SINIBALDO
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AVRANNO APERTO ANCHE A QUESTO "MODERNO", FLUENTE E DINAMICO BUSINESS MAN UN CONTO.........PRIVILEGIATO ???????
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UN CALOROSO SALUTO A TEXWIN PER LA STIMA E LA FIDUCIA CHE
MI RIPONE !!!!!!!!!!!!
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La risposta l'ha data Silvano Spinelli, anziano ex dirigente della Lodi, uomo di fiducia a tesoriere personale di Fiorani: quelli, ha spiegato, erano i cosiddetti conti privilegiati.
Il meccanismo funzionava così.
Il cliente metteva a disposizione il suo conto, che da quel momento veniva gestito da Spinelli, Gianfranco Boni e altri manager disinvolti.
Sul conto transitava di tutto, dalle operazioni di insider trading alle speculazioni più azzardate.
Periodicamente il cliente incassava le plusvalenze, che però doveva dividere con Fiorani & company.
Ma in cosa consisteva il «privilegio»?
Lo spiega bene l'esame di un'operazione realizzata da Antonio Aiello, consigliere della Efibanca, società controllata dalla Bpi.
Siamo allo scorso febbraio: alla Lodi sono convinti che sia il momento buono per speculare al rialzo sul titolo Autostrade.
Con il conto intestato ad Aiello vengono comprate azioni per un controvalore di 10 milioni di euro (come sempre messi a disposizione dalla banca).
Passa un mese e il titolo ha già perso più del 10 per cento.
I raider della Bassa hanno preso una colossale cantonata e sul conto di Aiello compare una perdita di 1,1 milioni di euro.
Capita.
Del resto, quello di borsa non è forse per definizione un «investimento a rischio»?
A Lodi, no.
Almeno non per i clienti privilegiati della squadra Fiorani.
E infatti quella perdita viene stornata e messa sul groppone della banca.
Cioè di tutti i correntisti non privilegiati.
Insomma, era una pacchia.
Finita con l'arrivo della Guardia di finanza spedita dai magistrati.
Adesso molti privilegiati si mangiano le mani.
E qualcuno rischia di rimetterci più di una penna.
Come per esempio l'ex centrocampista dell'Inter Giampiero Marini, lodigiano, classe 1951, «eroe» del Mundial spagnolo nel 1982, titolare di un conto alla Bipielle Suisse.
O come il milanese Marco Sechi, 58 anni, leader dell'omonimo gruppo immobiliare.
La sua conoscenza con Boni risale al 1991, ma solo dieci anni dopo il dirigente della Lodi gli propone di mettere a disposizione un conto, al
quale viene immediatamente concesso, senza garanzie, un fido di 10 milioni poi saliti a 30, per condurre lucrose operazioni di insider trading.
Certo, lui avrebbe ricevuto, in contanti o in assegni circolari, solo un terzo dei guadagni; ma si trattava comunque di un affare straordinario, che ogni anno, a partire dal 2001, ha fruttato a Sechi centinaia di migliaia di euro.
Intascati senza muovere un dito, e senza rischiare. Finché il giocattolo si è rotto.
Interrogato per la prima volta lo scorso 8 agosto in qualità di testimone, Sechi aveva raccontato ai finanzieri, quasi con sfrontatezza, la sua bella vita fra auto di lusso e battute di caccia al cinghiale nei paesi dell'Est.
Ma quando si è presentato per un secondo interrogatorio, lo scorso 24 ottobre, era mogio come un cane bastonato.
Per forza: nell'intervallo fra i due incontri ravvicinati con le Fiamme gialle Sechi ha ricevuto un avviso di garanzia per riciclaggio, passando così da teste a indagato.
Poi a stretto giro di posta gli è stato recapitato un decreto di sequestro preventivo per 25 milioni di euro.
Infine, ha scoperto che Fiorani e i suoi allegri compagni, prima di essere interdetti dalle cariche e di finire in carcere, avevano trovato il tempo di saccheggiare anche il suo conto.
Risultato, un buco spaventoso: 450 milioni di euro. Ah, la nemesi.
Ma a piangere sui privilegi perduti Sechi non è il solo.
Sono in molti a fargli compagnia.
E fra questi c'è anche Francesco Orsini, titolare di un'azienda agricola che si estende su terreni di proprietà dell'Ospedale Maggiore di Lodi.
Boni gli aveva promesso che avrebbe incassato dal 40 al 70 per cento dei guadagni, e lui aveva messo a disposizione il suo conto.
È finita con un rosso pari a 11 milioni. A Orsini, per consolarsi, non restano che le 150 mucche e le 250 scrofe comprate con i precedenti guadagni.
Sempre, s'intende, che la Finanza non gli sequestri anche l'ultimo frutto dell'illecito profitto. (A.Pergolini e F.Folda)
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