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Banned
Sono trascorsi quasi sei mesi dal crack Lehman Brothers e oltre diciotto dalla prima crisi di Northern Rock. Tempo prezioso perso in modo irresponsabile e pericoloso, ha lamentato ieri mattina sul Financial Times un grande vecchio della politica americana: James Baker, segretario al Tesoro con Ronald Reagan, segretario di Stato con Bush padre. Un uomo di Stato che non ha mai perso facilmente la pazienza. Nel gennaio 1991, dopo aver speso due interi giorni nel negoziato finale con Tarek Aziz al fine di scongiurare la prima guerra del Golfo, concesse un'ora supplementare di silenzio al tavolo, sperando che il ministro degli Esteri di Saddam Hussein gli fornisse un appiglio minimo. Non accadde e pochi giorni dopo Baghdad era sotto bombardamento. Invece il Giappone, ha ricordato ieri Baker, soffre ancora per un intero «decennio perduto» (espressione già adottata dai libri di storia) perché a metà degli anni '90 non ebbe la stessa paziente fermezza con le sue banche: che erano in realtà insolventi (e non solo illiquide), a causa dello scoppio della bolla immobiliare; ma che furono mantenute per mesi e anni nella condizione di "zombie" da interventi pubblici incerti, insufficienti, mascherati. E l'uso errato delle successive politiche di stimolo (subito corrette con aumenti depressivi dell'imposizione fiscale) fece il resto nell'atterrare la prima tra le "tigri" asiatiche. Ma alla base ci fu la connivente tolleranza del Governo e delle autorità di vigilanza con il sistema bancario in crisi, al centro di un paese tra i meno trasparenti nel mercato e nell'articolazione istituzionale.
Proprio quando il Financial Times andava in edicola a Londra, ieri mattina, il Nikkei aveva registrato a Tokyo l'ennesimo scrollone (-3,8%) : il primo di un nuovo "lunedì nero" che ha portato nel finale il Dow Jones (-4,6%) ai suoi minimi da 12 anni (cioè sulle posizioni di partenza della lunga rincorsa culminata nella bolla Internet al giro di boa del 2000), senza tralasciare di assegnare a Piazza Affari (-6%) la maglia nera tra le Borse europee. Cos'ha pesato di più? In Giappone, si è detto, il crollo delle vendite di auto: ma questo non è che uno dei tanti contraccolpi congiunturali della crisi finanziaria degenerata. In Italia - come nel resto del Vecchio Continente - è stata forte la delusione per il completo fallimento del vertice domenicale della Ue, voluto dai Paesi della Nuova Europa alla ricerca di aiuti finanziari d'emergenza. Ma ancora una volta, alla radice, c'è la debolezza di un sistema bancario esposto verso le economie dell'Est (e il fenomeno non risparmia due campioni italiani come Intesa Sanpaolo e UniCredit): ma queste, a loro volta, sono state messe in ginocchio dal collasso finanziario e quindi dalla recessione. Intanto a Londra la più grande banca europea (Hsbc) è crollata dopo aver annunciato al mercato la necessità di 18 miliardi di sterline di nuovi capitali. Come se non bastasse, in America è tornata la paura attorno ad Aig, il colosso assicurativo già salvato una volta con fondi pubblici nelle drammatiche settimane autunnali: ora la cassaforte pensionistica e sanitaria di milioni d americani avrebbe bisogno -pare - di altri 30 miliardi di dollari, ma l'incertezza regna sovrana. Ecco perché anche Baker ha perso la pazienza: perfino riguardo la gestione della prima fase della crisi, quando a fine 2008 alla Casa Bianca c'era ancora il figlio del "suo" presidente Bush.
Per il vecchio tecnocrate la ricetta è, anzi: resta semplice, anche se è dura da applicare. Governi e banche centrali (negli Usa ma anche in Europa e in Asia) devono trovare il coraggio di selezionare gli intermediari finanziari in tre gruppi: quelli sani, quelli curabili e quelli "senza speranza" (gli "zombie"). Questi ultimi vanno lasciati fallire senza indugio e senza riguardo per manager e azionisti; con tutte le tutele previste per i depositanti e con una calibrata attenzione verso gli obbligazionisti, al fine di evitare eccessivi squilibri sui mercati dei titoli a reddito fisso, privati e pubblici. Le banche in difficoltà ma con prospettive di risanamento giudicate tali dalle autorità creditizie vanno aiutate nell'azione di ripatrimonializzazione anche con interventi pubblici temporanei, ma preferibilmente agevolando l'afflusso di capitali privati ("private equity"). Anche in questo caso, ovviamente, nessun riguardi indebito dev'essere riservato ai banchieri che non hanno gestito con prudenza e agli azionisti che non ne hanno controllato la propensione al rischio. Queste banche devono essere privatizzate velocemente per ripristinare la concorrenza con quelle sane sui mercati finanziari. Fino a che quet'operazione - apparentemente semplice . non sarà realizzata, è purtroppo prevedibile che i "lunedì neri" continueranno ad alternersi ai martedì e i mercoledì ai venerdì.
La fuga dalle banche - blue chips per eccellenza del listini - mette in difficoltà le Borse ma si ritorce a spirale sulle stesse banche esposte verso le Borse. I due circuiti finanziari portanti e fortemente interconnessi - quello creditizio e quello dei mercati - s'indeboliscono e s'inaridiscono a vicenda. A un estremo, il risparmiatore colpita dalle perdite non presta né investe più ed è inevitabilmente portato anche a consumare di meno: ammesso che abbia ancora un reddito. Sull'altro lato, l'impresa produttiva si ritrova a corto di credito ed è messa sotto pressione economica dalla bassa domanda; e se è quotata in Borsa, viene trascinata nel vortice dei prezzi calanti. E l'immagine di debolezza è enfatizzata quando annuncia tagli produttivi e occupazionali. Da ultimo, ci ha ricordato Baker, l'implosione dei mercati, apparentemente senza fine, è ormai assai più un problema politico che economico-finanziario. La trasparenza della finanza - diversamente da quanto profetizzato - non è intrinseca al mercato stesso: non è vero, nel mondo reale, che la banca buona scaccia sempre quella cattiva. E se sui mercati rimane "la notte in cui tutte le banche sono nere", gli zombie finanziari continueranno a terrorizzare le Borse.
Per gentile concessione de ilsussidiario.net - ®Tutti i diritti riservati
Proprio quando il Financial Times andava in edicola a Londra, ieri mattina, il Nikkei aveva registrato a Tokyo l'ennesimo scrollone (-3,8%) : il primo di un nuovo "lunedì nero" che ha portato nel finale il Dow Jones (-4,6%) ai suoi minimi da 12 anni (cioè sulle posizioni di partenza della lunga rincorsa culminata nella bolla Internet al giro di boa del 2000), senza tralasciare di assegnare a Piazza Affari (-6%) la maglia nera tra le Borse europee. Cos'ha pesato di più? In Giappone, si è detto, il crollo delle vendite di auto: ma questo non è che uno dei tanti contraccolpi congiunturali della crisi finanziaria degenerata. In Italia - come nel resto del Vecchio Continente - è stata forte la delusione per il completo fallimento del vertice domenicale della Ue, voluto dai Paesi della Nuova Europa alla ricerca di aiuti finanziari d'emergenza. Ma ancora una volta, alla radice, c'è la debolezza di un sistema bancario esposto verso le economie dell'Est (e il fenomeno non risparmia due campioni italiani come Intesa Sanpaolo e UniCredit): ma queste, a loro volta, sono state messe in ginocchio dal collasso finanziario e quindi dalla recessione. Intanto a Londra la più grande banca europea (Hsbc) è crollata dopo aver annunciato al mercato la necessità di 18 miliardi di sterline di nuovi capitali. Come se non bastasse, in America è tornata la paura attorno ad Aig, il colosso assicurativo già salvato una volta con fondi pubblici nelle drammatiche settimane autunnali: ora la cassaforte pensionistica e sanitaria di milioni d americani avrebbe bisogno -pare - di altri 30 miliardi di dollari, ma l'incertezza regna sovrana. Ecco perché anche Baker ha perso la pazienza: perfino riguardo la gestione della prima fase della crisi, quando a fine 2008 alla Casa Bianca c'era ancora il figlio del "suo" presidente Bush.
Per il vecchio tecnocrate la ricetta è, anzi: resta semplice, anche se è dura da applicare. Governi e banche centrali (negli Usa ma anche in Europa e in Asia) devono trovare il coraggio di selezionare gli intermediari finanziari in tre gruppi: quelli sani, quelli curabili e quelli "senza speranza" (gli "zombie"). Questi ultimi vanno lasciati fallire senza indugio e senza riguardo per manager e azionisti; con tutte le tutele previste per i depositanti e con una calibrata attenzione verso gli obbligazionisti, al fine di evitare eccessivi squilibri sui mercati dei titoli a reddito fisso, privati e pubblici. Le banche in difficoltà ma con prospettive di risanamento giudicate tali dalle autorità creditizie vanno aiutate nell'azione di ripatrimonializzazione anche con interventi pubblici temporanei, ma preferibilmente agevolando l'afflusso di capitali privati ("private equity"). Anche in questo caso, ovviamente, nessun riguardi indebito dev'essere riservato ai banchieri che non hanno gestito con prudenza e agli azionisti che non ne hanno controllato la propensione al rischio. Queste banche devono essere privatizzate velocemente per ripristinare la concorrenza con quelle sane sui mercati finanziari. Fino a che quet'operazione - apparentemente semplice . non sarà realizzata, è purtroppo prevedibile che i "lunedì neri" continueranno ad alternersi ai martedì e i mercoledì ai venerdì.
La fuga dalle banche - blue chips per eccellenza del listini - mette in difficoltà le Borse ma si ritorce a spirale sulle stesse banche esposte verso le Borse. I due circuiti finanziari portanti e fortemente interconnessi - quello creditizio e quello dei mercati - s'indeboliscono e s'inaridiscono a vicenda. A un estremo, il risparmiatore colpita dalle perdite non presta né investe più ed è inevitabilmente portato anche a consumare di meno: ammesso che abbia ancora un reddito. Sull'altro lato, l'impresa produttiva si ritrova a corto di credito ed è messa sotto pressione economica dalla bassa domanda; e se è quotata in Borsa, viene trascinata nel vortice dei prezzi calanti. E l'immagine di debolezza è enfatizzata quando annuncia tagli produttivi e occupazionali. Da ultimo, ci ha ricordato Baker, l'implosione dei mercati, apparentemente senza fine, è ormai assai più un problema politico che economico-finanziario. La trasparenza della finanza - diversamente da quanto profetizzato - non è intrinseca al mercato stesso: non è vero, nel mondo reale, che la banca buona scaccia sempre quella cattiva. E se sui mercati rimane "la notte in cui tutte le banche sono nere", gli zombie finanziari continueranno a terrorizzare le Borse.
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