1° CRACK.........PARMALAT !!!!!!!!!!!!!!!!!!! (1 Viewer)

SINIBALDO

Forumer attivo
Durante la mia breve assenza per ferie, ho ricevuto diverse richieste
di informazioni sul peggiore "crack" avvenuto nella finanza italiana.

CRACK.........PARMALAT !!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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Il comunicato della Bank of America il 18 dicembre 2003 rivela l’inesistenza del conto corrente da 3,95 miliardi di dollari intestato alla Parmalat e segna il momento del crollo irrimediabile su cui si reggeva il bilancio della multinazionale.

E' l’inizio della crisi del gruppo, una situazione di insolvenza stimata attorno ai 14 miliardi di euro, che a tutt’oggi deve ancora dispiegare tutte le sue conseguenze sulla vita dei lavoratori Parmalat e dell’indotto, sull’economia e sulla finanza nazionale e internazionale.

Pur reputata un’azienda con comportamenti innovativi e a volte spericolati, soprattutto per ciò che riguarda l’indebitamento aziendale, in pochi avrebbero creduto ad una situazione simile.

Si trattava della prima azienda italiana del settore alimentare, ottavo gruppo industriale nazionale, 36000 dipendenti in 30 paesi del mondo, un marchio di fama internazionale.

Contavano su potenti appoggi e legami col mondo della finanza cattolica e dell’Opus Dei, la Parmalat godeva di notevoli appoggi politici grazie ad una strategia di rapporti col potere politico........... finanziando un po’ tutti, a seconda delle convenienze del caso.

Lo scandalo suscitato a livello nazionale e internazionale dalla vicenda è stato enorme; grande rilevanza è stata data agli aspetti "criminosi" e truffaldini dell’attività di "Tanzi e compari"...........!!!!!!!!!!!!!

Falsi in bilancio costruiti con documenti bancari manipolati, false fatturazioni, utilizzo di società fantasma alle isole Cayman per riversare le perdite del gruppo.

Creazione di fondi d’investimento (Epicurum) inesistenti, il supposto "tesoro" che Tanzi nasconderebbe ed infine la necessità di proteggere il risparmio nazionale da ladroni tipo Tanzi e Cragnotti osannati e riveriti dai soliti pennivendoli ............di "ventura" !!!!!!!!!!

L’approccio della stampa nell’analisi è meno ingenuo di quanto sembra; mentre analizzavano in dettaglio gli aspetti del crack, dalla corruzione alle possibili attività criminali che hanno giocato un ruolo tanto cruciale nel funzionamento della Parmalat.

Questi articoli servivano ad un essenziale scopo politico: contribuire ad ostacolare la comprensione e la ricerca delle cause proprio nel momento in cui queste ultime dovevano andare più in profondità.

La questione centrale che neppure viene sollevata e a cui chiaramente non si da risposte è questa: quali sono le forze motrici economiche che hanno creato una situazione in cui la corruzione e le azioni criminose hanno assunto un ruolo così centrale nell’economia ?????

Ciò che segue farà uscire l’analisi dai luoghi comuni basati sull’illegalità dei comportamenti del gruppo dirigente, sull’avidità delle banche e per osservare questioni strutturali che uniscono il caso Parmalat all’intreccio di sviluppo, instabilità e stagnazione tipico della fase attuale del mondo finanziario.

Questo articolo è diviso sostanzialmente in tre parti: nella prima si guarda la dimensione finanziaria della vicenda, nella seconda le dinamiche inerenti il mercato lattierocaseario in cui opera Parmalat e nella terza ad una breve osservazione dei rapporti capitale-lavoro per quello che riguarda lo stabilimento di Collecchio a Parma.

1° Lato finanziario

C’è qualcosa di......... assurdo che un’insolvenza da 14 miliardi di euro, cioè oltre 27000 miliardi di lire " dei quali, secondo i dati riportati nel volume (Parmalat. La grande truffa), 7,7 miliardi sotto forma di obbligazioni che non verranno rimborsate, mentre i restanti 6,3 miliardi circa sarebbero prestiti delle banche e crediti erogati da altri soggetti " possa essere imputata al malefico "genio" di Tanzi e dei suoi tirapiedi Tonna, Zini e compari.

La lunga serie di disastri finanziari ed economici degli anni ’90, i crack aziendali di Enron, Worldcom e altri in USA, Marconi in Inghilterra, Vivendi in Francia, le crisi valutarie-finanziarie del Messico nel 1995, del Sud Est asiatico nel 1997, il crollo argentino del 2001, dicono.............

che vi sono fattori strutturali a monte di tali fenomeni, il primo dei quali è legato alla evoluzione del sistema finanziario e bancario da oltre 20 anni.

Bisogna capire come le grandi banche internazionali e gli operatori dei mercati finanziari conoscessero bene la situazione di Parmalat: "Tanzi assicurava le imprese in vendita e dall’altro chiedeva i fondi per le operazioni, pagando senza batter ciglio quello che le banche le chiedevano di interessi".

Banche, fondi d’investimento, fondi pensione accettavano in sostanza il rischio del finanziamento ad una impresa traballante come Parmalat, non per la pazzia dei loro manager finanziari, ma per le condizioni strutturali in cui operano attualmente i mercati finanziari favorendo una incessante corsa verso i rendimenti e quindi verso i debitori con maggiori interessi da incamerare.

Infatti la causa ultima della crisi sta nelle condizioni generali del credito e dell’offerta di capitali sui mercati liberalizzati dei paesi avanzati, che creano i presupposti per fenomeni di sovraindebitamento e di finanziarizzazione delle attività da parte delle economie in crescita e delle imprese.

Si innesca pertanto una corsa ai rendimenti da parte delle banche e degli investitori finanziari in tutto il mondo sviluppato che riesce solo se si estendono i confini dell’area alla quale essi fanno prestiti, anche a quei paesi esclusi in tempi più restrittivi.

Quali potrebbero essere queste mutate condizioni strutturali che favoriscono la sfrenatezza del capitale finanziario ?

Sinteticamente, si hanno una serie di sviluppi connessi tra loro:

1°) La "deregolamentazione" del settore bancario iniziato in USA e poi in tutto il mondo, con processi che hanno creato enormi aggregati bancari, proprietari di fondi d’investimento, assicurazioni società di rating, ecc

2°) La liberalizzazione della legislazione sulle Borse

3°) La liberalizzazione dei movimenti internazionali di capitali, a partire dal crollo del sistema di Bretton Woods

4°) Le condizioni di “moneta facile”, ............. bassissimi tassi d’interesse in tutto il mondo parallele al processo di liberalizzazione in modo che un fiume di denaro si riversi verso i debitori meno affidabili.

La "Grande Depressione" del 1929 e la "deregulation" del 1980

Per i legami con il caso Parmalat (i cui principali canali di finanziamento si trovavano proprio negli USA) è più istruttivo uno sguardo al processo di liberalizzazione finanziaria statunitense, che si realizza tra gli anni ’80 e la fine degli anni ’90 e che è l'inizio di quello che avviene in Europa e in Italia.

Per quanto riguarda le banche, l’impianto del sistema del credito nel mondo finanziario anglosassone era fino agli anni ’70 improntato alle condizioni definite dal Glass Steagall Act, legge promulgata nel marzo 1933 durante i primi 100 giorni della amministrazione Roosevelt.

La Grande Depressione partita col crollo di Wall Street dell’ottobre 1929 stava distruggendo il sistema finanziario americano, in tre anni oltre 5000 banche erano fallite, trascinando con se imprese, risparmiatori e circa 600.000 mutuatari che persero la casa acquistata col mutuo immobiliare tra il ’29 e il ’32.

La legge imponeva la netta separazione tra banche commerciali e banche d’investimento.

Le prime raccoglievano depositi e svolgevano funzioni di credito ordinario nei confronti delle imprese e dei consumatori ma era loro di fatto impedito di partecipare ad operazioni finanziarie.

Compravendita di titoli in Borsa, assistenza alle emissioni di titoli e fusioni tra imprese, erano riservati invece alle banche d’investimento che si specializzavano nei mercati dei capitali mentre era loro impedito di lavorare nel mercato del credito ordinario.

A livello proprietario le banche commerciali, quelle d’investimento e le aziende assicurative non potevano essere collegate: l’espansione delle grandi banche veniva inoltre ostacolata garantendo spazi di mercato privilegiati alle piccole casse di risparmio locali, in particolare per quanto riguarda i mutui immobiliari.

A queste misure si associavano poi altre regolazioni intese a limitare la concorrenza nel settore bancario come la fissazione di tetti massimi sui depositi fruttiferi, affinché le banche stesse non accendessero la competizione al fine di sottrarre depositi ad altre banche.

Al tempo stesso, al di là del Glass-Steagall Act, la regolazione interessò la Borsa, impedendo l’accesso ad operatori stranieri, regolando le funzioni degli agenti finanziari, fissando commissioni minime fisse, in modo tale da stemperare la concorrenza tra gli operatori ed evitare corse speculative al ribasso o al rialzo che compromettessero la stabilità della Borsa stessa.

In sintesi questo impianto normativo nasceva dall’idea che la grande crisi fosse fondamentalmente un prodotto dell'ingordigia speculativa della grande finanza e che quest’ultima creasse i presupposti per il drammatico allargamento della crisi stessa.

Dunque si delimita nettamente il credito nella sua funzione "produttiva" dal credito in quanto agente finanziario legato alla Borsa; si impedisce inoltre la concentrazione dell’intero sistema in poche banche giganti, garantendo infine la sopravvivenza ai piccoli operatori legati al territorio.

Con la fine degli anni ’70 mutano alcune condizioni di fondo che fino ad allora garantivano la tenuta di quel sistema.

La fine degli accordi di Bretton Woods nel 1973 e l’eliminazione dei rapporti di cambio fissi ma aggiustabili tra le monete mondiali porta all’apertura di un immenso territorio nel quale la speculazione finanziaria può nutrire se stessa, giocando sui differenziali di prezzo che ogni giorno si creano tra le valute mondiali.

Negli anni ’80 l’alleanza tra grande impresa di capitale e sindacati dei lavoratori, che era la base del Partito democratico dai tempi del New Deal, si sgretola e si distrugge.

Riprendono quindi campo le grandi banche e vengono smantellate le regole che impedivano alle grandi banche di invadere il campo di quelle piccole.

Le grandi banche di investimento, penalizzate dalle riforme roosveltiane con la stretta delimitazione dei propri compiti, si propongono come intermediari alternativi alle grandi banche commerciali nei confronti delle grandi imprese americane.

Nel 1999 la deregulation sfalda completamente l’impianto prudenziale del Glass-Steagall Act (mediante il Financial Services Modernization Act), dando il via ad una completa deregolazione del settore e ad una serie di enormi fusioni tra banche, assicurazioni, società di rating e di intermediazione mobiliare.

Per la regolazione delle Borse, fa epoca il cosiddetto "Financial Big Bang", con cui nell’ottobre 1986 viene ampiamente deregolamentata la Borsa londinese, creando un modello di riferimento per la liberalizzazione finanziaria in tutto il mondo.

Si permette la presenza fino al 100% di operatori stranieri nel capitale di un’impresa quotata a Londra, percentuale che fino al 1982 giungeva fino al 10%; vengono aboliti vincoli e limiti alle azioni degli agenti borsistici e il sistema delle commissioni minime, sviluppando la competizione tra gli operatori stessi.

Portando così il volume annuo del giro di affari di Wall Street, ossia la somma delle transazioni azionarie annue, in rapporto al PIL americano da una media del 25% nel periodo 1933-1982 a valori di 150%, 220% e 330% nel 1998, 1999 e 2000.

Da come si è visto sopra, la causa del processo di liberalizzazione finanziaria dei primi anni ’80 è dovuta dalla maggior forza relativa della lobby finanziaria a fronte della debolezza delle coalizioni che ad essa si sono contrapposte.

Ma questo processo di trasformazione della finanza va collegato a quanto avviene a livello di economia produttiva?

I legami esistenti tra la deregulation finanziaria e i problemi di accumulazione e di profittabilità delle grandi corporations: conduce alla caduta del profitto delle imprese nel periodo tra gli anni ’80 e ’90 porta con sé un incentivo sempre più spinto ricercando nella dimensione finanziaria il "recupero" di tale caduta, mediante operazioni finanziarie e borsistiche.

L’impresa da un lato si attrezza per svolgere essa stessa, mediante opportune articolazioni, un ruolo diretto sui mercati finanziari, speculando in proprio, dall’altro partecipa al generale incremento delle quotazioni, guadagnando sul valore dei propri titoli, spesso sostenuto mediante operazioni di riacquisto.

La deregulation nascerebbe da qui, nel tentativo di creare le condizioni di accresciuti profitti finanziari ed è per lo stesso motivo che le richieste di maggiore severità e maggiori controlli sulla finanza e sulle imprese, che regolarmente si alzano dopo ogni disastro, non verranno messe
in pratica............!!!!!!!!!!!!!!!!!!

L’interesse comune dei partecipanti al mercato finanziario è in sostanza quello di favorire in ogni modo l’ascesa dei valori mobiliari, creando un mercato dove la domanda di titoli sia sempre sostenuta.

In condizioni in cui i profitti sempre più prendono la forma di guadagni derivanti da transazioni finanziarie, i mercati richiedono un crescente afflusso di denari che ne sostenga i valori.

Ecco il ruolo sempre più importante dei fondi pensionistici e dei fondi d’investimento.

Il bisogno dei mercati finanziari di espandere l’afflusso dei capitali è uno delle forze motrici che stanno dietro ai cambiamenti nel sistema pensionistico negli USA e altrove.

Alla base di tali cambiamenti il tentativo di vincolare i fondi direttamente ai mercati, con la conseguenza che, come nel caso di Enron, i lavoratori si trovano di fronte alla possibilità che i loro risparmi e i loro redditi futuri vengano spazzati via in un attimo.

Anche in questo caso Parmalat si trovava all’avanguardia, i dati raccolti sono molto parziali, nel senso che sicuramente altri fondi pensione e d’investimento investivano nella Parmalat.

Per il 2003 si aveva l’inglese Hermes, fondo pensione di British Telecom entrato in Parmalat attraverso il braccio operativo Focus Asset Management Europe con un pacchetto del 2% circa.

Nextra, la società di gestione del risparmio del gruppo Banca Intesa anch’essa presente con circa il 2% del capitale azionario Parmalat, che inoltre acquista interamente il bond da 300 milioni di euro emesso dall’azienda di Parma l’11 giugno 2003.

Il fondo pensioni dell’olandese Phillips con il 2,05%; altri 2 fondi USA per conto dei quali Deutsche Bank acquista più del 2% del capitale Parmalat al termine del 2003.

Infine il Fondo pensioni Southern Alaska Carpenters Retirement Trust possessore di bond Parmalat, che a titolo di risarcimento chiede a Collecchio l’astronomica cifra di 1 miliardo di dollari.

(continua)

SINIBALDO
 

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