SINIBALDO
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CREDO DI AVER CAPITO CHE.................QUESTA SERA IL TG1, DURANTE
IL SERVIZIO DEL PROCESSO TANZI, HA COMUNICATO CHE................
APPENA IL TITOLO "PARMALAT" ENTRERA' NUOVAMENTE IN ........BORSA
I RISPARMIATORI "TRUFFATI" RICEVERANNO, COME RIMBORSO, UN PARI QUANTITATIVO DI NUOVE ......"AZIONI" A FRONTE DEI LORO "BOND" !!!!!!!!
E' PROPRIO VERO I............"BRIGANTI" PERDONO IL PELO MA NON IL
LORO ATAVICO.........VIZIO !!!!!!!!!!!!!!!!
_________________________________________________
POTERI (MOLTO) FORTI .............L'EPOPEA DI ANTONIO FAZIO !!!!!!!!!
Dieci anni da Governatore
di Massimo Franco
25/10/2002
Rimpiange Cuccia, spera che la Mediobanca torni agli antichi fasti superando «sterili equilibrismi». L'ingresso in politica? Lui replica con il suo motto:«Fa' bene quello che stai facendo».
«Avevo un ottimo rapporto con Enrico Cuccia. Una delle ultime volte che lo incontrai, qui alla Banca d'Italia, parlammo del futuro. Discutemmo di come ridisegnare l'assetto di Mediobanca, conciliando rinnovamento, che ora deve necessariamente esservi, e continuità...
Mi sono occupato di Mediobanca per un preciso dovere legato al mio ruolo istituzionale di governatore, sulla base delle attribuzioni che mi conferisce l'ordinamento, e in funzione degli interessi dell'istituto di credito che è nato e si è sviluppato come espressione innanzitutto del mondo bancario, dell'economia, del Paese.
Vi concorre una sorta di impegno morale nei confronti di Cuccia che ora non c'è più».
Da un po' di tempo, la stima di Antonio Fazio nei confronti del fondatore della Mediobanca è venata da una punta di nostalgia. E a chi ha occasione di incontrarlo, al piano nobile di Palazzo Koch, in via Nazionale, il
governatore della Banca d'Italia non nasconde il dispiacere per avere perso un interlocutore prezioso; né l'intenzione di vigilare sulla Mediobanca come esecutore del testamento non scritto di Cuccia.
Dietro si indovina il disappunto per il modo in cui viene gestito l'ex «salotto buono» della finanza.
Traspaiono le perplessità nei confronti dell'amministratore delegato della Mediobanca, Vincenzo Maranghi, sebbene Fazio non lo nomini mai pubblicamente.
Perplessità che pesano, perché sottolineano i limiti e le crepe del capitalismo italiano; ma anche le difficoltà di una classe politica schiacciata da una situazione economica a dir poco grigia.
«Il problema che già allora si intravedeva» spiega il governatore ai propri ospiti, ricordando i colloqui con Cuccia, «era come sostenere i grandi gruppi industriali italiani; come far sì che Mediobanca, nelle condizioni di oggi, possa svolgere una funzione ancora importante per il sistema imprenditoriale italiano.
Per questo c'era e c'è l'esigenza di tenere unite le banche. E occorrono una rinnovata spinta propulsiva e la capacità di superare individualismi, sterili equilibrismi, manovre di corto respiro».
Sono raccomandazioni fatte a bassa voce, ma sferzanti.
Lasciano intravedere i contorni del silenzioso braccio di ferro fra il suo mondo e quello di Maranghi, custode dello status quo della Mediobanca.
E spiegano perché Fazio sia di nuovo il bersaglio di molti attacchi. Gli avversari dicono che detiene tuttora un potere eccessivo. Parla troppo. Controlla il sistema bancario in modo ferreo.
Peggio, coltiva ambizioni politiche.
Insomma, è considerato ingombrante. Tuttavia, non è più soltanto il sistema economico a sussultare per ogni fruscìo proveniente da Bankitalia.
Da qualche settimana il governo segue con un filo di apprensione le esternazioni di questo signore di 66 anni eternamente vestito in grigio, sposato, padre di cinque figli, succeduto a Carlo Azeglio Ciampi nel maggio del 1993.
E cattolicissimo, al punto che a chi gli chiede quale sia la prima telefonata della giornata, risponde: «La mia giornata inizia con la preghiera».
Il paradosso è che Fazio rispunta come una potente e arcigna figura istituzionale in un'Italia dell'euro che, in teoria, lo dovrebbe avere ridimensionato.
La sua ombra incombe come un presagio di nuovi scenari. Da quando i conti pubblici si sono rivelati meno rosei del previsto, il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, teme che prima o poi il governatore possa essere chiamato a sostituirlo.
Il direttore generale del Tesoro, Domenico Siniscalco, grande imitatore di Fazio, non riesce più a esorcizzare col sorriso la severità dei suoi appunti.
Dopo l'appoggio iniziale e quasi plateale, è stata Bankitalia la prima a segnalare i problemi della politica economica del centrodestra; e a contrastare la riforma di Tremonti, che d'accordo con la Lega di Umberto Bossi voleva trasferire alle regioni il controllo delle fondazioni bancarie.
Silvio Berlusconi è sempre più attento a quei segnali d'allarme, che confermano un'autonomia quasi maniacale. Non bastasse, i nostalgici della Dc continuano a sperare che, prima o poi, il governatore diventi il pifferaio magico della diaspora centrista.
Ma sono riflessi dell'incertezza di questa fase, non spezzoni di un'operazione in fieri.
Fazio si sente chiedere spesso se farà politica. Lui replica con una delle amatissime frasi latine. «“Age quod agis”, fa' bene quello che stai facendo: la mia regola è questa».
Sarà un caso, ma dopo dieci Considerazioni finali, continua a citare Guido Carli. «Carli, che ritengo mio maestro, fece 15 Considerazioni finali come governatore della Banca d'Italia» è solito ricordare.
«La sua, come quella dei suoi illustri successori, fu una scelta assolutamente libera, com'è nella natura della carica». Si capisce che la sua presunta voglia di andare al governo è solo una proiezione dei timori altrui.
La politica gli appare un orizzonte remoto, avvolto in un fumo più denso di quello del suo sigaro toscano. È significativo che citi come amici soprattutto democristiani di lunghissimo corso, in bilico fra presente e passato.
Gli ex presidenti del Consiglio Emilio Colombo e Giulio Andreotti. L'ex capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro. Poi il braccio destro di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, Gianni Letta: oltre tutto, la moglie di Letta, Maddalena, è stata la catechista dei figli di Fazio nella parrocchia di Santa Chiara a Roma.
Ma i rapporti rimangono assidui anche col presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Con un altro ex di Bankitalia come Lamberto Dini.
Con Berlusconi e i ds Massimo D'Alema e Piero Fassino. Col ministro Antonio Marzano.
Naturalmente, Fazio è di casa in Vaticano, anche se quando ne parla si limita a ricordare la consuetudine con l'ex cardinale di Vienna, Franz König, e con il vietnamita Nguyen Van Thuan, scomparso di recente.
Il cuore del suo potere rimane in via Nazionale, nel silenzio del palazzo costruito fra il 1885 e il 1892 dall'architetto romano Gaetano Koch, fra preziosi mappamondi, collezioni di monete antiche, tendaggi pesanti e arazzi fiamminghi.
Alcuni dei suoi migliori amici sono usciti dal «convento laico» di Bankitalia.
Il più citato è il numero uno della Banca di Roma, Cesare Geronzi, bersaglio abituale dei detrattori del governatore. Ma la rete è più larga.
Include anche l'ex presidente dell'Imi, Luigi Arcuti; il presidente di San Paolo-Imi, Rainer Masera; Luigi Bazoli, regista indiscusso di Banca Intesa; e Carlo Salvatori, amministratore delegato dell'Unicredito.
Il bilancio dei quasi dieci anni al vertice di Palazzo Koch è un pezzo di storia d'Italia. «L'anno in cui diventai governatore fu particolare, anche perché c'era Ciampi a Palazzo Chigi» racconta spesso.
«Il secondo anno mi trovai a gestire una situazione complessa: dovetti affrontare gravi difficoltà economiche e difendere l'indipendenza della Banca d'Italia.
Nel '95 si manifestò il rischio concreto che la crisi messicana si diffondesse e diventasse sistemica; la lira si era deprezzata rispetto alla valuta tedesca: 1.270 lire per un marco. Siamo riusciti a scendere a 1.000 lire, sebbene qualcuno forse non se lo ricordi. Poi la politica monetaria è stata decisiva: ha stroncato l'inflazione».
Poi è arrivato l'euro e Fazio è stato additato come lo scettico numero uno sulla moneta unica.
Ma il governatore rivendica di avere lavorato con Ciampi perché si entrasse nel gruppo di testa. «La Banca d'Italia» ribadisce sempre «ha dato un grande contributo, con il suo operare concreto, non con le parole, alla partecipazione alla moneta unica».
Il paradosso è che il potere di Fazio sembra riaffiorare proprio mentre molti considerano al tramonto il ruolo di via Nazionale.
Ma l'iceberg del governatore si puntella sulla base rocciosa del sistema bancario. È a questo che si è dedicato negli ultimi anni.
«Sono stato impegnato» spiega agli interlocutori «a promuovere la ristrutturazione del sistema bancario, che oggi è meno esposto a scalate aggressive e si sta consolidando nel patrimonio, nelle funzioni, nell'operatività, con una riorganizzazione che, per la sua portata, ha precedenti solo negli anni 30».
Non è un bilancio che prelude all'abbandono, però. Anzi.
«Il mio obiettivo, ora» confida ultimamente Fazio «è quello di contribuire allo sviluppo dell'Italia: scioglimento dei nodi strutturali,
crescita e occupazione, migliori e più sicure prospettive per i giovani; superamento delle “due Italie”.
In sei anni la produzione industriale in Europa è cresciuta di circa il 15 per cento, in Italia soltanto del 4. Sono preoccupato, ma fiducioso. Abbiamo le risorse e le intelligenze per il rilancio. Dobbiamo farcela». Sembra un progetto per i prossimi cinque, dieci anni. La promessa, per qualcuno la minaccia, di non farsi da parte.
Forse anche per questo fioccano gli attacchi, le critiche ruvide, i sospetti. Gli ultimi sono arrivati dal presidente della commissione Finanze della Camera Giorgio La Malfa, irritato per un accenno di Fazio alla «contabilità carente» di una Fiat precipitata nella crisi.
«A che serve un governatore» ha chiesto polemicamente La Malfa «se non sa valutare per tempo la situazione del più grande gruppo industriale italiano?».
Poi è toccato, a più riprese, all'ex capo dello Stato, Francesco Cossiga, che pure condivide con Fazio l'amore per San Tommaso d'Aquino.
Cossiga ha definito Bankitalia «una società privata con un governo monocratico dittatoriale a vita, che non risponde a nessuno: il governatore».
E da tempo è un suo accanito avversario Bruno Tabacci, presidente della commissione Attività produttive della Camera. Venerdì 18 ottobre, con un emendamento alla Legge finanziaria, Tabacci ha chiesto di utilizzare le riserve di Bankitalia per coprire il debito pubblico.
L'offensiva, però, è stata respinta da una puntuta precisazione di via Nazionale; e soprattutto, a ruota, da un comunicato della Bce.
Certo, il governatore sa usare i poteri di cui dispone.
Molto cattolicamente, è solito dire che considera «il potere istituzionale un onere, non un motivo di orgoglio.
I miei valori sono innanzitutto quelli che mi ha trasmesso la mia famiglia». Giura di non essere «lavoro-dipendente. Lavoro perché debbo, perché tutti dobbiamo».
Ma lo fa da cinquant'anni: da quando, ragazzino, accompagnava il padre agronomo a misurare i terreni intorno al suo paese, Alvito, in Ciociaria.
Qualcuno ricorda che nel ‘99, incontrando una folla di universitari, disse loro che prevedeva di «lavorare fino a 80 anni»: fino al 2016. La domanda che molti si fanno è: in quale ruolo?
(CONTINUA)
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SINIBALDO
IL SERVIZIO DEL PROCESSO TANZI, HA COMUNICATO CHE................
APPENA IL TITOLO "PARMALAT" ENTRERA' NUOVAMENTE IN ........BORSA
I RISPARMIATORI "TRUFFATI" RICEVERANNO, COME RIMBORSO, UN PARI QUANTITATIVO DI NUOVE ......"AZIONI" A FRONTE DEI LORO "BOND" !!!!!!!!
E' PROPRIO VERO I............"BRIGANTI" PERDONO IL PELO MA NON IL
LORO ATAVICO.........VIZIO !!!!!!!!!!!!!!!!
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POTERI (MOLTO) FORTI .............L'EPOPEA DI ANTONIO FAZIO !!!!!!!!!
Dieci anni da Governatore
di Massimo Franco
25/10/2002
Rimpiange Cuccia, spera che la Mediobanca torni agli antichi fasti superando «sterili equilibrismi». L'ingresso in politica? Lui replica con il suo motto:«Fa' bene quello che stai facendo».
«Avevo un ottimo rapporto con Enrico Cuccia. Una delle ultime volte che lo incontrai, qui alla Banca d'Italia, parlammo del futuro. Discutemmo di come ridisegnare l'assetto di Mediobanca, conciliando rinnovamento, che ora deve necessariamente esservi, e continuità...
Mi sono occupato di Mediobanca per un preciso dovere legato al mio ruolo istituzionale di governatore, sulla base delle attribuzioni che mi conferisce l'ordinamento, e in funzione degli interessi dell'istituto di credito che è nato e si è sviluppato come espressione innanzitutto del mondo bancario, dell'economia, del Paese.
Vi concorre una sorta di impegno morale nei confronti di Cuccia che ora non c'è più».
Da un po' di tempo, la stima di Antonio Fazio nei confronti del fondatore della Mediobanca è venata da una punta di nostalgia. E a chi ha occasione di incontrarlo, al piano nobile di Palazzo Koch, in via Nazionale, il
governatore della Banca d'Italia non nasconde il dispiacere per avere perso un interlocutore prezioso; né l'intenzione di vigilare sulla Mediobanca come esecutore del testamento non scritto di Cuccia.
Dietro si indovina il disappunto per il modo in cui viene gestito l'ex «salotto buono» della finanza.
Traspaiono le perplessità nei confronti dell'amministratore delegato della Mediobanca, Vincenzo Maranghi, sebbene Fazio non lo nomini mai pubblicamente.
Perplessità che pesano, perché sottolineano i limiti e le crepe del capitalismo italiano; ma anche le difficoltà di una classe politica schiacciata da una situazione economica a dir poco grigia.
«Il problema che già allora si intravedeva» spiega il governatore ai propri ospiti, ricordando i colloqui con Cuccia, «era come sostenere i grandi gruppi industriali italiani; come far sì che Mediobanca, nelle condizioni di oggi, possa svolgere una funzione ancora importante per il sistema imprenditoriale italiano.
Per questo c'era e c'è l'esigenza di tenere unite le banche. E occorrono una rinnovata spinta propulsiva e la capacità di superare individualismi, sterili equilibrismi, manovre di corto respiro».
Sono raccomandazioni fatte a bassa voce, ma sferzanti.
Lasciano intravedere i contorni del silenzioso braccio di ferro fra il suo mondo e quello di Maranghi, custode dello status quo della Mediobanca.
E spiegano perché Fazio sia di nuovo il bersaglio di molti attacchi. Gli avversari dicono che detiene tuttora un potere eccessivo. Parla troppo. Controlla il sistema bancario in modo ferreo.
Peggio, coltiva ambizioni politiche.
Insomma, è considerato ingombrante. Tuttavia, non è più soltanto il sistema economico a sussultare per ogni fruscìo proveniente da Bankitalia.
Da qualche settimana il governo segue con un filo di apprensione le esternazioni di questo signore di 66 anni eternamente vestito in grigio, sposato, padre di cinque figli, succeduto a Carlo Azeglio Ciampi nel maggio del 1993.
E cattolicissimo, al punto che a chi gli chiede quale sia la prima telefonata della giornata, risponde: «La mia giornata inizia con la preghiera».
Il paradosso è che Fazio rispunta come una potente e arcigna figura istituzionale in un'Italia dell'euro che, in teoria, lo dovrebbe avere ridimensionato.
La sua ombra incombe come un presagio di nuovi scenari. Da quando i conti pubblici si sono rivelati meno rosei del previsto, il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, teme che prima o poi il governatore possa essere chiamato a sostituirlo.
Il direttore generale del Tesoro, Domenico Siniscalco, grande imitatore di Fazio, non riesce più a esorcizzare col sorriso la severità dei suoi appunti.
Dopo l'appoggio iniziale e quasi plateale, è stata Bankitalia la prima a segnalare i problemi della politica economica del centrodestra; e a contrastare la riforma di Tremonti, che d'accordo con la Lega di Umberto Bossi voleva trasferire alle regioni il controllo delle fondazioni bancarie.
Silvio Berlusconi è sempre più attento a quei segnali d'allarme, che confermano un'autonomia quasi maniacale. Non bastasse, i nostalgici della Dc continuano a sperare che, prima o poi, il governatore diventi il pifferaio magico della diaspora centrista.
Ma sono riflessi dell'incertezza di questa fase, non spezzoni di un'operazione in fieri.
Fazio si sente chiedere spesso se farà politica. Lui replica con una delle amatissime frasi latine. «“Age quod agis”, fa' bene quello che stai facendo: la mia regola è questa».
Sarà un caso, ma dopo dieci Considerazioni finali, continua a citare Guido Carli. «Carli, che ritengo mio maestro, fece 15 Considerazioni finali come governatore della Banca d'Italia» è solito ricordare.
«La sua, come quella dei suoi illustri successori, fu una scelta assolutamente libera, com'è nella natura della carica». Si capisce che la sua presunta voglia di andare al governo è solo una proiezione dei timori altrui.
La politica gli appare un orizzonte remoto, avvolto in un fumo più denso di quello del suo sigaro toscano. È significativo che citi come amici soprattutto democristiani di lunghissimo corso, in bilico fra presente e passato.
Gli ex presidenti del Consiglio Emilio Colombo e Giulio Andreotti. L'ex capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro. Poi il braccio destro di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, Gianni Letta: oltre tutto, la moglie di Letta, Maddalena, è stata la catechista dei figli di Fazio nella parrocchia di Santa Chiara a Roma.
Ma i rapporti rimangono assidui anche col presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Con un altro ex di Bankitalia come Lamberto Dini.
Con Berlusconi e i ds Massimo D'Alema e Piero Fassino. Col ministro Antonio Marzano.
Naturalmente, Fazio è di casa in Vaticano, anche se quando ne parla si limita a ricordare la consuetudine con l'ex cardinale di Vienna, Franz König, e con il vietnamita Nguyen Van Thuan, scomparso di recente.
Il cuore del suo potere rimane in via Nazionale, nel silenzio del palazzo costruito fra il 1885 e il 1892 dall'architetto romano Gaetano Koch, fra preziosi mappamondi, collezioni di monete antiche, tendaggi pesanti e arazzi fiamminghi.
Alcuni dei suoi migliori amici sono usciti dal «convento laico» di Bankitalia.
Il più citato è il numero uno della Banca di Roma, Cesare Geronzi, bersaglio abituale dei detrattori del governatore. Ma la rete è più larga.
Include anche l'ex presidente dell'Imi, Luigi Arcuti; il presidente di San Paolo-Imi, Rainer Masera; Luigi Bazoli, regista indiscusso di Banca Intesa; e Carlo Salvatori, amministratore delegato dell'Unicredito.
Il bilancio dei quasi dieci anni al vertice di Palazzo Koch è un pezzo di storia d'Italia. «L'anno in cui diventai governatore fu particolare, anche perché c'era Ciampi a Palazzo Chigi» racconta spesso.
«Il secondo anno mi trovai a gestire una situazione complessa: dovetti affrontare gravi difficoltà economiche e difendere l'indipendenza della Banca d'Italia.
Nel '95 si manifestò il rischio concreto che la crisi messicana si diffondesse e diventasse sistemica; la lira si era deprezzata rispetto alla valuta tedesca: 1.270 lire per un marco. Siamo riusciti a scendere a 1.000 lire, sebbene qualcuno forse non se lo ricordi. Poi la politica monetaria è stata decisiva: ha stroncato l'inflazione».
Poi è arrivato l'euro e Fazio è stato additato come lo scettico numero uno sulla moneta unica.
Ma il governatore rivendica di avere lavorato con Ciampi perché si entrasse nel gruppo di testa. «La Banca d'Italia» ribadisce sempre «ha dato un grande contributo, con il suo operare concreto, non con le parole, alla partecipazione alla moneta unica».
Il paradosso è che il potere di Fazio sembra riaffiorare proprio mentre molti considerano al tramonto il ruolo di via Nazionale.
Ma l'iceberg del governatore si puntella sulla base rocciosa del sistema bancario. È a questo che si è dedicato negli ultimi anni.
«Sono stato impegnato» spiega agli interlocutori «a promuovere la ristrutturazione del sistema bancario, che oggi è meno esposto a scalate aggressive e si sta consolidando nel patrimonio, nelle funzioni, nell'operatività, con una riorganizzazione che, per la sua portata, ha precedenti solo negli anni 30».
Non è un bilancio che prelude all'abbandono, però. Anzi.
«Il mio obiettivo, ora» confida ultimamente Fazio «è quello di contribuire allo sviluppo dell'Italia: scioglimento dei nodi strutturali,
crescita e occupazione, migliori e più sicure prospettive per i giovani; superamento delle “due Italie”.
In sei anni la produzione industriale in Europa è cresciuta di circa il 15 per cento, in Italia soltanto del 4. Sono preoccupato, ma fiducioso. Abbiamo le risorse e le intelligenze per il rilancio. Dobbiamo farcela». Sembra un progetto per i prossimi cinque, dieci anni. La promessa, per qualcuno la minaccia, di non farsi da parte.
Forse anche per questo fioccano gli attacchi, le critiche ruvide, i sospetti. Gli ultimi sono arrivati dal presidente della commissione Finanze della Camera Giorgio La Malfa, irritato per un accenno di Fazio alla «contabilità carente» di una Fiat precipitata nella crisi.
«A che serve un governatore» ha chiesto polemicamente La Malfa «se non sa valutare per tempo la situazione del più grande gruppo industriale italiano?».
Poi è toccato, a più riprese, all'ex capo dello Stato, Francesco Cossiga, che pure condivide con Fazio l'amore per San Tommaso d'Aquino.
Cossiga ha definito Bankitalia «una società privata con un governo monocratico dittatoriale a vita, che non risponde a nessuno: il governatore».
E da tempo è un suo accanito avversario Bruno Tabacci, presidente della commissione Attività produttive della Camera. Venerdì 18 ottobre, con un emendamento alla Legge finanziaria, Tabacci ha chiesto di utilizzare le riserve di Bankitalia per coprire il debito pubblico.
L'offensiva, però, è stata respinta da una puntuta precisazione di via Nazionale; e soprattutto, a ruota, da un comunicato della Bce.
Certo, il governatore sa usare i poteri di cui dispone.
Molto cattolicamente, è solito dire che considera «il potere istituzionale un onere, non un motivo di orgoglio.
I miei valori sono innanzitutto quelli che mi ha trasmesso la mia famiglia». Giura di non essere «lavoro-dipendente. Lavoro perché debbo, perché tutti dobbiamo».
Ma lo fa da cinquant'anni: da quando, ragazzino, accompagnava il padre agronomo a misurare i terreni intorno al suo paese, Alvito, in Ciociaria.
Qualcuno ricorda che nel ‘99, incontrando una folla di universitari, disse loro che prevedeva di «lavorare fino a 80 anni»: fino al 2016. La domanda che molti si fanno è: in quale ruolo?
(CONTINUA)
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