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CHI COMANDA NELLA CITY

Nei primi anni Novanta c'è stata la stagione delle privatizzazioni, a partire da Ina, Comit, Credito italiano, Imi, Eni.

Poi è seguito il periodo del consolidamento attraverso le fusioni e acquisizioni, dapprima nelle banche (Banca Intesa, Unicredito), poi nelle aziende (vedi Telecom).

Tutte operazioni che hanno contribuito per esempio al successo di persone come Carlo Calabria, che ha fatto carriera al Credit Suisse come capo del settore fusioni e acquisizioni e da aprile 2005 è passato in Merrill Lynch.

Oppure Dante Roscini, 46 anni, uno degli uomini di punta dell'investment banking della City di Londra che, nato in Goldman Sachs, e con alle spalle operazioni importanti (dalle prime privatizzazioni al collocamento Enel,

dagli ultimi aumenti di capitale della Fiat alle ipo della Tod's, De Longhi e Geox), ha lasciato la Merrill Lynch, dove era presidente globale della divisione mercati dei capitali azionari, per passare nel luglio scorso alla Morgan Stanley come senior banker.

Oggi, secondo Mariani, il punto di forza degli italiani è il reddito fisso.

«Per le principali banche d'affari l'Italia questo settore rappresenta uno dei primi tre mercati europei, è inevitabile quindi che cerchino di affidare un settore così rilevante a persone che conoscono il mercato locale».

Insomma, carriere spinte dal business.

Ma non solo.

Perché l'assalto vittorioso alla City dei manager italiani è stato determinato anche da quella che si potrebbe chiamare la necessità di emigrare in massa.

Spiega De Giorgi:
«Purtroppo l'Italia offre pochi posti a chi vuole fare il banchiere d'affari.

La mia alternativa?

Potevo provare a entrare in Mediobanca, ma lì in tutto sono in 300: in Goldman solo a Londra siamo in 5 mila».

Ha ancora senso, per un brillante neolaureato, seguire la strada della City?

Qui i pareri divergono.

Perché se un «senatore» come Costamagna sostiene deciso che Londra è una piazza già iperaffollata e che i giovani dovrebbero guardare altrove, magari verso l'Asia, altri sono più possibilisti.

Dice Mariani:

«Noi come Barclays continuiamo a fare selezione, anche perché il turnover nelle banche d'investimento è abbastanza elevato, dal 5 al 10 per cento, e ogni anno si liberano posti junior».

Inoltre, fanno notare nella City, nessun'altra piazza finanziaria è in grado di fare da scuola a giovani apprendisti.

Ma che Londra sia destinata per i futuri Italian banker a diventare solo una tappa è un dato di fatto.

Insomma, partire dalle rive del Tamigi va bene, ma non bisogna fermarsi lì.

Il futuro?

La Cina, dove stanno insediandosi con grandi appetiti e progetti tutte le banche mondiali.

Per esempio la Goldman Sachs ha aperto ai primi del 2005 a Pechino la Goldman Sachs Gao Hua Securities, in joint-venture con un partner locale. Lì per ora di italiani non ce ne sono, i due responsabili sono uno scozzese che viene dai titoli e un texano che viene dalla banca d'affari.

Ma l'italiano di turno non manca, anche se per ora si muove da Hong Kong.

Si chiama Francesco Pascuzzi, ha 30 anni e dopo varie esperienze è oggi responsabile per l'investment banking nel petrolio e nell'energia in Cina.

E, guarda caso, le grandi privatizzazioni stanno avvenendo, come sempre succede, proprio lì.
(di R.Galvani)
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(FINE)

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