SINIBALDO
Forumer attivo
9°Puntata
La natura giuridica della Banca d'Italia
Si è già posto in rilievo che, nonostante l'esplicita formula adoperata dalla legge, secondo cui la banca d'Italia è Istituto di Diritto Pubblico, tuttavia la organizzazione interna ricalca sostanzialmente quella che è propria di una società per azioni.
Infatti gli Organi Amministrativi e di Controllo, come avviene nelle suddette società, sono nominati dall'Assemblea Generale dei "partecipanti": in particolare il Consiglio Superiore, che poi provvede a nominare tra i propri componenti il Comitato, il Governatore, il Direttore Generale e i due vice Direttori Generali.
L'approvazione della nomina delle cariche monocratiche (come pure la loro revoca) da parte del potere politico (come prevede l'art. 19, sesto comma, dello statuto), lungi dal costituire una significativa ingerenza politica limitativa dell'autonomia e della indipendenza della banca d'Italia (e quindi in palese contraddizione con queste, che sono i pilastri su cui si regge l'istituto), appare piuttosto rivestire, in concreto, tutti i caratteri di un mero visto di legittimità;
è vero che la legge fa riferimento all'istituto dell'approvazione ("le nomine e le revoche debbono essere approvate"), e quindi ad una valutazione da parte dell'autorità governativa della nomina (o della revoca), rivolta peraltro ad influire non sulla validità quanto sulla sua efficacia; ma è anche vero che, sul piano meramente fattuale, il controllo del Governo si limita ad accertare soltanto se la nomina (o la revoca) sia aderente alla legge.
Deve poi aggiungersi che, oltre alla organizzazione interna, contribuisce in modo decisivo a ritenere che la banca d'Italia sia di fatto ricalcata su una società per azioni la posizione dei suoi "partecipanti", perché costoro, come appunto gli azionisti di una società per azioni, hanno diritto non solo al rendiconto annuale della gestione sulla base del bilancio (da sottoporsi all'approvazione dell'assemblea), ma anche (e ciò costituisce un elemento di giudizio decisamente risolutivo) alla partecipazione all'utile della gestione ed ai frutti derivanti dall'investimento delle riserve.
Queste innegabili analogie di struttura organizzativa della banca Centrale e di posizione giuridica dei suoi "partecipanti" consentono senza dubbio di negare, malgrado l'esplicita dichiarazione della norma, la natura di ente pubblico della Banca stessa, e di riconoscerle quella di società commerciale (per azioni), sia pure sottoposta per determinati aspetti a principi particolari (per esempio con riferimento alla titolarità delle quote ed al loro regime di circolazione). Una cosa è certa: non può essere minimamente attribuita alla formula scelta dal legislatore una rilevanza decisiva, anche perché in altri punti dello stesso decreto del 1936 questa stessa scelta si è rivelata erronea nei confronti di banche di interesse nazionale, che furono qualificate banche di diritto pubblico, sebbene siano unanimemente considerate come società private, anche se soggette a principi particolari.
La considerazione che i fini istituzionali dell'ente in esame sono stabiliti con legge e, come tali, sono obbligatori agli stessi partecipanti, e non da loro modificabili per mezzo di una deliberazione assembleare, non può giustificare la tesi che quell'ente sia dunque di diritto pubblico.
Il nostro ordinamento giuridico, infatti, riconosce ammissibile che una società privata sia concessionaria di un pubblico servizio o sia investita di una pubblica funzione;
è proprio in tale quadro che si muove la banca d'Italia, la quale, oltre all'attività propriamente bancaria (pur con delle limitazioni), esercita il servizio di tesoreria per lo Stato, come concessionaria di pubblico servizio e di emissione della carta-moneta, come investita di pubblica funzione.
In conclusione la banca Centrale deve essere riconosciuta come ente privato, atteggiato strutturalmente come una società per azioni, cui è stata affidata in esercizio esclusivo la funzione statale della emissione di carta moneta, e concesso il pubblico servizio di tesoreria per lo Stato (oltre, come si è detto, all'attività propriamente bancaria).
Questi fini di natura pubblica la banca d'Italia assolve in piena autonomia e indipendenza, ritraendone gli utili e i frutti, che divide tra i "partecipanti" come una società per azioni.
(continua)
SINIBALDO
La natura giuridica della Banca d'Italia
Si è già posto in rilievo che, nonostante l'esplicita formula adoperata dalla legge, secondo cui la banca d'Italia è Istituto di Diritto Pubblico, tuttavia la organizzazione interna ricalca sostanzialmente quella che è propria di una società per azioni.
Infatti gli Organi Amministrativi e di Controllo, come avviene nelle suddette società, sono nominati dall'Assemblea Generale dei "partecipanti": in particolare il Consiglio Superiore, che poi provvede a nominare tra i propri componenti il Comitato, il Governatore, il Direttore Generale e i due vice Direttori Generali.
L'approvazione della nomina delle cariche monocratiche (come pure la loro revoca) da parte del potere politico (come prevede l'art. 19, sesto comma, dello statuto), lungi dal costituire una significativa ingerenza politica limitativa dell'autonomia e della indipendenza della banca d'Italia (e quindi in palese contraddizione con queste, che sono i pilastri su cui si regge l'istituto), appare piuttosto rivestire, in concreto, tutti i caratteri di un mero visto di legittimità;
è vero che la legge fa riferimento all'istituto dell'approvazione ("le nomine e le revoche debbono essere approvate"), e quindi ad una valutazione da parte dell'autorità governativa della nomina (o della revoca), rivolta peraltro ad influire non sulla validità quanto sulla sua efficacia; ma è anche vero che, sul piano meramente fattuale, il controllo del Governo si limita ad accertare soltanto se la nomina (o la revoca) sia aderente alla legge.
Deve poi aggiungersi che, oltre alla organizzazione interna, contribuisce in modo decisivo a ritenere che la banca d'Italia sia di fatto ricalcata su una società per azioni la posizione dei suoi "partecipanti", perché costoro, come appunto gli azionisti di una società per azioni, hanno diritto non solo al rendiconto annuale della gestione sulla base del bilancio (da sottoporsi all'approvazione dell'assemblea), ma anche (e ciò costituisce un elemento di giudizio decisamente risolutivo) alla partecipazione all'utile della gestione ed ai frutti derivanti dall'investimento delle riserve.
Queste innegabili analogie di struttura organizzativa della banca Centrale e di posizione giuridica dei suoi "partecipanti" consentono senza dubbio di negare, malgrado l'esplicita dichiarazione della norma, la natura di ente pubblico della Banca stessa, e di riconoscerle quella di società commerciale (per azioni), sia pure sottoposta per determinati aspetti a principi particolari (per esempio con riferimento alla titolarità delle quote ed al loro regime di circolazione). Una cosa è certa: non può essere minimamente attribuita alla formula scelta dal legislatore una rilevanza decisiva, anche perché in altri punti dello stesso decreto del 1936 questa stessa scelta si è rivelata erronea nei confronti di banche di interesse nazionale, che furono qualificate banche di diritto pubblico, sebbene siano unanimemente considerate come società private, anche se soggette a principi particolari.
La considerazione che i fini istituzionali dell'ente in esame sono stabiliti con legge e, come tali, sono obbligatori agli stessi partecipanti, e non da loro modificabili per mezzo di una deliberazione assembleare, non può giustificare la tesi che quell'ente sia dunque di diritto pubblico.
Il nostro ordinamento giuridico, infatti, riconosce ammissibile che una società privata sia concessionaria di un pubblico servizio o sia investita di una pubblica funzione;
è proprio in tale quadro che si muove la banca d'Italia, la quale, oltre all'attività propriamente bancaria (pur con delle limitazioni), esercita il servizio di tesoreria per lo Stato, come concessionaria di pubblico servizio e di emissione della carta-moneta, come investita di pubblica funzione.
In conclusione la banca Centrale deve essere riconosciuta come ente privato, atteggiato strutturalmente come una società per azioni, cui è stata affidata in esercizio esclusivo la funzione statale della emissione di carta moneta, e concesso il pubblico servizio di tesoreria per lo Stato (oltre, come si è detto, all'attività propriamente bancaria).
Questi fini di natura pubblica la banca d'Italia assolve in piena autonomia e indipendenza, ritraendone gli utili e i frutti, che divide tra i "partecipanti" come una società per azioni.
(continua)
SINIBALDO