FORTEBRACCIO
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E ora chi glielo spiega al parlamentare che deve abbandonare il Palazzo?
Chi ci va da quell’esercito di quasi mille persone che ci rappresentano tra Camera (630) e Senato (322) e che è lì lì per andare a casa?
E che dopo solo diciotto mesi di onorato lavoro ora corrono il rischio di non venire ricandidati e, soprattutto, di non ricevere la pensione?
È una dura vita quella del peone, cioè quel politico non famoso, deputato o senatore, che per circa 17 mila euro al mese (centesimo più centesimo meno) è “costretto” ogni martedì a lasciare la famiglia per andare a Roma, sedersi in Parlamento fino a giovedì, se non addirittura al venerdì mattina.
Il dramma di molti di loro (soprattutto i novizi, alla prima legislatura) si è materializzato giovedì sera, dopo la sfiducia del governo Prodi in Senato.
Caduto il governo, che si fa?
Governo di transizione o mandare il Paese alle urne?
Fosse questa la decisione del presidente Napolitano, si interromperebbe la legislatura prima di due anni e mezzo e non scatterebbe l’indennizzo della pensione: un minimo garantito di 2362 euro netti, ottenuti al traguardo dei due anni, sei mesi e un giorno di vita parlamentare.
Basta che per i rimanenti mesi di legislatura (massimo trenta, quindi) l’onorevole, anche se ormai ex, continui a versare di tasca propria 1006 euro di contributo previdenziale.
Insomma, circa quattrocento neoeletti, tra deputati e senatori, vedrebbero sfumare l’emolumento se Silvio Berlusconi non siglerà l’accordo che Pd gli propone: andare a votare dopo aver fatto una nuova legge elettorale.
Certo, i big come Prodi e Veltroni spiegano che una nuova legge elettorale è per il bene del Paese.
Ma è anche probabile che il loro auspicio sia sostenuto (trasversalmente) da altri 266 persone alla Camera e 116 al Senato che sperano che la legislatura continui, almeno altri 12 mesi, anche per poter ottenere l’indennità pensionistica.
Tutti sconosciuti?
Non proprio: figura qualche nome noto alle cronache politiche.
Iniziando da palazzo Madama come non citare l’ormai famoso Tommaso Barbato, capogruppo dell’Udeur, quello dell’aggressione al suo ex compagno di partito Nuccio Cusumano proprio durante l’ultimo voto di sfiducia.
Ma c’è anche la senatrice teodem del Pd, Paola Binetti; poi il transfuga dal centrosinistra Sergio De Gregorio, che però ha in tasca la certezza della ricandidatura da parte del Cavaliere.
Sempre alla prima esperienza tra i banchi parlamentari Marco Pecoraro Scanio (fratello del ministro dell’Ambiente), due ex giornalisti come Francesco Pionati e Antonio Polito, l’attrice Franca Rame (che si è pure dimessa).
E un trio che più volte ha fatto ballare il povero Prodi: il senador italoargentino Luigi Pallaro e i due comunisti Fernando Rossi e Franco Turigliatto.
A Montecitorio rischiano di non portare a casa i soldi della pensione addirittura tre ministri: Linda Lanzilotta (Affari Regionali), Cesare Damiano (Lavoro) e Paolo De Castro (Agricoltura).
Poi due onorevoli bellezze di Forza Italia: Mara Carfagna e Michaela Biancofiore.
Ma pure l’ex avvocato di Giulio Andreotti, l’aennina Giulia Bongiorno e il capogruppo dei Verdi, Angelo Bonelli.
Stessa sorte, sempre in caso di non rielezione, per un gruppetto eterogeneo di neoelette: Stefania Craxi, Grazia Francescato, Elisabetta Gardini, Maria Grazia Laganà (vedova Fortugno), la vicepresidente della Camera Giorgia Meloni e Donatella Poretti.
E infine una strana coppia: Silvio Sircana che ha pure appena perso il posto di portavoce unico del presidente del Consiglio e il no global Francesco Caruso.
Khaled Fouad Allam, del Pd, da tutti chiamato il deputato filosofo, uno che in Transatlantico sembra scrutare i suoi colleghi come fossero degli strani “animali”, dice a Panorama.it: “Anche io sono alla prima legislatura.
Ma non mi preoccupa la mia pensione. Torno al mio lavoro di docente universitario e giornalista. Mi spiace però per l’avvenire del nostro Paese: penso che ci aspettano anni difficili”.
E per gli altri? Agli altri non resta che sperare che i “pugnalatori” di cui ha parlato il vicepremier Francesco Rutelli, nei prossimi giorni ci ripensino e siano pronti a votare un bel governo istituzionale, di garanzia, di responsabilità nazionale o larghe intese che dir si voglia: purché il Parlamento lavori ancora un anno. Per poter licenziare altri 400 pensionati d’oro…
di Vasco Pirri Ardizzone
Chi ci va da quell’esercito di quasi mille persone che ci rappresentano tra Camera (630) e Senato (322) e che è lì lì per andare a casa?
E che dopo solo diciotto mesi di onorato lavoro ora corrono il rischio di non venire ricandidati e, soprattutto, di non ricevere la pensione?
È una dura vita quella del peone, cioè quel politico non famoso, deputato o senatore, che per circa 17 mila euro al mese (centesimo più centesimo meno) è “costretto” ogni martedì a lasciare la famiglia per andare a Roma, sedersi in Parlamento fino a giovedì, se non addirittura al venerdì mattina.
Il dramma di molti di loro (soprattutto i novizi, alla prima legislatura) si è materializzato giovedì sera, dopo la sfiducia del governo Prodi in Senato.
Caduto il governo, che si fa?
Governo di transizione o mandare il Paese alle urne?
Fosse questa la decisione del presidente Napolitano, si interromperebbe la legislatura prima di due anni e mezzo e non scatterebbe l’indennizzo della pensione: un minimo garantito di 2362 euro netti, ottenuti al traguardo dei due anni, sei mesi e un giorno di vita parlamentare.
Basta che per i rimanenti mesi di legislatura (massimo trenta, quindi) l’onorevole, anche se ormai ex, continui a versare di tasca propria 1006 euro di contributo previdenziale.
Insomma, circa quattrocento neoeletti, tra deputati e senatori, vedrebbero sfumare l’emolumento se Silvio Berlusconi non siglerà l’accordo che Pd gli propone: andare a votare dopo aver fatto una nuova legge elettorale.
Certo, i big come Prodi e Veltroni spiegano che una nuova legge elettorale è per il bene del Paese.
Ma è anche probabile che il loro auspicio sia sostenuto (trasversalmente) da altri 266 persone alla Camera e 116 al Senato che sperano che la legislatura continui, almeno altri 12 mesi, anche per poter ottenere l’indennità pensionistica.
Tutti sconosciuti?
Non proprio: figura qualche nome noto alle cronache politiche.
Iniziando da palazzo Madama come non citare l’ormai famoso Tommaso Barbato, capogruppo dell’Udeur, quello dell’aggressione al suo ex compagno di partito Nuccio Cusumano proprio durante l’ultimo voto di sfiducia.
Ma c’è anche la senatrice teodem del Pd, Paola Binetti; poi il transfuga dal centrosinistra Sergio De Gregorio, che però ha in tasca la certezza della ricandidatura da parte del Cavaliere.
Sempre alla prima esperienza tra i banchi parlamentari Marco Pecoraro Scanio (fratello del ministro dell’Ambiente), due ex giornalisti come Francesco Pionati e Antonio Polito, l’attrice Franca Rame (che si è pure dimessa).
E un trio che più volte ha fatto ballare il povero Prodi: il senador italoargentino Luigi Pallaro e i due comunisti Fernando Rossi e Franco Turigliatto.
A Montecitorio rischiano di non portare a casa i soldi della pensione addirittura tre ministri: Linda Lanzilotta (Affari Regionali), Cesare Damiano (Lavoro) e Paolo De Castro (Agricoltura).
Poi due onorevoli bellezze di Forza Italia: Mara Carfagna e Michaela Biancofiore.
Ma pure l’ex avvocato di Giulio Andreotti, l’aennina Giulia Bongiorno e il capogruppo dei Verdi, Angelo Bonelli.
Stessa sorte, sempre in caso di non rielezione, per un gruppetto eterogeneo di neoelette: Stefania Craxi, Grazia Francescato, Elisabetta Gardini, Maria Grazia Laganà (vedova Fortugno), la vicepresidente della Camera Giorgia Meloni e Donatella Poretti.
E infine una strana coppia: Silvio Sircana che ha pure appena perso il posto di portavoce unico del presidente del Consiglio e il no global Francesco Caruso.
Khaled Fouad Allam, del Pd, da tutti chiamato il deputato filosofo, uno che in Transatlantico sembra scrutare i suoi colleghi come fossero degli strani “animali”, dice a Panorama.it: “Anche io sono alla prima legislatura.
Ma non mi preoccupa la mia pensione. Torno al mio lavoro di docente universitario e giornalista. Mi spiace però per l’avvenire del nostro Paese: penso che ci aspettano anni difficili”.
E per gli altri? Agli altri non resta che sperare che i “pugnalatori” di cui ha parlato il vicepremier Francesco Rutelli, nei prossimi giorni ci ripensino e siano pronti a votare un bel governo istituzionale, di garanzia, di responsabilità nazionale o larghe intese che dir si voglia: purché il Parlamento lavori ancora un anno. Per poter licenziare altri 400 pensionati d’oro…
di Vasco Pirri Ardizzone