AVANTI IL PROSSIMO

FORTEBRACCIO

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Il governo Prodi è così giunto al capolinea.
Era previsto e lo avevamo scritto e riscritto: il peggior esecutivo della storia repubblicana doveva comunque cadere pur se avesse racimolato in Senato un voto in più dell’opposizione.
Prodi è infatti caduto per suicidio rituale della sua irrituale maggioranza.

E l’ex presidente dell’Iri, l’amico della Grande Speculazione, dei Soros, dell’Unilever, della Goldman & Sachs, responsabile di punta della grande rapina del patrimonio pubblico italiano e affossatore dello Stato sociale, ha tuttavia fatto in tempo a scrivere l’ennesima brutta pagina della politica italiana.

La sua richiesta del voto di fiducia al Senato, dove era evidente che il centrosinistra non aveva più maggioranza, era figlia di molte ragioni, nessuna nobile.
Forse Prodi ha sperato fino all’ultimo nel successo delle manovre di compravendita di senatori (a proposito, la magistratura interverrà per chiarire le reali motivazioni del voltafaccia di Cusumano, dissociatosi dal no dell’Udeur?) portate avanti nelle ultime ore.

Certo è che un clima da calciomercato come quello visto negli ultimi tempi in parlamento ha reso, se possibile, il Palazzo ancor più lontano dalla gente.
E’ chiaro: Prodi sperava veramente di salvarsi senza sentire alcun imbarazzo per il fatto che quella vittoria sarebbe stata soltanto frutto di mercanteggiamenti e, soprattutto, del voto da scuderia, anomalo e vergognoso, dei senatori a vita.

Prodi non ha temuto di passare alla storia come l’unico governo sorretto da una maggioranza non scaturita dalle urne, di fatto un governo antidemocratico.
Qualcuno l’ha definito coraggioso, ma ben altri sono gli aggettivi che secondo noi possono descrivere un simile comportamento.

E’ poi possibile che Prodi sia andato al voto ben cosciente della imminente sconfitta, ma che lo abbia fatto a dispetto dei suoi stessi nominali alleati.
A dispetto di Veltroni, che da segretario del neonato Pd già scalpita e si comporta come un presidente del Consiglio in pectore.

A dispetto del Pd, che dovrebbe essere il suo partito, per impedire un qualsiasi governo di transizione che faccia una riforma elettorale favorevole ai maggiori partiti.
A dispetto, soprattutto, alla componente diessina del Pd, quella stessa che già una volta lo impallinò per passare il testimone a D’Alema, anche se allora gli fornì il paracadute d’oro della presidenza della Commissione Ue.

In ogni caso esce dalla scena un Prodi sconfitto, ormai inidoneo per qualsiasi ruolo politico, sia partitico sia istituzionale, un Prodi che finalmente potrà dedicarsi ai suoi passatempi, come la bicicletta, e lasciare in pace gli italiani.

Con la sua sicura, ormai, uscita di scena dalla politica gli italiani, però, non avranno molti vantaggi, perché chi è già pronto a sostituirlo opererà nella stessa logica liberista, nella stessa supina subordinazione all’invasore americano, con la medesima accondiscendenza ai voleri dei poteri forti, della grande finanza internazionale che da sempre opera contro gli interessi nazionali.

Le elezioni immediate sono ancora solo un’ipotesi, perché si adombra anche un anomalo governo “tecnico” (cioè fatto di politici camuffati) sorretto da una “grande coalizione” di tipo tedesco, che faccia le riforme istituzionali (e soprattutto quella elettorale), garantendo così ai parlamentari (fatto per loro non trascurabile) il compimento di quei due anni, sei mesi e un giorno di legislatura, quanto basta per ottenere la pensione, proprio mentre si massacrano su questo tema i lavoratori italiani.


di Paolo Emiliani
 

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