Fannie Mae e Freddie Mac
Si allarga la crisi dei mutui
Due nuove falle si sono aperte all'improvviso nel sistema creditizio americano, trascinando al ribasso le Borse mondiali e il dollaro. Se cede la diga, si preannuncia una crisi ancora più grave di quella esplosa l'estate scorsa, e ancora una volta il contagio è desitnato a estendersi all'Asia e all'Europa. Le due nuove falle si chiamano Fannie Mae e Freddie Mac.
Sono due nomi sconosciuti nel resto del mondo, ma familiari agli americani per la loro funzione vitale: da loro dipende l'erogazione dei mutui normali, quelli "sani", considerati sicuri fino a ieri.
I loro prestiti valgono 5.200 miliardi di dollari. Per avere un'ordine di grandezza,
quel volume di prestiti è pari al 58% dell'intero debito pubblico americano. Se crollano queste due istituzioni, la crisi dei mutui "subprime" sembrerà una modesta avvisaglia in confronto a questa deflagrazione. Fannie Mae fu creata nel 1938 dopo il decennio della Grande Depressione: figlia del New Deal di Franklin Roosevelt, è la prima banca di natura semipubblica che ha per unico scopo l'erogazione di mutui-casa a "prezzi politici" controllati dal governo. Il suo successo nel diffondere tra la middle class americana la proprietà delle abitazioni è il fondamento del "sogno americano". Insieme con Freddie Mac, la sua istituzione gemella, queste due maxi-banche di credito fondiario hanno perso nelle ultime tre sedute di Borsa il 90% del loro valore azionario. Un ex dirigente della banca centrale Usa le ha dichiarate "già insolventi a norma di legge".
Ieri sono dovuti intervenire a mercati aperti George Bush e il segretario al Tesoro Henry Paulson per tentare di calmare il panico. "Sono due istituzioni molto importanti", ha dichiarato il presidente. "Oggi la mia preoccupazione primaria è sostenerle", gli ha fatto eco il suo ministro. Ma neppure questi interventi hanno frenato il fuggi fuggi degli investitori. Paulson ha smentito per ora l'ipotesi di una nazionalizzazione, ma più passa il tempo e più questa appare come una delle opzioni sul tappeto. Sarebbe il più gigantesco e costoso salvataggio bancario nella storia mondiale dagli anni Trenta ai nostri giorni.
Il compito istituzionale di "Fannie e Freddie" è vitale per la salute dell'economia reale. Sono loro a finanziare il 50% di tutti i mutui americani. Ma la loro quota sale all'80% dei mutui - quelli regolari, non scadenti - fino a un valore unitario di 417.000 dollari, che è la soglia al di sotto della quale scatta l'intervento delle due banche semipubbliche. E negli ultimi mesi a causa della paralisi del business dei mutui la loro quota del credito immobiliare è salita fino al 98% di tutti i nuovi prestiti. Anche quando una famiglia ottiene il suo prestito dalla Citibank o dalla Bank of America, oppure da una piccola banca locale, in realtà il finanziatore di ultima istanza è uno dei due "gemelli". Sono Fannie e Freddie che ricomprano i mutui dalle banche ordinarie; ne garantiscono il finanziamento emettendo dei titoli obbligazionari che vengono a loro volta comprati e finiscono nei portafogli delle banche, dei fondi d'investimento, dei risparmiatori. Titoli ultra-sicuri - sempre fino a ieri - non come quella "spazzatura" che ha infestato il sistema finanziario mondiale dalla crisi dei mutui subprime.
La tempesta che si è abbattuta su Fannie e Freddie colpisce quella che doveva essere la zona solida del sistema. Ora che si è dileguata la fiducia anche in queste istituzioni onorate, il contagio della crisi può diventare spaventoso. Finora la caduta dei valori delle case ha colpito duramente le fasce sociali più deboli.
Le famiglie a rischio, quelle che stentavano ad arrivare a fine mese, erano strangolate dai mutui subprime. Ma se ora l'intero credito immobiliare si paralizza, il colpo diventa ben più esteso e più pesante. Nessuno è al riparo, neanche i cittadini dai redditi medioalti riusciranno a ottenere un prestito per la casa. Perciò Fannie e Freddie sono davvero l'ultimo argine prima di un collasso generale.
All'origine di questo disastro c'è, paradossalmente, un eccesso di fiducia. Proprio perché Fannie e Freddie erano al di sopra di ogni sospetto, facevano un mestiere che pareva di assoluta tranquillità, le autorità non hanno mai preteso che questi due istituti avessero una dotazione di capitale molto solida. I rischi del prestar soldi per la casa a clienti fidati dovevano essere bassissimi, non c'era bisogno di cautelarsi con accantonamenti eccessivi. Ma ora che i valori del mattone sono in caduta libera, nessuno è più al riparo dalla spirale delle perdite. Anche la clientela più affidabile comincia ad avere difficoltà a rimborsare le rate dei mutui. Pignoramenti e sequestri giudiziari colpiscono non più soltanto il popolo "povero" dei subprime ma anche altre categorie sociali. Di fronte all'aumento delle insolvenze, la dotazione di capitale di Fannie Freddie appare del tutto insufficiente.
Nei bilanci di Fannie e Freddie è apparso un buco di 11 miliardi di dollari in nove mesi, ed è opinione generale che questo sia solo un assaggio. L'allarme partito un anno fa dalla crisi dei subprime appare come un segno premonitore della crisi odierna che arriva ai gangli vitali. Lo ha riconosciuto il banchiere centrale degli Stati Uniti, il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke.
In una testimonianza al Congresso ha dichiarato che "l'instabilità finanziaria iniziata nell'estate 2007 ha menomato la capacità del sistema finanziario di funzionare normalmente, e colpisce negativamente l'intera economia reale". Bernanke ha previsto che l'instabilità possa prolungarsi nel 2009. Ad accentuare la paura dei mercati, travolgendo le Borse e il dollaro, sono state le voci sempre più insistenti di un piano di salvataggio pubblico per Fannie e Freddie riprese sia dal New York Times che dal Wall Street Journal.
Già nei giorni scorsi la Federal Reserve ha compiuto un passo significativo, estendendo il credito d'emergenza al sistema bancario che era stato varato dopo il crac di Bear Stearns. Quella banca d'affari fu salvata appena quattro mesi fa: l'operazione venne presentata come un'acquisizione da parte della JP Morgan, in realtà si fece grazie all'iniezione di fondi pubblici da parte della Federal Reserve. Il salvataggio di Bear Stearns è poca cosa in confronto a quel che sarebbe un'operazione di recupero in extremis di Fannie e Freddie: nel caso estremo in cui il volume dell'esposizione di Fannie e Freddie dovesse finire sotto la responsabilità del governo federale, secondo alcuni economisti questo equivarrebbe a un robusto aumento del debito pubblico nazionale, con le inevitabili ripercussioni negative sull'aumento dei tassi e della pressione fiscale. In cambio la Federal Reserve ora chiede - un po' tardi - un potenziamento dei suoi poteri di controllo sulle banche d'investimento. Che prenda le forme di una nazionalizzazione oppure no, il salvataggio sarà un salasso per i conti pubblici.
Sotto un'amministrazione repubblicana - come ai tempi di Ronald Reagan per il crac delle Savings&Loans - avverrebbe un allargamento dell'intervento dello Stato senza precedenti dal New Deal di Roosevelt.
(12 luglio 2008)
GAME OVER