CAPITALISMO....... MULTIPOLARE !!!!!!!!!!!!! (1 Viewer)

SINIBALDO

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"DIO FAMMI DIVENTARE PADRONE DI MEDIOBANCA" !!!!!!!!!!!!
cardinal "Cesarino" GERONZI
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Passata l'era di Ricucci, Fiorani e C., si torna alla ricerca di nuovi assetti iniziata dopo la fine della vecchia Mediobanca.
Con l'industria che stenta e due nuovi attori: banche e media.


Sono trascorse appena un paio di stagioni, eppure il gotha del capitalismo italiano ha tremato per Gianpiero Fiorani e Stefano Ricucci.

In Italia ormai contano solo due cose: i media e la finanza.

Contano più della politica, variabile debole del potere.

Influenzata, se non plasmata, da chi controlla giornali, tv e banche.

Si gioca tutto qui.


Per questo i riflettori adesso si riaccendono sulla Mediobanca, che di media e finanza resta lo snodo.

Come e ancor più della Rcs Mediagroup, nel cui patto di sindacato è azionista numero uno, Piazzetta Cuccia assomiglia al Palazzo di Vetro.

Non per trasparenza (che pure è aumentata con la gestione dei tre moschettieri Gabriele Galateri di Genola, Alberto Nagel e Renato Pagliaro), ma perché il suo azionariato sembra l'assemblea dell'Onu.


Cosa succede in Mediobanca?

Non sono tutti più tranquilli? Hanno fatto capolino due immobiliaristi poco pericolosi come Danilo Coppola e Luigi Zunino.

Vincent Bolloré è stato leale, anzi ha tenuto lontani dal Corsera i suoi amici francesi, da Dassault a Lagardére. La banca d'affari accumula profitti e sembra attraversare una nuova giovinezza. Eppure, anch'essa è legata alle sorti della Banca popolare italiana.

Il pacchetto Ricucci (il 14 per cento di Rcs) assorbe gran parte delle risorse lodigiane.

Il mercato l'ha capito e ha fatto perdere in un solo giorno, il 19 ottobre, un quinto del valore di borsa, il tracollo peggiore dopo quello del Banco ambrosiano vent'anni fa.

Divo Gronchi, il gestore voluto da Antonio Fazio, non regge; l'alternativa è tra un commissariamento vero o un salvataggio. E, visto il parallelo con l'Ambrosiano, a Piazza Affari tutti pensano a Giovanni Bazoli.

L'amministratore delegato della Banca intesa, Corrado Passera, è prudente.

Il presidente potrebbe intervenire per proprio conto con la finanziaria Mittel o usando Romain Zaleski, il finanziere polacco-francese superliquido dopo l'uscita dalla Edison, con il quale ha riannodato l'antica amicizia.

Ma Bazoli trova sulla sua strada Fazio. E questa volta anche Cesare Geronzi, il quale, sconfitto il piano del ragioniere di Lodi, è pronto a tessere la propria tela.

Se la Bpi finisse nelle sue mani o in quelle della Mediobanca, Geronzi si troverebbe al vertice di un triangolo.

La Capitalia ha come azionisti forti gli olandesi dell'Abn Amro ormai padroni dell'Antonveneta.

Ed è il vero arbitro degli equilibri in Piazzetta Cuccia perché possiede il pacchetto principale e per i buoni rapporti con Bolloré e la cordata francese.

Geronzi, ex bancario di Marino, ha due opzioni: puntare su una fusione tra Capitalia e Antonveneta all'ombra dei tulipani oppure chiamare a

Roma le fondazioni bancarie che si sentono penalizzate dal panzer Alessandro Profumo (Unicredito).

I torinesi della Cassa di risparmio sono disposti ad accettare una diluizione al 5 per cento della loro quota nel nuovo colosso Unicredito-Hypo, i veneti della Cariverona no.

E Paolo Biasi della Fondazione Casriverona, per quanto uso a nascondere le sue intenzioni, mostra interesse.


Rafforzata la banca del potere romano, trascorso il tempo necessario per far decantare lo scandalo Cirio, Geronzi sarebbe pronto a cogliere quella

presidenza della Mediobanca alla quale anela fin dalla morte di Enrico Cuccia e per la quale ha fatto saltare Vincenzo Maranghi.


Allora, aveva al suo fianco Profumo, adesso l'avrebbe contro.

Ma l'amministratore delegato dell'Unicredito è in tutt'altre faccende affaccendato:
deve digerire l'Hypovereinsbank, poi è tentato dalla politica.

E non lo nasconde, tanto da accettare un faccia a faccia con Massimo D'Alema per la rivista del presidente ds, Italianieuropei.

Tra un paio d'anni, per lui come per Luca di Montezemolo, giusto il tempo di far decantare un primo governo Prodi sotto la surenchère di Fausto Bertinotti.


Geronzi, l'unico grande banchiere che non si è visto votare alle primarie dell'Ulivo, deve sbrigarsi.

Le elezioni sono in realtà un acceleratore per tutti. Anche per lo ieratico Marco Tronchetti Provera.

Dopo quattro anni e nonostante la fusione con la Tim, il gruppo Telecom ha 44 miliardi di debiti.


È un colosso dai piedi d'argilla, con un azionariato instabile. Chicco Gnutti, travolto anche lui dal sogno di Fiorani, è in uscita dalla Olimpia, scatola che controlla il gruppo.

Tronchetti potrebbe far prendere la sua quota dalla Pirelli che diventerebbe azionista con l'80 per cento ma con 6 miliardi di debiti.

Gilberto Benetton non può dare una mano: c'è un complesso problema di transizione generazionale. Gli United colors non sono più così uniti, il core business, l'abbigliamento, non va e nel nuovo c'è da smaltire l'opa Autostrade (8 miliardi di debiti) e le acquisizioni dell'Autogrill.

Telecom, insomma, sarà l'altra grande partita del dopofurbetti.

Banche e media, ancora una volta.

Tronchetti preferirebbe non attendere le elezioni. Se vincerà Prodi, la prima preoccupazione sarà sistemare la Rai, con conseguenze a cascata.

Un Silvio Berlusconi tornato al business potrebbe rimettere in circolo la Fininvest. Ma ci sono troppe variabili impazzite.

Così, ha deciso di affidare il suo dossier alla Mediobanca, azionista e consulente.

Dunque, dopo tanto stormir di fronde, si torna all'antica bonaccia con tutti i grandi affari che confluiscono in Piazzetta Cuccia?

In realtà, la stagione dei furbetti mostra che, dopo il capitalismo monarchico, anche quello bipolare è al tramonto.

In finanza ci sta provando Gerardo Braggiotti con la Banca Leonardo, nella quale vuole coinvolgere anche gli Agnelli alla ricerca di nuovi centri di gravità, comunque vada il risanamento di Fiat auto.

Nelle assicurazioni, l'azzardo della Unipol risveglia le Generali, il Leone addormentato.

Nei media si fanno strada i Caltagirone, i Cairo, ma attenti a non sottovalutare il vecchio squalo Rupert Murdoch.

Prime prove, primi vagiti se vogliamo, di un capitalismo multipolare.
(di S.Cingolani)

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SINIBALDO
 

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