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Ecco cosa succede quando si dipende dall’export: Cina ed Australia
Ecco cosa succede quando si dipende dall’export: Cina ed Australia
Pensare di crescere esclusivamente, o quasi, tramite il commercio estero, viene ad essere una scelta molto pericolosa quando non si accompagna ad una dominanza politica. Per spiegarlo vediamo quello che sta accadendo fra Australia e Cina.
L’Australia, con un accordo di libero commercio che, quando concluso, appariva conveniente, ha sviluppato una fortissima dipendenza dall’export di materie prime ed agricole verso la Cina.
Attualmente il 30,6% dell’export Australiano è verso Pechino di cui oltre il 20% dell’export di carbone per Coke (acciaieria) e del 24% del carbone per utilizzo termico:
L’ultima volta in cui l’Australia veniva a dipendere in modo così massiccio da un paese straniero erano gli anni cinquanta ed il paese straniero era il Regno Unito, comunque parte del Commonwealth e madrepatria per molti australiani.
Per motivi di sicurezza interna l’Australia ha deciso di escludere Huawei dalla corsa per il la costruzione della rete nazionale 5G, e la Cina ha fatto capire, in modo diretto, che questo non va bene, cosa che in diplomazia
“Non potete guadagnare i soldi cinesi e poi fare delle scelte politicamente fare dei commenti irresponsabili sulla Cina e diventare ostili. Ci dispiace , ma questo è qualcosa che il nostro governo non può tollerare” Ha detto Cui Pijiang, direttore dell’associazione industria siderurgica cinese, durante un meeting internazionale ufficiale alla presenza delle controparti australiane.
Di solito non si fa un’affermazione così netta ed antidiplomatica, di solito ci si limita a sabotare l’import, magari bloccando le navi al largo con una serie di controlli burocratici prolungati ed estesi, cosa che sta comunque succedendo e che blocca 4 milioni di tonnellate di carbone australiano o sulle navi o nei porti oceanici.
Nel frattempo la Cina ha cercato forniture alternative, nonostante la qualità del Carbon Coke australiano sia superiore, e le ha trovate in Mongolia ed in Colombia. Soprattutto questo paese sud americano è stato been felice di iniziare a fornire 1,4 milioni di tonnellate al mese ad un prezzo inferiore a quello australiano.
Quando si viene a dipendere dalle vendite ad un singolo paese, così come l’Australia dalla Cina, si rinuncia implicitamente alla propria autonomia anche politica. Del resto il cliente ha sempre ragione!
Il commercio mondiale ebbe un grande sviluppo fra la metà dell’ottocento e l’inizio del novecento, ma in quel caso la dipendenza dai flussi commerciali era compensata dal controllo politico dovuto al colonialismo: gli stati europei dipendevano maggiormente dall’export, ma paesi come India o come tutto il continente indiano costituivano dei mercati controllati politicamente.
Senza un controllo politico la dipendenza dall’estero diventa soggezione alle politiche dei paesi clienti come si stano rendendo ben conto Australia e Germania.
Ecco cosa succede quando si dipende dall’export: Cina ed Australia
Pensare di crescere esclusivamente, o quasi, tramite il commercio estero, viene ad essere una scelta molto pericolosa quando non si accompagna ad una dominanza politica. Per spiegarlo vediamo quello che sta accadendo fra Australia e Cina.
L’Australia, con un accordo di libero commercio che, quando concluso, appariva conveniente, ha sviluppato una fortissima dipendenza dall’export di materie prime ed agricole verso la Cina.
Attualmente il 30,6% dell’export Australiano è verso Pechino di cui oltre il 20% dell’export di carbone per Coke (acciaieria) e del 24% del carbone per utilizzo termico:
L’ultima volta in cui l’Australia veniva a dipendere in modo così massiccio da un paese straniero erano gli anni cinquanta ed il paese straniero era il Regno Unito, comunque parte del Commonwealth e madrepatria per molti australiani.
Per motivi di sicurezza interna l’Australia ha deciso di escludere Huawei dalla corsa per il la costruzione della rete nazionale 5G, e la Cina ha fatto capire, in modo diretto, che questo non va bene, cosa che in diplomazia
“Non potete guadagnare i soldi cinesi e poi fare delle scelte politicamente fare dei commenti irresponsabili sulla Cina e diventare ostili. Ci dispiace , ma questo è qualcosa che il nostro governo non può tollerare” Ha detto Cui Pijiang, direttore dell’associazione industria siderurgica cinese, durante un meeting internazionale ufficiale alla presenza delle controparti australiane.
Di solito non si fa un’affermazione così netta ed antidiplomatica, di solito ci si limita a sabotare l’import, magari bloccando le navi al largo con una serie di controlli burocratici prolungati ed estesi, cosa che sta comunque succedendo e che blocca 4 milioni di tonnellate di carbone australiano o sulle navi o nei porti oceanici.
Nel frattempo la Cina ha cercato forniture alternative, nonostante la qualità del Carbon Coke australiano sia superiore, e le ha trovate in Mongolia ed in Colombia. Soprattutto questo paese sud americano è stato been felice di iniziare a fornire 1,4 milioni di tonnellate al mese ad un prezzo inferiore a quello australiano.
Quando si viene a dipendere dalle vendite ad un singolo paese, così come l’Australia dalla Cina, si rinuncia implicitamente alla propria autonomia anche politica. Del resto il cliente ha sempre ragione!
Il commercio mondiale ebbe un grande sviluppo fra la metà dell’ottocento e l’inizio del novecento, ma in quel caso la dipendenza dai flussi commerciali era compensata dal controllo politico dovuto al colonialismo: gli stati europei dipendevano maggiormente dall’export, ma paesi come India o come tutto il continente indiano costituivano dei mercati controllati politicamente.
Senza un controllo politico la dipendenza dall’estero diventa soggezione alle politiche dei paesi clienti come si stano rendendo ben conto Australia e Germania.
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