 559 milligrammi per chilo, alluminio pari a 14500 milligrammi per chilo. E poi manganese, piombo, nichel, cadmio. E’ evidente che il pozzo dove l’Eni inietta i rifiuti non è impermeabile. Anzi, a volerla dire tutta è un colabrodo!


La striscia di contaminazione giunge fino a Pisticci, novanta chilometri a est, e tracce di radioattività molto superiori al normale e molto pericolose sono rintracciate nei pozzi rurali da dove i contadini traggono l’acqua per i campi, per dissetare gli animali quando non proprio loro stessi. La risposta delle istituzioni è la sentenza con la quale vengo condannato a due mesi e venti giorni di reclusione, che in appello sono aumentati a tre mesi tondi. Decido di candidarmi alle regionali, scelgo il Movimento Cinquestelle. Sono il più votato nella consultazione della base, ma Grillo mi depenna perché sono stato condannato, ho infangato la divisa, sporcato l’immagine della Basilicata. La Cassazione annulla la sentenza (anche se con rinvio, quindi mi attende un nuovo processo). Il procuratore generale mi stringe la mano davanti a tutti. La magistratura lucana ora si accorge del disastro ambientale, adesso sigilla il Costa Molina.
Nessuno che chieda a chi doveva vedere e non ha visto, chi doveva sapere e ha taciuto: e in quest’anni dove eravate? Cosa facevate?”.


 

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Totalgate: Cronaca di un fatto scomparso già nel 2009

L’articolo integrale è qua

Avevo già parlato dello scandalo della Val d’Agri e delle indagini del pm Woodcock relative al caso Total di Corleto Perticaro con le ipotesi di associazione a delinquere ecc. a gennaio del 2009. Un sistema di appalti a vantaggio di Total, il tutto soffocato da stampa e magistratura. Era il dicembre 2008 e fu tutto dirottato verso il caso della “questione morale” con gli arresti di mafiosi minori in quel di Napoli, questione di cui gli intellettuali dei talk show riempirono i palinsesti.

Vi ripresento l’articolo di gennaio 2009, che mi sembra più che mai attuale per il TotalGate soprattutto per capire come si manipolano le informazioni: non solo appalti pilotati quindi, ma media e magistratura anche. Questo perché chi controlla la Total controlla anche la moneta che prendiamo in prestito dal cartello delle banche dealer, poiché i controllori di Total (GBL e CNP, holding di partecipazione) sono in joint venture con BNP Paribas nel controllo di Total, SuezGazdeFrance adesso rinominato Angie, Lafarge e Imerys, di cui tanto ho parlato nei miei articoli passati.
BNP è sia una banca dealer sia una banca che controlla la Banca d’Italia attraverso BNL. BNP è controllata a sua volta anche dalla Francia (17%) oltre ad Axa – partecipazioni incrociate – che controlla a sua volta MPS.
Quindi ciò significa che la Francia attraverso la partecipazione in BNP fa i suoi porci comodi in Italia, assieme ai banchieri che ci strozzano, sia dal punto di vista idrocarburi sia dal punto di vista monetario (banca dealer) ed economico (municipalizzate) e “politico” (Banca d’Italia).




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Totalgate: Cronaca di un fatto scomparso già nel 2009
 

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Non posso però non notare l’assonanza di questa inchiesta con quella del 2008, con fermi ai tempi operati dal capitano Ultimo, quello che arrestò Riina, che portarono anche agli arresti dell’amministratore delegato di Total del tempo, un certo Lionel Levha, Ecole Centrale (Marseille), oggi a capo di Total Kuwait e soprattutto dell’inafferrabile capo progetto J.P. Juguet, poi promosso a capo delle operations Total guarda caso in un area dove gli italiani hanno molti interessi in antitesi con quelli francesi, il nord Africa ovvero la Libya. Per come Juguet è stato difeso facendolo stare fuori dall’Italia e pur anche dall’Europa, puzza molto di DGSE, i servizi segreti francesi. Nel senso, anche Le Figaro sottilmente evidenziò come Juguet pur non residente in Italia, fosse stato comunque indagato dai giudici italiani (?)*, per chi scrive prova provata del tipico atteggiamento neocoloniale gallico quando li becchi con le mani nella marmellata. [Ricordate sempre che storicamente Marsiglia è un bacino d’elezione per le leve degli spioni d’oltralpe].

Ma andiamo a rileggere quanto riportò la stampa su quanto accadde in Val d‘Agri relativamente alle attività considerate ai tempi illecite atte a gestire e finalizzare le concessioni per Total nell’area sede del più grande giacimento di petrolio in territorio europeo continentale.
Infatti la domanda che dovrebbero farsi gli italiani è perché questi giacimenti non siano stati sfruttati da ENI, immaginate per caso che i giacimenti Brent del mare del nord fossero stati inizialmente sfruttati quasi in toto da stranieri, possibile? No di certo. Beh, sappiate che Tempa Rossa è di proprietà di a Total, Shell e Mitsui, ossia due dei tre operatori che operano oggi in conflitto di interessi con l’Italia in Libya, Total appunto e la compagnia inglese. E che come abbiamo visto sopra un gudice aveva anche bloccato le gare che davano a Total carta bianca, penso che alla fine tale giudice non l’abbia avuta vinta se vediamo oggi questi rinnovati problemi…]

Ma dico io, possibile che i nostri giudici non abbiano notato la costante nei 2 scandali?
Ossia un’impresa francese che sembra farsene un baffo di comportarsi in modo potenzialmente e sospettamente illecito nel nostro paese?
L’avessimo fatto noi in Francia ci avrebbero fin dichiarato guerra…
E tutto questo mentre i nostri giudici invece ben indagano sulle sospette tangenti pagate da Saipem in Algeria, chi volete sia stato a documentare i fatti se non i francesi (che di fatto oggi controllano molti degli interessi nEl Paese nordafricano, il presidente algerino Bouteflika e’ stato/e’ ricoverato da anni a Parigi, ndr), guarda caso le indagini si sovrapposero al golpe del 2011.


Ma lasciamo stare i sospetti “complottismi” ed andiamo ai fatti di stampa. Cito dallo scandalo del 2008**:

Un patto corruttivo da 15 milioni di euro tra i dirigenti della Total e gli imprenditori interessati agli appalti per le estrazioni. Secondo l’accusa i dirigenti della società avrebbero favorito l’aggiudicazione degli appalti dei lavori per la realizzazione del Centro Oli di “Tempa Rossa” e per altre attività alla cordata capeggiata dall’imprenditore Ferrara: per l’appalto del Centro Oli, in particolare, sarebbero state addirittura sostituite le buste delle offerte. In cambio sarebbe stato stipulato nel febbraio scorso un accordo commerciale da 15 milioni: tutte le imprese della cordata Ferrara si sarebbero rifornite per cinque anni solo di carburanti e di oli lubrificanti della Total. I dirigenti della società petrolifera, inoltre, sono accusati, in concorso con un funzionario del Comune di Corleto Perticara, in cui ricadono gran parte dei giacimenti petroliferi, di aver imposto condizioni “capestro” di esproprio ad alcuni titolari dei terreni. Questi avrebbero dovuto accettare una somma di poco superiore a 6 euro al metro quadro, totalmente “fuori mercato”, per evitare di doversi accontentare di una indennità di esproprio di soli 2 euro e 50 che, sostiene l’accusa, sarebbe stata concordata tra i manager Total e il funzionario comunale.”.

Notate lo stesso schema presente oggi nello scandalo Guidi, ossia gli stranieri il lavoro sporco lo fanno fare agli italiani con aziende locali ad hoc, peccato che nel 2008 vennero arrestati anche stranieri… Visto che nel 2008 il governo era totalmente diverso dall’attuale non posso non stigmatizzare il minimo comune denominatore tra le due inchieste, Total e la Francia contro gli interessi italiani.

Lasciamo perdere che anche allora i deputati italiani interessati all’ipotetica stecca erano quasi tutti del PD (per inciso il deputato Salvatore Margiotta è stato poi scagionato in Cassazione), il punto non è questo: la radice del problema è che temo che allora come oggi si stiano evidenziando i prodromi di quello che vorrebbe essere un neocolonialismo straniero contro gli interessi italiani, oggi direi neocolonialismo franco-tedesco.



Da una parte la Germania, che cerca con i macro-giochi (austerità a vantaggio solo teutonico) di vincere la grande partita economica sul lungo termine, “vincendo” l’Europa intera (ossia anche e soprattutto annichilendo i competitors manifatturieri come l’Italia e contemporaneamente procrastinando l’inevitabile fine dell’euro, prendendo tempo per finire il lavoro sporco); dall’altra la Francia punta a vincere le partite tattiche ossia cerca di prender spazio in Italia con le aziende ed i progetti, siano esse Total, l’acquisizione di Telecom Italia, l’acquisizione di Galbani per poi spostare la produzione all’estero, il tentativo didi acquisizione di Assicurazioni Generali (via AXA, anche favorendo l’aggregazione triestina con un terzo operatore, …) a valle della prossima elezione di un AD francese, l’acquisizione dei nostri marchi del lusso per poi spostare i valori legati a marchi e goodwill all’estero lasciando in Italia solo le briciole date dalla manifattura ecc. (modello di business per altro copiato in un certo qual modo soprattutto dalle nostre case automobilistiche, guarda caso ci sono radici comuni e/o filo francesi, ndr).

In tutto questo l’Italia perde e diventa, come suggerito dal collega Pecchioli con un neologismo emblematico, un paese cacciavite dove far produrre a basso prezzo spostando i margini veri all’estero. Ovvero una colonia, italiani come popolo che dovrà lavorare a basso costo e non risparmiare, in soldoni il progetto tedesco di 75 anni fa allora come oggi in associazione ai francesi di Petain (come dimostrò Paxton, vedasi il testo “Vichy France”, anche nella versione della Columbia Univ. Press ***):

…pubblicato nel 1972 è stato un lavoro pionieristico. Con questo lavoro Paxton ha distrutto il mito della Resistenza francese ai tedeschi che si è propagato per molti anni dopo la guerra, un racconto forte e inquietante del periodo di Vichy che dimostra come nell’interesse della stabilità il sentimento nazionale francese ha favorito la collaborazione con il regime controllato dai tedeschi

Ma nel caso Total questo scenario si mescola con l’attuale battaglia del Governo italiano in Libya, intelligentemente ci stiamo muovendo con sponda d’oltreoceano [appoggiati dai nostri oriundi] per evitare un nostro intervento armato per riappacificare la Tripolitania, lasciando le colpe del caos libico post-Gheddafi a chi effettivamente ce l’ha (la Francia) ed anzi armando le milizie anti-francesi, ossia libiche (i libici odiano i francesi, visceralmente). E questo dà fastidio a Parigi che ci vede come fumo negli occhi ben sapendo che nessuna colonia può essere veramente tale in presenza dell’opposizione della stragrande maggioranza della gente del posto e di una potenza straniera che all’occorrenza arma i locali: non pensiate che aver sequestrato un nostro peschereccio perché entrava in territorio francese in Liguria alcuni mesi fa sia accaduto per caso (lo stesso trattato di Caen non è stato voluto “per caso” dai francesi).

Ossia, il caso Guidi, la tempistica e lo scandalo al seguito puzzano, eccome. E’ puzza di DGSE, servizi segreti francesi, magari per far cadere un governo italiano scomodo. Scomodo non solo a Parigi ma anche a Berlino – che ultimamente ci vede come un vero pericolo, sempre a criticare l’austerità euro- soprattutto in prossimità del Brexit -, magari attaccandoci sperando di approfittare della debolezza strutturale del nostro dominus d’oltreoceano che visto il semestre pre-elettorale nel secondo mandato con Camere all’opposizione ha un presidente americano relativamente potente con il fine di proteggere gli “amici”, certamente Renzi è stato protetto fino a qui dall’entourage Obamiano.

Certo, post-Brexit per l’asse franco-tedesco pensare di dominare in EU sarà impossibile, ci sarà un altro attore che uscendo dall’Europa certamente chiederà ad altri se vorranno aggregarsi in alternativa al modello berlinese oggi in crisi terminale dopo i disastri greci, dei migranti, dei periferici ecc., personalmente sono praticamente certo che l’Italia prenderà la strada di Londra.

Appunto, tutto torna. Basta aspettare.

Ed ai protervi francesi dico, i conti li facciamo alla fine, fra un annetto.

Jetlag per Mitt Dolcino
 

erbufalo

Forumer attivo
se passi sul fol ci stanno luciominchionne cially cially supercicerciuck e brasviz che ti spiegano per benino.
hihihi
 

tontolina

Forumer storico
se passi sul fol ci stanno luciominchionne cially cially supercicerciuck e brasviz che ti spiegano per benino.
hihihi
il Fol mi bannò nel lontano 2004 senza motivazione
e non si sono più andata

si erano stufati di tontolina
anche se dopo qualche tempo
in privato mi chiesero di iscrivermi con altro nick... NON l'ho fatto.
ciao
 
Azioni ENI oggi: Nel primo trimestre 2016 Eni ha realizzato un utile operativo adjusted di 470 milioni di euro, in calo del 69% rispetto al primo trimestre 2015 a causa della flessione della E&P (-1 miliardo) “determinata dalla significativa riduzione del prezzo del petrolio (-37%)
 

tontolina

Forumer storico
Petrolio e bilanciamento del mercato: solo brutte notizie!
(Pag. 1)

La Redazione | Articolo pubblicato il 23/07/2016 10:00:31
Commodities Trading vi propone, in questo week end, un’interessantissima analisi del greggio condotta da Liam Denning, columnist di Bllomberg… E non sono belle notizie!


Petrolio e bilanciamento del mercato: solo brutte notizie! - Materie Prime - Commoditiestrading

Sono successe un sacco di cose mercoledì scorso e coloro che sperano in un ribilanciamento del mercato del greggio non ricorderanno questa data con gioia, vediamo perchè:

Il colosso dei servizi petroliferi Halliburton, riportando i risultati del secondo trimestre, ha dichiarato che la Rig Count ha toccato il fondo, con il CEO David Lesar che dichiara: “Oggi i nostri clienti stanno pensando a come accrescere il loro business e non sulla sopravvivenza”.

Il ministro dell’energia russo ha dichiarato a Reuters che la possibilità di un’azione volta al taglio delle forniture portata avanti di concerto con l’OPEC è morta e proprio il giorno prima che queste dichiarazioni fossero rese di pubblico dominio gli analisti di Goldman Sachs hanno reso noto che la produzione russa potrebbe, entro il 2018, superare i massimi registrati nel 1987 durante l’era sovietica.

L’A.D. di Aramco ha dichiarato che i prezzi bassi del greggi non avrebbero influenzato la produzione e tantomeno l’IPO in fase di elaborazione.

L’ultima serie di dati diffusa dalla Energy Information Administration ha sottolineato come, a fronte di un calo delle scorte di greggio, le scorte complessive (greggio e raffinati) hanno raggiunto un livello record a ridosso di 1.39 miliardi di barili.




Cosa accomuna tutte queste cose? La competizione! Il surplus di greggio che ha mantenuto i prezzi saldamente al di sotto dei 50 dollari per barile nel corso dell’anno passato è stata indotta dal settore Shale e questo ha innescato la reazione di produttori concorrenti come Russia ed Arabia Saudita.


In breve, il fatto che potremmo trovarci di fronte a 5 milioni di barili giornalieri di nuova fornitura in arrivo da pozzi USA definiti “vecchi” ha di fatto ribaltato il precedente pensiero che vedeva l’OPEC rallentare la produzione in attesa di prezzi più favorevoli.

Il risultato di tutto questo è una vera e propria guerra per la conservazione delle market shares che di fatto congela qualsiasi speranza relativa ad un possibile output freezing, ma quello che realmente affascina nel discorso dei vertici di Halliburton è che la società dichiara raggiunto un bottom nelle attività di trivellazione in ambito Shale nonostante i prezzi si trovino ancora al di sotto dei 50 dollari per barile.
Le ragioni che ci conducono in un contesto di mercato come questo sono molteplici e riguardano le difficoltà che hanno dovuto affrontare ditte come Halliburton schiacciate dai prezzi in caduta libera, ma riguardano anche la capacità di migliorare le tecnologie in essere al fine di migliorare la produttività degli Shale Fields e la capacità straordinaria mostrata dalle ditte di settore nel mantenere profitti in questo tipo di ambiente.
Per essere chiari Halliburton non sta asserendo che la produzione USA è pronta a schizzare in alto ai livelli pre - crisi in quanto i danni subiti non rientreranno in breve periodo e, soprattutto, la contrazione globale negli investimenti sarà causa di un deficit di approvvigionamento entro i prossimi 5 anni, deficit che sarà evitabile solamente nel caso in cui i prezzi salgano abbastanza da incoraggiare gli operatori di settore ad essere maggiormente intraprendenti nelle attività di perforazione.

A questo proposito l’analisi di Halliburton potrebbe essere corretta, ma molto dipenderà dalla solidità della domanda di prodotti raffinati, che attualmente risulta essere lievemente in difficoltà.

Soprattutto il processo di riequilibrio sarà minacciato dalle azioni di stati fortemente legati al greggio come Arabia Saudita e, in minor misura, la Russia: questi stati manifestano una chiara volontà di massimizzare la produzione davanti ad un’industria USA ancora viva e vegeta dopo due anni di crisi.
I tagli alla fornitura non sono attesi tanto in America, ma in altre regioni, in quanto, a fronte di un calo dei rigs USA attivi pari all’80%, altrove lo stesso dato si propone pari a solamente il 40%.

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A questo proposito si attende l’esame dei dati di Schlumberger, elemento che concorrerà a rendere un quadro più chiaro sulla situazione al di fuori degli States.


In aggiunta l’onere di riequilibrare il mercato graverà particolarmente su quegli stati ove i prezzi bassi del greggio hanno implicazioni che vanno ben oltre il mero trading; un occhio di riguardo, a questo proposito, va a Venezuela e Nigeria.

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