BREXIT - sembra l'Italia - il neoliberismo sta distruggendo tutto

tontolina

Forumer storico
MER 11 DICEMBRE 2019
“L’INVERNO DEL NOSTRO SCONTENTO”. BREXIT, VOLUME UNO

"Brexit" è la parola chiave che attraversa il paese. Contro l’Europa che inietta migranti nelle vene dell’isola. Contro l'altro da sé, l’antagonista, il nemico. Il fattore esterno che permette una de-responsabilizzazione generale e diffusa. La prima tappa di un viaggio dei Diavoli al termine della notte britannica, mentre le elezioni sono alle porte, insieme all'inverno più gelido e tetro.
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L’inverno del nostro scontento di shakespeariana memoria è pronto ad abbattersi sul Regno Unito. Escrescenza di terra emersa che quattrocento milioni di anni fa si staccò fisicamente dal continente europeo e che oggi si prepara a rifarlo, politicamente.
“Brexit” è la parola chiave che attraversa il paese. Contro l’Europa dell’austerity e della sussidiarietà, contro l’Europa che prende più soldi di quanti ne restituisce, contro l’Europa che inietta migranti nelle vene dell’isola e devasta lo stato sociale.
L’Europa è l’altro da sé di queste elezioni. L’antagonista, il nemico. Il fattore esterno che permette una deresponsabilizzazione generale e diffusa.
Negli ultimi dieci anni gli episodi di malnutrizione certificati dalla sanità pubblica sono passati da tremila a novemila, i pasti gratuiti distribuiti dalle collette alimentari da quarantamila a un milione e seicentomila, ogni anno. Un paese devastato dalle politiche neoliberali di Margaret Thatcher, Tony Blair, Gordon Brown, David Cameron e Boris Johnson. Anzi, no, dall’Europa e dai migranti. Sono stati loro: sono stati gli altri.

Nel suo The Road To Wigan Pier, un viaggio nelle cittadine minerarie del Nord dell’Inghilterra per raccontare senza sconti la fetida miseria in cui sopravvive la working class degli anni ‘30, George Orwell, in un raro momento di tenerezza, usa una metafora potentissima, quella di alcuni corvi intenti a copulare nelle poche chiazze di fango che rompono le immani distese di ghiaccio.
Oggi, nemmeno più quello. Nel Regno Unito chiudono scuole e ospedali, negozi e biblioteche. Si mangia poco e male, si beve soltanto. Non si scopa più. Non c’è più speranza. Le nascite negli ultimi cinque anni sono diminuite del dieci percento.
A Hartlepool, piccola cittadina portuale del Nordest, è nato e ha vissuto Reg Smythe, l’ideatore di Andy Capp, meraviglioso personaggio che si muoveva solo per colmare la distanza tra il divano di casa e il pub. Uno dei più violenti attacchi alla società dell’alienazione capitalista mai apparso su una striscia a fumetti.
Ma i nuovi Andy Capp, adesso, odiano solamente gli altri Andy Capp.
Nick ha fatto il dj per quasi trent’anni. «Per lo più musica anni ‘60, ‘70, un po’ di dance. Niente techno. Adesso lo faccio ancora, ma molto di meno, mi occupo dei miei sette nipoti e vado in vacanza al sole con mia moglie il più spesso possibile».
«Anche se siamo una comunità working class, qui ad Hartlepool siamo sempre stati bene, ma adesso andare in giro è diventato pericoloso. Troppi immigrati. Principalmente dall’Asia e dall’Est Europa».
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Il proprietario del The Harbour View, caratteristico ristorantino del posto, abbastanza pieno a differenza della teoria di mangiatoie e catene e di fast food che affollano la desolata marina, si chiama Darab. È un immigrato asiatico, e un grande sostenitore della Brexit. Come ogni buon immigrato inserito nel tessuto economico e sociale cittadino, la cosa che odia di più sono gli immigrati.
«Ci sono due tipi di immigrati, politici ed economici, i primi vanno aiutati e incoraggiati, i secondi no. Questo è un paese molto generoso, ti dà la casa, il lavoro, la sanità pubblica, così in molti vengono a prenderselo, ma non restituiscono nulla. Io non sono razzista ovviamente, ma bisognerebbe aiutarli a casa loro».
Ognuno è lo straniero di qualcun altro.
Hartlepool è una città allucinante. Qui hanno inventato il populismo prima che esistesse il populismo. Durante le Guerre Napoleoniche impiccarono una scimmia, unica sopravvissuta dal naufragio di una nave francese, perché indossava la giacca dell’esercito nemico. Fu interrogata, processata e appesa.

Due secoli dopo, quando la città decide per l’elezione diretta del sindaco, vince la mascotte della locale squadra di calcio: una scimmia. Il mandato dopo è ancora il suo. Alla fine il consiglio comunale cambia la legge e ferma l’elezione diretta. Ora è il primo comune guidato dal Brexit Party.
Dal “sindaco scimmia” al sindaco del partito più di destra dell’isola, nato sulle ceneri dell’Ukip. Qui, dove al referendum il leave ha avuto il 70% di consensi, il Brexit Party ha buone possibilità di eleggere il suo primo deputato, Richard Tice: miliardario che viene dal ricco sud ed è il numero due del partito, dopo Nigel Farage.
«Da quando l’utopia socialista è stata dichiarata impossibile da tutti, per prima dagli stessi partiti socialisti, la working class britannica ha cercato di ritrovare la propria identità perduta su quel poco che le era rimasto: il luogo, l’accento, la famiglia, l’appartenenza etnica» scrive Paul Mason, giornalista del «Guardian», nel libro collettivo The Great Regression.

Travor è immobile davanti alla serranda abbassata della biglietteria dello stadio di Hartlepool. Votava Labour, adesso non gliene frega più un cazzo. Vuole solo che l’Hartlepool Fc, quello della mascotte diventata sindaco per due volte, sia promosso in quarta serie.
La depressione, se mescolata all’alcool, porta al fascismo.
Hartlepool, Middlesbrough, Leeds, Blackburn, Burnley, Bradford, Wigan, Blackpool, l’inverno dello scontento si diffonde nelle piccole e medie town del nord dell’Inghilterra e porta odio, rancore, razzismo diffuso. Ovunque.


Ismail è turco, sta a Middlesbrough da diciassette anni, e ci tiene a precisare che ha sempre lavorato e pagato le tasse. «C’è razzismo diffuso ovunque, la gente comincia a guardarti male per strada».
Steven è bianco, lavora al mercato di Leeds, voterà conservatore perché vuole lasciare l’Europa: «Ci vuole un sistema per regolare l’immigrazione. Non ce ne sono troppi adesso, ma lo diventeranno. Gli immigrati abbassano il costo del lavoro e i nostri stipendi».
Sheila ha settantasei anni, viene da Bradford, e vota conservatore. «Sono preoccupata per le mie nipotine, quando ho avuto un cancro mi hanno curato benissimo. Oggi per vedere il dottore devi aspettare sei mesi». Middlesbrough, Leeds, Bradford, once they were all Labour. E magari lo saranno ancora dopo le elezioni. Ma la puzza di merda è ovunque.
Fa bene Daniel Trilling, esperto di estrema destra inglese e direttore della rivista “New Humanist”, a ricordare che la Brexit non è il prodotto esclusivo della working class bianca impoverita, della cosiddetta white trash. Si rischia di cadere nel miope stereotipo della rust belt che elegge Trump. Come il presidente americano è un prodotto dell’aristocrazia finanziaria a stelle e strisce, così la Brexit è finanziata da miliardari di entrambe le parti dell’oceano.
Ma qualcosa si è rotto. Dopo le devastazioni thatcheriane e blairiane, la fine del modello di sviluppo occidentale ha lasciato macerie dappertutto. Visibili a ogni angolo di strada. Tra le chiazze di vomito e nelle pozze di piscio, nelle coperte degli homeless, negli sguardi spauriti dei migranti che fanno comunella, perché andare in giro da soli fa paura.
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«Le cittadine del nord sono messe peggio di cento anni fa (quando Orwell le descriveva nel peggior modo possibile, ndr). Invece di reinventare nuovi modelli economici postindustriali hanno banalmente cercato di replicare i vecchi, passando dalle miniere ai call center e dal trasporto ai rider della logistica.
Quindi in termini numerici i governi potranno anche dire di avere creato nuovi posti di lavoro, ma sono posti peggiori. Meno qualificanti, più alienanti. E soprattutto meno sicuri. La gente ha perso la speranza». Lo scrivono Paul Swinney e Andrew Carter del “Centre for Cities”.
Le high street – le vie principali dello shopping che caratterizzano i paesini e le cittadine medio piccole del paese – si sono trasformate in ghost town, scrive il «Daily Telegraph», quotidiano conservatore. Ma a nessuno viene in mente che il problema sia il fallimento del sistema capitalista.
No, la colpa è sempre dell’altro, del diverso, dell’estraneo. La campagna elettorale è tutta giocata sull’alimentare questi timori. Sul sospetto e sulla paura dell’altro da sé.

«Sono schifata dai conservatori che vogliono privatizzare tutto. Ricevono donazioni dai miliardari e le nascondono nei paradisi fiscali, poi si presentano come “patriottici”. Purtroppo le bugie messe in giro dalla campagna per il leave – come i 50 miliardi in più che avremmo per la sanità pubblica, dato ampiamente smentito – fanno presa anche a sinistra» dice Alysha, diciotto anni, studentessa di scienze politiche alla Leeds Beckett University.
Il taxista, il dj, la pensionata, il padroncino, il tifoso, l’ex poliziotto, l’ambulante al mercato, tutti a lamentarsi della devastazione della sanità pubblica. «Aspettiamo settimane per un appuntamento, mesi per un’operazione». Ma non è colpa del neoliberismo, delle privatizzazioni. No, è colpa degli immigrati.
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Ronnie è disoccupato. «Votavo Labour ma ora non lo voto più. Ci sono troppi immigrati, mi hanno portato via il lavoro, l’assistenza sociale. Mi hanno dato una casa a Oldham (periferia di Manchester, ndr) che fa schifo, piena di polacchi, fumano crack e cocaina dalla mattina alla sera. Ma io sto male, sono in cura, vengo a Manchester a prendere le medicine». Chiede una sigaretta, si stringe nel cappotto. «Le medicine, hai presente? Quelle illegali, che vendono qui dietro la stazione». Un ragionamento che non fa una grinza.
Mi fanno schifo gli immigrati che si drogano. Sono qui a comprare la droga. Il neoliberismo ha distrutto il sistema sanitario e il welfare, voto un partito neoliberista che mi promette che senza immigrati tornerà quello di prima. Non quel bolscevico di Corbyn, che vuole tassare i ricchi per ricostruire dalle fondamenta la sanità pubblica.
Nell’inverno del nostro scontento è tutti contro tutti. Si è rotto qualsiasi tipo di legame sociale, di solidarietà all’interno della working class del nordest britannico. La guerra dei poveri è diventata la guerra tra poveri.
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«La cosa più impressionante in famiglie come quella dei Brookers è il loro ripetere in continuazione le stesse cose. Ti danno l’idea di non essere persone ma delle specie di fantasmi che ogni sera mettono in scena la stessa identica replica» scrive George Orwell, in The road to Wigan pier.

Un secolo dopo, in un pub di Bradford, davanti alle televisioni che trasmettono le partite della Champions League, in una città che ha gli indici più alti di povertà, disoccupazione e malnutrizione giovanile di tutta l’Inghilterra, una pletora di facce bianche, devastate dalla vita e dall’alcool, osserva silenziosa i gas di xeno e neon illuminare i pixel degli schermi.
Come ogni sera, sempre così. Una coazione a ripetere senza più alcun punto di riferimento. Senza alcuna speranza. Giovedì 12 dicembre si vota contro gli immigrati e contro l’Europa. L’inverno del nostro scontento è pronto ad abbattersi sul Regno Unito.
Andy Capp non solo ha smesso di lottare, ma anche di sognare.
 
VEN 13 DICEMBRE 2019
ANDY CAPP NON ABITA PIÙ QUI.
BREXIT, VOLUME DUE

Nel riportare gli exit poll, che poi si riveleranno fin troppo accurati, il compassato presentatore della Bbc usa la parola “catastrofe”.
I Conservatori trionfano,
Jeremy Corbyn si dimette e Boris Johnson annuncia che la Brexit è imminente.
La seconda tappa del viaggio dei Diavoli al termine della notte britannica, anzi: al principio della fine dell'UK.


È il principio della fine. L’alba sorge fetida dietro le sale giochi e i luna park di Blackpool South, città fantasma e senza futuro, dove i conservatori, dopo oltre vent’anni, hanno riconquistato un seggio decisivo. La puzza di merda è arrivata fino a qui.
È il principio della Brexit, della disgregazione dell’Europa e del fascismo a venire. È la fine dell’utopia socialista [tradita dall'unione europea] di decine di migliaia di giovani che, per la prima volta in un Regno Unito devastato dalla crisi, si erano avvicinati alla militanza. È il principio e la fine di ogni considerazione o analisi politica.
Tra la speranza di costruire il socialismo e la comodità di rintanarsi nel fascismo, Andy Capp ha scelto la seconda.
Nel resocontare gli exit poll, che poi si riveleranno fin troppo accurati, il compassato presentatore della Bbc usa la parola “catastrofe”. Non lo aveva fatto nemmeno nei casi di guerra o attentati terroristici.
I Conservatori trionfano con 365 seggi (66 in più delle scorse elezioni) e ben oltre la maggioranza necessaria di 326. Il leader Boris Johnson annuncia che la Brexit è imminente. I Labouristi crollano a 203 seggi (42 in meno) e affrontano una delle peggiori disfatte della loro storia. Il leader Jeremy Corbyn si dimette.
Lo SNP arriva a 48 seggi (più 13), oltre ogni più rosea previsione. La leader Nicola Sturgeon annuncia il prossimo referendum che sancirà l’ineludibile indipendenza della Scozia dalla Gran Bretagna.
Il principio è un pullman che parte la mattina dalla periferia orientale di Manchester. In un’altra alba, talmente remota da sembrare appartenente a un’era storica diversa. È giovedì 12 dicembre, giorno di voto. Da oltre un secolo qui si vota al giovedì, perché venerdì è giorno di paga e la gente comincia a spenderla al pub, e da quel momento è costantemente ubriaca. Mercoledì ha finito i soldi. Giovedì è sobria, si spera.
Il pullman è gioioso, colmo di speranza. Sotto l’egida di Momentum, l’ala sinistra e giovanile del Labour Party, studenti, lavoratori, attivisti e disoccupati, età media sotto i trent’anni, si dirigono a Blackpool South. È uno dei collegi in bilico nel distopico sistema elettorale uninominale britannico.
È il luogo da cui far partire la riscossa.
I ragazzi arrivano a Blackpool, prendono il materiale dalla sede del Labour, la lista dei votanti del Labour e degli indecisi. E sotto una lurida pioggia battente escono nelle strade per fare campagna porta a porta. Bussano, sorridono, chiacchierano, annuiscono, spiegano, ascoltano. Passano alla casa dopo. Una dopo l’altra. Per tutto il giorno. Mentre la pioggia si confonde col mare.
-Rebecca, 26 anni, si occupa di eventi musicali. «I media hanno giocato tutto sulla contrapposizione tra i due leader, evitando di parlare dei programmi proprio per favorire i conservatori. Presentando Corbyn come un vecchio stanco e dimesso, antisemita e troppo spostato a sinistra, hanno preso due piccioni con una fava: da un lato hanno spaventato l’elettorato, dall’altro hanno potuto evitare di dire cosa avrebbe fatto il Labour per questo paese e cosa non avrebbero fatto i Tories».
-Ashiya ha 31 anni, lavora a “The Modernist” e “Tribune”, riviste socialiste. È responsabile dell’Mcr Fem, un collettivo femminista di Manchester. «La narrazione dominante ha fatto in modo di mettere insieme sanità e migranti, con fake news al limite del ridicolo, facendo credere la situazione disastrosa in cui versa il sistema sanitario sia per colpa degli immigrati e non delle privatizzazioni, dei tagli selvaggi e dell’austerity del governo conservatore».
-Sasha ha 22 anni, è una studentessa, ha vissuto a Marsiglia e parla un po’ italiano. «Stiamo facendo tutto quello che possiamo, ma la gente oramai è egoista e pensa solo a se stessa. Dalla Thatcher in poi si è rotto ogni senso di comunità e solidarietà. Anche le persone che si dicono preoccupate per lo stato della sanità pubblica, in realtà, pensano solo alla Brexit, perché sono convinte darà loro più vantaggi».
Ashiya, Rebecca, Nuria, Sasha, Emma. Camminano tutto il giorno sotto una pioggia incessante e infetta, bussando a ogni porta, parlando, ascoltando, segnando su un foglio chi hanno convinto e chi no.
La speranza dipinta sui loro volti giovani e allegri, alla conquista del collegio di Blackpool South. Sarà un fallimento. Una catastrofe.
Blackpool è sineddoche di questo paese. Ex luogo di villeggiatura della working class britannica del Nord, i primi a venire qui furono i minatori dopo la Grande Guerra, nelle due settimane dell’anno in cui le miniere chiudevano per manutenzione. Negli anni del boom economico è esplosa come centro turistico.
Sale giochi, luna park, bordelli, stabilimenti balneari e rivendite di fish and chips. Luci al neon e insegne iridescenti a ogni angolo. Una ruota che scimmiotta quella di Londra, una torre che imita stremata la Tour Eiffel. Una via di mezzo tra Rimini e Las Vegas.
Oggi con le compagnie low cost si paga di meno per andare in Spagna o in Grecia, e Blackpool è stata abbandonata al suo destino. È diventata una ghost town. In giro non c’è più nessuno. Gli abitanti emigrano, i turisti non vengono più. Rimangono sale giochi vuote. E luci, che non illuminano più nulla.
Andy Capp non abita più qui.

È la catastrofe, come l’ha definita la Bbc. Uno sfacelo che non nasce in una notte di risultati elettorali ma è il frutto di quarant’anni di politiche neoliberiste. Un dominio dei cuori e delle menti cui la gente è talmente assuefatta che si adagia placida tra le braccia del fascismo a venire.
La Brexit non è solo il sogno malato degli Andy Capp del Nord. È il misero tornaconto economico della upper class del Sud, di quei personaggi aridi ed egoisti raccontati nella Middle England di Jonathan Coe. È la speculazione finanziaria di fondi d’investimento con sede nei paradisi fiscali di mezzo mondo.
È il capitalismo della catastrofe, che guadagna dai disastri climatici, politici ed economici. Dalle telefonate gioiose degli imprenditori durante i terremoti in Italia agli occhi che si illuminano tra i ragazzi della City di Londra mentre osservano su uno schermo gli effetti dello tsunami in Giappone.
Dal business della segregazione razziale, dopo l’uragano Katrina, agli ingenti movimenti finanziari che anticipano e dirigono i colpi di stato sudamericani. Sulle rovine del Regno Unito e dell’Europa, famelici avvoltoi hanno già guadagnato cifre iperboliche. Andy Capp l’ha solo presa nel culo, come sempre.

Il suddito del Regno non si ribella (quasi) mai. Come scrive George Orwell in The road to Wigan pier, la working class britannica accetta le violenze del potere e le tragedie della vita senza battere un ciglio. «Sopportano tutto, fin tanto che gli viene detto che deve essere così».
L’alba di speranza a Manchester si dissolve nel tramonto di angoscia di Blackpool. E infine nella notte del terrore elettorale. I ragazzi e le ragazze di Momentum tornano a casa, a scuola, al lavoro. Incerti se li ritroveranno ancora al loro posto.
La Brexit è il principio della fine.
È «l’annientamento dello spazio da parte del neoliberismo» usando le parole di David Harvey.
Ora la Gran Bretagna si staccherà dall’Europa.
A quel punto l’Irlanda del Nord sarà abbandonata al suo destino – impossibile costruire frontiere lungo il Teorainn na hÉireann – e dovrà riunirsi, a un prezzo che si preannuncia sanguinoso, alla Repubblica Irlandese. E la Scozia si staccherà a sua volta dall’UK, attraverso un referendum per restare in Europa. Il voto è stato chiaro in questo senso.
Quali che siano le conseguenze politiche ed economiche di questo processo, una conclusione è inevitabile.Il Regno Unito sarà dissolto, la monarchia è destinata a scomparire. Elisabetta II sarà ricordata nella storia come l’ultima monarca dell’isola.
Boris Johnson si è rivelato essere il più insospettabile militante repubblicano mai nato sul suolo britannico. La sua insistenza sulla Brexit, il litigio con gli unionisti nordirlandesi, il disinteresse nel risolvere la questione scozzese, letti a posteriori hanno avuto un solo scopo: distruggere la corona.
È il principio della fine della monarchia.

L’alba sorge nuovamente nella ghost town di Blackpool. È l’alba fredda e tagliente del giorno dopo la catastrofe. I ragazzi e le ragazze di Momentum hanno fatto tutto il possibile, e continueranno a farlo.
Emma ha 32 anni, studia per un dottorato a Manchester. «Corbyn ha fatto bene a dimettersi, lo avrebbero comunque mandato via. Ora però dovrebbe essere sostituito da qualcuno della left del Labour, probabilmente donna e del Nord, penso a una come Rebecca Long-Bailey».
Nuria ha 23 anni, è una studentessa part-time e per mantenersi lavorava metà giornata facendo patatine fritte. Quando l’hanno licenziata è andata al Job Centre, dove gli hanno detto che se voleva il sussidio doveva smettere di studiare e fare domanda per un lavoro full time, altrimenti non gli avrebbero dato nulla. E così è stato. «La ragione della sconfitta è la Brexit.
Il Labour è arrivato troppo tardi a proporre il secondo referendum, e molti remainers hanno perso fiducia per questo». Anche lei vuole Rebecca Long-Bailey al posto di Corbyn. «Funziona bene in tv e sui media e allo stesso tempo riesce a parlare alla working class, perché viene da lì».
Catastrofe deriva dal greco antico, che significa rovesciamento, capovolgimento. Nella catastrofe si muovono gli embrioni di un mondo nuovo. Nella fine del Regno è il principio di ogni rivoluzione possibile.

Ashiya, Rebecca, Nuria, Sasha, Emma e tutti e tutte quelle come loro, che ci hanno creduto e ci credono ancora, sono pronte a ripartire. E lo faranno subito. Continueranno a lottare nelle strade e nei collettivi, per contrastare il fascismo neoliberale che gli ha imposto il voto di un paese vecchio e devastato, debole e incapace di sognare.
Saranno loro a danzare sulle macerie del Regno a venire.
Come diceva Joe Strummer, un ragazzo che ha combattuto contro la guerra ai poveri portata da Margaret Thatcher e da Tony Blair, e ha perso: tutto è ancora possibile.
Andy Capp ha scelto il fascismo, ma per i suoi figli the future is unwritten.

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LUN 16 DICEMBRE 2019
LA GUERRA CHE VIENE. BREXIT, VOLUME TRE

Se “la zattera di pietra” di José Saramago si staccava dal continente e vagava nell’oceano per inseguire l’utopia, l’isola di cemento britannica dichiara la sua separazione dall’Unione Europea da immobile, pronta a essere inghiottita dallo stesso capitale finanziario che ha generato questa frattura. La terza tappa del viaggio dei Diavoli, giù nell'abisso britannico, attraverso le sue sabbie mobili.
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Sotto un vento sferzante e continuo, nell’estremo occidente britannico, le sabbie mobili della Morecambe Bay emergono rancide dal sottosuolo. Si aggrappano ai confini dell’isola e ne impediscono la deriva.
Se La zattera di pietra di José Saramago si staccava dal continente e vagava nell’oceano per inseguire l’utopia, l’isola di cemento britannica raccontata da James Ballard dichiara la sua separazione dall’Unione Europea senza avere la capacità di andarsene. Si ferma, immobile, pronta a essere inghiottita dallo stesso capitale finanziario che questa frattura ha provocato e guidato.
Prima di Morecambe Bay, c’è Lancaster. Avamposto romano, nel medioevo diventa una delle più importanti città del Regno e la sede del più famoso processo per stregoneria: The trials of the Pendle witches.

Oggi, sul banco degli imputati c’è Jeremy Corbyn. Ha spostato il partito troppo a sinistra. E infatti ha preso solo un milione di voti più di Ed Miliband e Tony Blair e due milioni più di Gordon Brown, gli ultimi candidati centristi del Labour. È un vecchio rottame, figlio di antiche ideologie che non tengono il passo con il contemporaneo.
E infatti ha stravinto nella fascia di età 18-30 e vinto in quella 30-50.
Ha perso di poco tra gli over 50 e di molto tra gli over 65.
Jeremy Corbyn è come le streghe, colpevole fino a prova contraria. Colpevole di mostrare la possibilità di un altro mondo, migliore. Colpevole di volere la pace.
«Jeremy Corbyn è stato colpevole prima ancora che cominciasse il processo. La stampa per mesi lo ha trasformato nel bersaglio del più plateale disprezzo e abuso personale. È stato letteralmente il fantasma che si aggirava per la Gran Bretagna con un manifesto di trasformazione sociale che per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale osava proteggere il lavoro, l’ambiente, cambiare la tassazione e rifinanziare il welfare» dice Francesca Coin, senior lecturer in Sociologia alla Lancaster University.
«È il più grande inganno del capitale quello che porta le persone a votare, o addirittura a lottare, contro i propri interessi materiali. Se possiamo chiamare fascismo questo mix di austerity, razzismo e politiche neoliberali che attendono il Regno, sotto questa categoria vanno incluse anche le promesse sul “fare” e “controllare” che hanno caratterizzato la campagna elettorale dei Tories» dice John Foot, professore di storia contemporanea alla Bristol University.
Nella storia più recente, quella imperiale, Lancaster era patria dell’industria tessile. E della schiavitù. Tra un canale e una guglia gotica, un mercatino dell’usato affollato come non mai e un pub dove bere per ricordarsi di dimenticare, appare un dipinto. Fatto dai ragazzi della scuola, rappresenta uno dei “benefattori” della città con in mano quello che sembra un guanto. È la mano del suo schiavo, che tagliò e seppellì nel cimitero alla morte del fedele servitore.
È l’eterno ritorno dell’Impero, sotto vecchie e nuove forme.
«Il neoliberalismo in bancarotta può solo rilanciare su un protezionismo nazionalista che come un muro tenga a distanza la crisi e i migranti. Qui come altrove. Ora ci sarà un inevitabile rafforzamento ed estensione dei legami del Commonwealth. E un ancora più stretto – e vassallatico – legame con gli Usa, Trump o non Trump, e con gli altri paesi anglofoni» dice Leonardo Clausi, corrispondente del «manifesto» da Londra.
«Non mi stupirei se la Gran Bretagna dei prossimi anni diventasse una specie di Dubai, un paradiso fiscale che offre libertà ai capitali e agli imprenditori, e in cui la working class vive in condizione di proto-schiavitù. Mi attendo un aumento della disoccupazione, una privatizzazione finale della sanità con ingresso feroce delle compagnie farmaceutiche americane, l’istruzione in buona sostanza è già privata, assalti ulteriori alle protezioni sociali. Libertà di movimento dei capitali per i ricchi; confini, tagli, polizia e sfruttamento per tutti gli altri» aggiunge Francesca Coin.

Le sabbie mobili del neoliberismo sono al lavoro. Andy Capp non ha più scampo.
Da Hartlepool a Middlesbrough, da Leeds a Bradford, da Manchester a Blackpool, da Lancaster a Morecambe. Da Est a Ovest, dall’alba al tramonto. L’inverno del nostro scontento si è infine abbattuto si questa escrescenza di terra emersa nel Mare del Nord.

Roy, titolare della pescheria Edmonsons della Morecambe Bay, mostra fiero le fotografie in bianco e nero di una ridente cittadina di villeggiatura con un enorme piscina affollata e gremita. Tutto intorno, sullo sfondo, navi da pesca e da commercio solcano placide il mare gelido.
Oggi non è più così.
Morecambe Bay non è altro che l’ennesima ghost town britannica. La “Food Bank”, che distribuisce cibo a chi nel punto di sviluppo più avanzato dell’Occidente non ha i soldi per mangiare, è presa d’assalto. Sono giovani, bianchi, inglesi. Credono nell’Impero. Hanno votato Boris Johnson. Sono pronti alla guerra.
Qui nel 2004 una ventina di immigrati irregolari cinesi, arrivati nei container nel porto di Liverpool e poi distribuiti come schiavi lungo la costa. Erano quasi tutti giovani di vent’anni. Raccoglievano molluschi sulle sabbie mobili in cambio di paghe da fame, in nero. Morirono tutti, per la gloria dell’Impero.
Fu una tragedia della schiavitù che non scalfì la grandeur blairiana, un grido d’allarme che non fu compreso. Oggi i migranti muoiono quotidianamente nei campi e nei siti di costruzione, nelle fabbriche e nei container. Oggi gli abitanti del Regno fanno la spesa alla Food Bank e votano contro i propri interessi. Rimpiangono l’impero e votano per la Brexit che ne segnerà la fine. Odiano i migranti e ne gioiscono per le morti, coprendosi gli occhi per non capire che stanno uccidendo loro stessi.
Lo specchio è ignobile, perché mostra che l’altro siamo noi.
Con disarmante innocenza, serafico, Roy indica il manifesto elettorale appeso alla vetrina della sua pescheria, e dice: «I Tories con l’austerity hanno tagliato ogni servizio, il welfare e la sanità pubblica. Per questo li ho votati. Perché adesso con la Brexit saranno i grado di farci ripartire».

Di fronte alla Morecambe Bay c’è Barrow In Furness, dov’è nato Mark Fisher, uno dei più lucidi analisti dellesabbie mobili del neoliberismo, della loro capacità di inghiottire ogni dimensione dell’essere umano privandolo di qualsiasi possibilità di fuga. Anche solo immaginaria.
Quarant’anni di politiche di austerity, di tagli indiscriminati, hanno eroso ogni speranza. «Se non è proprio la fine della democrazia, è la sua riduzione a una serie di rappresentazioni messe in scena dal potere che tutti sanno essere false, ma che sono abbastanza divertenti o rassicuranti da essere tollerate» scrive William Davies su «The Guardian».
Nella società del burnout raccontata da Mark Fisher e Byung-Chul Han, di cui il Regno è manifestazione più sublime, in ogni bagno pubblico o privato c’è un pulsante attraverso cui i clienti possono dirsi più o meno soddisfatti del livello di pulizia dell’ambiente. Tutto è sotto controllo, tutto è in competizione, ogni cosa è sottoposta a giudizio.
Se pigi il rosso, licenziano metà dei lavoratori perché non hanno pulito bene. Se pigi il verde licenziano metà dei lavoratori perché evidentemente ne bastano di meno per fare quel lavoro. Se pigi il giallo licenziano i lavoratori perché nella società della performance bisogna sempre primeggiare.
Nei cessi del Regno è racchiuso il segreto di questa umanità avariata.


Imprigionato nel più violento dei sistemi di disciplina e sorveglianza mai messi in atto nella storia, l’essere umano utilizza le sue ultime forze per giudicare ed essere giudicato. The trials of the Pendle witches, oggi, è ovunque.

Viva Las Vegas! Where the neon signs flash your name, the one-arm bandits cash in, all those hopes down the drain… … …
Morecambe Bay è finis terrae. Oltre le sabbie mobili non c’è più nulla. Solo la fine del Regno e l’inizio dell’Altra parte di Alfred Kubin. Scritto profeticamente pochi anni prima dell’inizio della Grande Guerra, il romanzo racconta un mondo «gravato da un mistero permanente, concitepito come un mosaico di ruderi, antichà, e avanzi decrepiti e corrosi del passato».

Il fallimento della Cop25, la conferenza mondiale sul clima, e la Brexit a venire a seguito delle elezioni britanniche, con conseguente disgregazione dell’Europa, sono collegate tra loro. Sono l’ultima dichiarazione di guerra del capitalismo della catastrofe. L’ennesimo reiterato attentato di Sarajevo. Il casus belli infinito.
«La Brexit come primo passo dello smembramento d’Europa, uno degli assi portanti dell’ordine del secondo dopoguerra, scandirà l’inizio di una fase di straordinaria instabilità. Un po’ come la sospensione della convertibilità della sterlina in oro nel 1914 ha scandito l’inizio di una fase di instabilità culminata nella prima (e poi seconda) Guerra Mondiale, così stiamo assistendo alla lunga agonia dell’ordine geo-monetario del secondo dopoguerra. Sarà tutto fuorché piacevole. Quel che mi spaventa è che, anche nel secolo scorso, è stato necessario attraversare i peggiori incubi per tornare a essere umani» dice Francesca Coin.
Il viaggio al termine della notte della dissoluzione del Regno e della fine dell’Europa si conclude davanti all’Old Pier Bookshop. Una libreria labirinto borgesiano di dimensioni infinite, contenente tutti i libri mai pubblicati dalla notte dei tempi.
Ronnie, il libraio, mostra una copia della seconda edizione originale di The road to Wigan pier di Geroge Orwell, che la fine del Regno l’aveva individuata nel momento della sua massima espansione.
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E il fascismo lo aveva combattuto non solo in Catalogna nel 1936 impugnando le armi contro il Bando Nacional, ma anche e soprattutto a casa propria, individuando nell’adesione della working class bianca britannica all’ideologia imperiale i germi della sua sconfitta.
«Non ci dormo la notte per quello che è successo: un giorno ci sveglieremo e ci renderemo conto di essere stati presi in giro. È facile ripetere gli errori del passato se non li ricordi più. E sappiamo cosa succede quando l’Europa non è unita. Quanto tempo è che non vediamo la guerra tra paesi europei, per quanto tempo ancora potrà durare la pace?» chiede Ronnie.
Le sabbie mobili hanno inghiottito ogni speranza.
Andy Capp si prepara alla guerra.
 

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