2020 Recessioni USA: i 5 fattori scatenanti individuati da Goldman Sachs

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Recessioni USA: i 5 fattori scatenanti individuati da Goldman Sachs
L’America è entrata spesso in recessione a causa dell’aumento fin troppo repentino dei tassi d’interesse rispetto all’inflazione.
di Chiara Lanari , pubblicato il 21 Gennaio 2020 alle ore 13:59

https://www.investireoggi.it/econom...tori-scatenanti-individuati-da-goldman-sachs/


Gli analisti di Goldman Sachs hanno analizzato le recessioni negli Stati Uniti d’America avvenute durante gli ultimi 100 anni. Una delle più grandi banche d’affari a livello mondiale ha individuato 5 fattori scatenanti, commentando ciascuno di essi in relazione al periodo attuale.

Non è un mistero che gli USA ci sia lo spettro di una possibile recessione, nonostante il buon avvio del mercato azionario in questo inizio di nuovo anno e la durata record della fase di espansione. Bisogna inoltre ricordare che, rispetto a quanto accadeva un tempo, oggi i mercati finanziari possono contare sui fondi di emergenza stanziati dalla Federal Reserve.
Di seguito l’analisi condotta da Goldman Sachs, con i 5 fattori scatenanti più comuni delle recessioni che hanno colpito gli USA nell’ultimo secolo.

1 – Squilibri delle scorte a magazzino
In passato, all’origine delle recessioni USA vi erano gli shock industriali e gli squilibri delle scorte a magazzino. Al giorno d’oggi, tale fattore di rischio può dirsi superato: merito dei miglioramenti a livello tecnologico e alla crescita esponenziale del settore dei servizi a discapito di quello manifatturiero.

2 – Aumento prezzi del petrolio
All’inizio degli anni Settanta gli Stati Uniti caddero in recessione a causa di un’improvvisa impennata dei prezzi del petrolio. Oggi invece gli USA sono tra virgolette vaccinati alle montagne russe del greggio, in virtù degli investimenti compiuti all’inizio del Duemila sulle infrastrutture del settore petrolifero.

3 – Aumento tassi d’interesse sconsiderato
In più di un’occasione, l’America è entrata in recessione a causa dell’aumento fin troppo repentino dei tassi d’interesse rispetto all’inflazione. Anche su questo tema, gli analisti di Goldman Sachs concordano come non vi siano più rischi grazie al netto miglioramento della politica monetaria.

4 – Squilibri finanziari
Nel biennio 2007-2008 gli Stati Uniti entrarono nel periodo conosciuto come la Grande Recessione, causato contemporaneamente da una bolla immobiliare e gli eccessi del credito subprime. In linea teorica, ad oggi non esiste ancora la cura per far fronte a un rischio simile qualora dovesse ripetersi.

5 – Politiche di bilancio
Un ulteriore fattore di rischio attuale secondo G“soldman Sachs è da ricercarsi in un eventuale inasprimento delle politiche di bilancio. Di fatto, come già accaduto nel recente passato, l’amministrazione americana potrebbe trovarsi nella situazione di non essere in grado di formulare politiche corrette sul piano fiscale e sulla spesa pubblica, generando contri sul "tetto del debito” o shutdown governativi, eventi che potrebbero influenzare in maniera negativa la crescita economica.



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mah! il prezzo del petrolio non dovrebbe essere un problema per un paese che ne produce e esporta
gli Usa usando la loro tecnica di distruzione del sottosuolo legalizzata e non censurata sul Gretinismo per produrre petrolio
pratica vietata in quasi tutto il mondo
La tecnica del fracking e il suo impatto ambientale

il prezzo alto del petrolio e' solo un problema di europa e cina
 
per il momento il petrolio scende....
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L'INDICATORE DI BUFFETT - Il grafico (fonte: gurufocus.com) visualizza l' "indicatore preferito" di Buffett, cioè il rapporto tra la CAPITALIZZAZIONE TOTALE e il GDP o PRODOTTO DOMESTICO LORDO (molto simile al GNP). Il ratio è al 157%, la lettura più alta di sempre, superiore anche a quella della bolla dot.com del 2000.
Sul top del 2007, prima della crisi Lehman, il ratio era a 112.
Come si è arrivati a questa oggettiva sopravvalutazione?
Lo spiega benissimo lo stesso Buffett. I tassi di interesse “agiscono sulle valutazioni finanziarie nel modo in cui la gravità agisce sulla materia: maggiore è il tasso, maggiore è l'attrazione verso il basso. Pertanto, se il tasso aumenta, i prezzi di tutti gli altri investimenti devono adeguarsi al ribasso, a un livello che allinea i loro tassi di rendimento attesi. Al contrario, se i tassi diminuiscono, la mossa spinge verso l'alto i prezzi di tutti gli altri investimenti."
By the way, la sua BERKSHIRE non ha mai avuto in pancia tanta liquidità come ora.
Un caso?
 
SPY FINANZA/ Febbraio, un nuovo rischio di tonfo per i mercati
Pubblicazione: 16.01.2020 - Mauro Bottarelli
A febbraio la Fed ridurrà il suo intervento sulle aste term. Il segnale psicologico potrebbe essere negativo per i mercati

Se l’economia Usa è così sana come twitta pressoché quotidianamente Donald Trump, per quale ragione – a vostro avviso – il 97% dei CfO di grandi aziende statunitensi si dice certo dell’entrata in recessione già entro la fine di quest’anno? Non lo dice il sottoscritto in base a qualche strana supposizione, lo conferma l’ultimo sondaggio condotto nientemeno che da un gigante del consulting come Deloitte e pubblicato da Newsweek. E sempre al riguardo, come leggere il fatto che all’interno del medesimo studio demoscopico emerga come il 77% degli interpellati ritenga che il mercato azionario sia chiaramente sovra-valutato?

Segnali inquietanti, fatevelo dire. Per una serie di ragioni che si sostanziano poi in un interrogativo soltanto, catalizzante: la Fed riuscirà a mantenere in vita il “miracolo” (o, più prosaicamente, gioco delle tre carte) posto in essere da metà settembre in poi? E visto il risultato del sondaggio, pare scontato che la risposta sia “no”. Guardate questi due grafici, i quali chiariscono abbastanza platealmente la situazione con cui ci troviamo a relazionarci.

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Il primo sintetizza le ragioni di entrambe le risposte fornite dalla stragrande maggioranza dei CfO interpellati da Deloitte: il mercato azionario, all’interno dei suoi sfavillanti record, ha incorporato e già ampiamente prezzato un rimbalzo enorme delle condizioni macro globali. Rimbalzo che, a oggi e al netto della liquidità immessa, stenta a materializzarsi. Anzi, risulta proprio assente. Prima o poi, il sostegno diretto della Fed si andrà quindi a scontrare con questa realtà base, quasi da primo anno di economia all’università: se le condizioni macro sono pre-recessive, cosa giustifica corsi azionari da golden age? E la risposta sarà da corsa verso un rifugio, poiché toccherà ammettere che si tratta solo del combinato congiunto di espansione dei multipli di utile per azione, buybacks sistematici e poi intervento diretto della Fed. Insomma, emergenza. Prima garantita dall’Isis, poi dallo scontro commerciale con la Cina, poi dalle tensioni in Medio Oriente, poi magari dall’impeachment in vista del voto Usa del 3 novembre prossimo: ma si può vivere di emergenze, solo per garantire dividendi?
La gente, il mitologico “popolo” che Donald Trump voleva riportare alla leva di comando del Paese, mangia dividendi a tavola la sera? Utilizza forse le quotazioni degli indici come coupon da scontare alla cassa del supermarket? La Borsa, parlando in senso ampio e quasi “politico”, ha senso se opera in tandem e come balsamo dell’economia reale, del lavoro, di sviluppo e ricerca: se serve solo per profitto, allora è un casinò. Oltretutto, palesemente truccato.
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Il secondo grafico, poi, spiega perché i rischi stiano salendo giorno dopo giorno. Ci mostra il recente andamento dell’indice Global Risk Demand di Morgan Stanley, vera e propria cartina di tornasole del sentiment che impera sui mercati. Come vedete, siamo passati da un’estrema avversione al rischio solo del 5 agosto 2019 (-3,9) a una massima predisposizione al rischio registrata il 25 ottobre 2019 (+2,34): oggi, segnalata come latest, siamo a +2,32. In area di estremo rischio, fissata quando il livello segnalato supera 2,0.
Cos’è accaduto in un così breve arco temporale per far cambiare drasticamente idea ai partecipanti al mercato?
Cos’è accaduto fra inizio agosto e il 25 ottobre scorsi?
L’intervento della Fed. Prima, il 17 settembre, con il ritorno all’operatività diretta sul mercato con aste term e repo per placare il mercato overnight interbancario, poi dall’11 ottobre anche con il Qe vero e proprio. Se il primo provvedimento aveva riportato l’avversione oltre la neutralità (segnalata dallo 0,0), ecco che la seconda mossa ha fatto schizzare il sentiment in area di estremo rischio. Sintetizzatosi a fine anno nei nuovi record storici, anche per il piccolo Ftse Mib italiano o il tanto vituperato mercato greco. Ma è tutto falso, tutto una sciarada degna di un romanzo di Arthur Schnitzler.

E cosa può accadere ora, nell’anno delle elezioni Usa?
Cosa può tramutare quelle certificazioni demoscopiche di Deloitte in realtà?
Semplice: al netto di un rimbalzo macro che, storicamente, richiede almeno – e sottolineo, almeno – sei mesi di ritardo rispetto ai cicli monetari espansivi e alla dubbia efficacia di questi ultimi, dopo il loro abuso dal 2009 in poi, se la Fed dovesse davvero chiamarsi fuori dal compito che le è stato designato dai manovratori del sistema – ovvero bancomat senza limite di un’azienda amministrata da pazzi -, allora tutto potrebbe sparire in un attimo. Schiantarsi. Nei tg e sui quotidiani autorevoli la chiamerebbero drastica correzione, termine molto tecnico e quasi asettico e chirurgico per evitare di dire semplicemente che il paziente è morto, dopo mesi e mesi di accanimento terapeutico.

Il 14 gennaio, la Federal Reserve di New York ha visto uno propria asta term andare nuovamente in sovra-iscrizione da domanda, il massimo dallo scorso 16 dicembre, come mostra il grafico. Sapete quel giorno la Banca centrale Usa quanta liquidità ha iniettato nel sistema a fine giornata, dopo un’asta term e la solita repo overnight?
Oltre 82 miliardi di dollari.

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Ormai, signori, il sistema finanziario Usa – ovvero, quello globale – campa con un “sussidio” fisso della Fed che varia fra i 50 e gli 80 miliardi al giorno o, massimo, ogni due giorni.
Vi pare sostenibile, questo andazzo?
Dove andrà a finire il bilancio dell’istituto di Jerome Powell, lo stesso che fino allo scorso giugno predicava normalizzazione e dava vita a redemptions di titoli in detenzione andati a scadenza?
E attenzione, perché un primo stress test è alle porte. Vi ho già detto come, non appena le prime maturazioni term siano arrivate alla loro naturale scadenza, il mercato abbia gridato “al lupo, al lupo” e la stessa Fed di New York sia stata costretta agli straordinari, immettendo nel sistema liquidità superiore a quella drenata.
Bene, dopo aver fatto dire al suo vice che per andare incontro alle necessità di finanziamento del primo trimestre di quest’anno l’operatività proseguirà fino almeno a tutto aprile, sempre il 14 gennaio la Federal Reserve rendeva noto che dalla prima asta term del mese di febbraio (4 febbraio, per la precisione), le operazioni sulla liquidità oltre 1 giorno torneranno ad avere controvalore di offerta massima quotidiana di 30 miliardi, in calo dai 35 miliardi imposti emergenzialmente a metà dicembre dalle scadenze di fine anno/trimestre 2019. In valori assoluti, poca cosa ma è il dato psicologico ciò che conta.

Fino a fine gennaio, la dinamica di controvalori in atto – stile vasi comunicanti – sarà infatti quella di 140 miliardi di dollari iniettati sul mercato per “dare il cambio” a 132 che faranno rolling off sulla loro maturazione. Insomma, stabilità assoluta.
Da febbraio, quel controvalore cambia.
Ma le maturazioni non cessano, si rischia quindi di andare in negativo nel saldo fra liquidità immessa e ritirata: quest’ultima, infatti, farà riferimento a quattro asta term di gennaio da 35 miliardi l’una che vanno a maturity, mentre la nuova liquidità di rincalzo sarà basata su quattro aste term da 30 miliardi l’una. Ancorché per pochi miliardi e dopo un diluvio assoluto da metà settembre 2019 a oggi, il segnale avrà un impatto sostanziale. Basterà quel poco di pioggia a far saltare la diga, già oggi scricchiolante?
Stante i risultati del sondaggio di Deloitte, non pare affatto escluso.
Manca poco, staremo a vedere

SPY FINANZA/ Febbraio, un nuovo rischio di tonfo per i mercati
 
per il momento il petrolio scende....
Vedi l'allegato 541096

Greggio in calo per sesto giorno, bilancio vittime virus Cina sale 12:23
LONDRA (Reuters) - I futures sul petrolio si dirigono verso il sesto giorno di fila di ribasso sulla scia dell'aumento del numero delle vittime del coronavirus in Cina, anche se le forti vendite delle ultime sessioni sono limitate dall'interruzione della produzione in Libia e dalle dichiarazioni dell'Opec, pensate per placare i timori sulla domanda. Articolo completo
 
pare che non sia l'aumento del prezzo del petrolio ma

Il petrolio sotto i 30 dollari? In arrivo la tempesta perfetta sui mercati
© Sputnik . Alexei Danichev
Economia
13:11 09.02.2020(aggiornato 19:02 09.02.2020) URL abbreviato



Per gli analisti di Moody's l'epidemia del coronavirus in Cina è un "cigno nero", molto più grave della crisi del 2008. L'economista Gaurav Sharma preferisce definirla "una tempesta perfetta".

Gaurav Sharma ha definito in un suo articolo su Forbes, l'epidemia da coronavirus come una "tempesta perfetta che porterà i prezzi del petrolio al di sotto dei $30 a barile".

L'analista economico del settore petrolifero e del gas evidenzia cinque fattori che potrebbero provocare una tempesta perfetta sul mercato:
  1. Innanzitutto, il principale fattore ribassista è il calo della domanda cinese. Per combattere il coronavirus e controllarlo, Pechino ha messo in quarantena milioni di persone, prolungato le vacanze di Capodanno cinese e chiuso uffici, fabbriche, cantieri navali, centri commerciali, cinema e altri luoghi pubblici. "Ciò probabilmente ridurrà la domanda della Cina, almeno nel primo trimestre, del 18-25%", afferma Gaurav Sharma.
  2. Il secondo fattore è costituito dall'effetto domino della pandemia. L'epidemia si è diffusa in oltre 20 paesi. Una chiara vittima macroeconomica sarebbe l'industria dell'aviazione civile non solo in Cina, ma in tutto il mondo, con meno viaggiatori e maggiori restrizioni. La domanda di carburante è già inferiore per gli aerei in Asia e molte compagnie aeree internazionali che hanno temporaneamente sospeso i voli per la Cina. Secondo Reuters, sulla costa occidentale degli Stati Uniti, i prezzi dei carburanti per jet hanno subito un duro colpo a causa di forniture più economiche provenienti dalla regione dai mercati asiatici.
  3. Il terzo fattore ribassista potrebbe essere la discordia all'interno di OPEC +. Quando le dimensioni della distruzione di domanda di petrolio a causa dell'epidemia di coronavirus si è fatta palese, i rappresentanti dell'OPEC + si sono incontrati, ma non sono riusciti a raggiungere un accordo sulla proposta di approfondire i tagli di 600.000 barili al giorno, dal momento che la Russia ha rifiutato per farlo
  4. Il quarto fattore ribassista è la domanda reale mondiale. Con lo scoppio del coronavirus, tutte le vecchie proiezioni sono inutili e il 2020 può diventare un anno di crescita della domanda insignificante se non addirittura in possibile declino.
  5. Infine, il quinto fattore ribassista è l'offerta. La riduzione dei prezzi influenzerà inevitabilmente l'attività di esplorazione e produzione nei settori marginali.
"Se tutti i fattori ribassisti si allineano, molti lo chiameranno "un cigno nero". io referisco definirlo la tempesta perfetta che farà scendere i prezzi sotto i $ 30", afferma l'autore dell'articolo.
Allo stesso tempo, l'analista aggiunge che forse uno dei cinque fattori non si materializzerà poiché la possibile azione di OPEC+ potrebbe evitare la tempesta. "Tuttavia, anche questo non sarà abbastanza per calmare i forti venti ribassisti che hanno soffiato per cinque settimane consecutive di calo dei prezzi del petrolio", conclude.
 

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