Carlo delle Bastonature e la "pura finanza".....

giuseppe.d'orta

Forumer storico
"Il Mondo" di oggi riporta un interessante (per i comici) articolo sull'Ing. (Ing. = INGordo) Carlo Delle Bastonature. La parte in neretto fa comprendere tante cose sul giornalismo finanziario in Italia.....



Politica ? No, grazie. Carlo De Benedetti, 68 anni il prossimo 14 novembre, non ha intenzione di seguire le orme del suo avversario Silvio Berlusconi. Qualche suggerimento a sinistra, forse. Magari un sostegno economico. Ma il suo rapporto con i partiti resterà quello che è sempre stato, subordinato alla sua vera passione. Quale ? Non tutti sono d' accordo sulla risposta. Alcuni dicono l' impresa. Secondo altri, invece, è la finanza. Per stabilire chi ha ragione bisogna partire dagli esordi. Piccolo industriale per eredità paterna e inquilino della famiglia Agnelli in via Oporto, l' Ingegnere aveva un sogno di gioventù. "La mia unica ambizione, per quanto possa sembrare gretta, era diventare ricco. Mi si dirà che non era un' aspirazione molto nobile ma era così", ha dichiarato nel libro intervista con Federico Rampini.

Per raggiungere in una generazione ciò che altri (gli Agnelli) avevano fatto in tre, c' era una sola strada: la finanza. La passione per il trading, le architetture societarie e l' azzardo di Borsa hanno segnato le vicende di De Benedetti fin da quando i giochi di Piazza Affari erano un rito per iniziati e le aziende quotate si contavano a poche decine. Gli è stato attribuito un tentativo di scalata alla Fiat nel 1976, quando il verbo scalare veniva in genere associato al Club alpino. Poi sono venute l' Olivetti, il Banco ambrosiano, la Buitoni, la Société générale de Belgique, la Mondadori, il Credito Romagnolo.
E, ogni volta, pacchetti comprati, venduti, strappati. Non è andata sempre bene. Il solo take over fallito della Sgb è costato all' Ingegnere 1.000 miliardi di lire del tempo. E la plusvalenza ricavata dal 2% dell' Ambrosiano di Roberto Calvi ha significato una vicenda giudiziaria lunga oltre dieci anni e conclusa dall' assoluzione in terzo grado (22 aprile 1998). Ma nell' insieme, a oggi, il bilancio è in attivo. De Benedetti non sarà diventato ricco quanto sperava, ma il gruppo Cir ha fatturato 2.065 milioni nel 2001, in calo rispetto al 2000 (2.505 milioni) ma con un 2002 in ripresa. La semestrale Cir pubblicata il 17 settembre presenta un fatturato consolidato di 1.286 milioni (piu' 24,4% sul periodo corrispondente del 2001), un utile netto di 37,7 milioni e un patrimonio netto di 823,2 milioni. Cir ormai si concentra in tre settori.

L' editoria, con il gruppo Espresso che pesa per circa metà del fatturato complessivo, la meccanica con Sogefi, fondata vent' anni fa assieme a Roberto Colaninno, e le utilities con Energia. Completa il quadro una piccola partecipazione dell' 1,8% in H3g (telefonia mobile). La finanza, quindi, non ha fatto dimenticare a De Benedetti le sue radici nell' industria. E oggi l' Ingegnere può assistere da una posizione agiata alle angosce della Fiat e della famiglia amica rivale che gli ha dato la prima opportunità di fare il grande salto. Gli inizi. La preistoria di Carlo De Benedetti si chiama Boa componenti flessibili. È la piccola impresa del padre Rodolfo, che ha salvato la famiglia dalle leggi razziali con una fuga in Svizzera, Paese dove l' Ingegnere oggi risiede salvo che per le tasse, che paga in Italia. Carlo fa la gavetta e vince la prima sfida della carriera contro il fratello maggiore Franco, oggi senatore Ds.

Nel 1968 diventa amministratore dell' azienda di famiglia che da Boa sarà poi chiamata Flexider e fusa per incorporazione nella Gilardini. Nel 1972 la Gilardini introduce un istituto in uso che inizia a prendere piede nelle società statunitensi più orientate al rischio: le stock option ai manager. L' amicizia con Umberto Agnelli, suo compagno di scuola, e i rapporti di fornitura con la Fiat fanno sì che l' Avvocato imponga De Benedetti alla guida dell' Unione industriali di Torino. Due anni dopo (giugno 1976) De Benedetti cede il 60% della Gilardini alla Fiat contro un pacchetto della casa automobilistica del 5%. L' Ingegnere entra nel direttorio dell' azienda con Cesare Romiti e Umberto Agnelli. Iniziano i cosiddetti cento giorni. Umberto diventa senatore Dc e lascia la carica. Ma si stanca presto di Palazzo Madama e, consegnate le dimissioni, torn a in Fiat ad agosto.
De Benedetti, intanto, ha avuto il tempo di licenziare Gian Mario Rossignolo e Nicola Tufarelli assumendo Vittorio Ghidella dal gruppo Wallenberg e Giorgio Garuzzo. Il fratello Franco, passato anch' egli in Fiat, si è preso come assistente Paolo Cantarella. Il ritorno di Umberto fa precipitare la situazione. De Benedetti si dimette "per divergenze con l' azienda" e rivende alla Fiat il suo 5%. Dirà di averci guadagnato solo gli interessi e che i libici della Lafico, sbarcati a Torino in novembre, gli avrebbero di sicuro dato di più. L' ingresso in Olivetti. Chiudere male con gli Agnelli non ha mai portato fortuna. De Benedetti tenta la risalita fondando la Cofide e comprando la Cir, una conceria di pelli quotata in Borsa. La seconda chance arriva nel gennaio 1978 per via politica. Il senatore repubblicano Bruno Visentini lo chiama in soccorso dell' Olivetti, che fattura 1.500 miliardi e ne perde altrettanti. L' Ingegnere compra in saldo: 15 miliardi. A prezzo di scontri con manager come Franco Tatò, il turnaround va in porto in tempi brevi.

Nel 1979 Time mette in copertina l' amministratore delegato dell' azienda di Ivrea. De Benedetti non si accontenta. Vende il 33% di Olivetti a Saint Gobain (1981) e l' anno dopo lo ricompra per fare posto ad At&t con un guadagno del 50% sui corsi di Borsa. Mette un piede (10%) nella Repubblica di Eugenio Scalfari e Carlo Caracciolo. Il tentativo di acquistare il Corriere della Sera è invece bloccato da Bettino Craxi. Infine, gli propongono l' Ambrosiano per 52 miliardi. Ne esce in meno tempo che alla Fiat. Due mesi e 82 miliardi di ricavi. Nel 1984 incomincia l' avventura nell' alimentare. Prende Buitoni Perugina per 25 miliardi, poi (aprile 1985) offre 497 miliardi all' Iri per la Sme. Un mese dopo si inserisce una cordata Ferrero Barilla Berlusconi con 600 miliardi. Nel luglio 1986 il giudice Filippo Verde invalida la cessione. Ma è nel 1987 che De Benedetti decide il colpo della vita.

Galvanizzato dall' attacco vincente alla Montedison nel quale ha sostenuto Raul Gardini, dà l' assalto al colosso Sgb con la sua Cérus, il suo uomo in Francia, Alain Minc, e Paribas. Nel gennaio del 1988 dichiara di avere rastrellato il 18% dopo avere dato l' annuncio in privato al patron della Générale Réné Lamy presentandosi nella sua casa di Bruxelles, patria del cioccolato, con una scatola di praline della torinese Peyrano. Lamy la prende malissimo e contrattacca. La partita la vince Suez. De Benedetti fatica non poco per liberarsi di un pacchetto ormai inutile. Per riparare la minusvalenza deve cedere Buitoni a Nestlé.

Liberatosi dell' alimentare, De Benedetti si batte ancora una volta con gli Agnelli ai quali porta via il Credito Romagnolo ma, alla fine del 1989, dopo avere comprato Repubblica per 400 miliardi, si trova in piena guerra di Segrate. La rottura del patto di sindacato da parte della famiglia Mondadori si deciderà con un sentenza della Corte d' appello di Roma che darà luogo a uno dei processi ancora in corso per la corruzione dei giudici romani. Ma De Benedetti, dopo la mediazione di Giuseppe Ciarrapico, ci guadagnerà il 50% del gruppo Espresso e una sostanziosa buonuscita. Gli anni del ridimensionamento. Sei ore a Regina Coeli per l' inchiesta sugli appalti alle Poste sono il momento più critico dell' Ingegnere nel periodo di Tangentopoli. Ma non è l' unico problema. L' Olivetti è in crisi. Nel 1992 arriva Corrado Passera, ma la via europea al pc è un vicolo cieco.

De Benedetti mette a frutto un' idea di diversificazione che lo salverà dal fallimento: con Elserino Piol e Francesco Caio costituisce Infostrada e Omnitel. Il 28 marzo 1994 Carlo Azeglio Ciampi, giorni prima di lasciare il passo al primo governo Berlusconi, gli assegna la seconda licenza Gsm per 387 milioni di euro contro i 365 offerti dal consorzio Unitel (Fiat Fininvest). L' esposizione debitoria convince De Benedetti a chiedere, nel settembre 1995, l' intervento di Mediobanca. Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi organizzano un aumento di capitale da 1,3 miliardi di euro, mangiati in un anno dalle perdite. Per l' Ingegnere di Ivrea viene il momento di farsi da parte. Esce per gradi. Prima lascia la presidenza al tandem Caio Francesconi che lanceranno accuse pesantissime sui bilanci societari. Poi riduce la quota al 5% (fine 1996). Nel settembre 1997 l' Olivetti incasserà 1,2 miliardi di euro dal 49,9% ceduto a Mannesmann. Ma al timone c' è già Roberto Colaninno che, da bravo allievo dell' Ingegnere, studia una scalata a Telecom alla quale il maestro non parteciperà. Nel gennaio 1998 la Cir esce dal capitale Olivetti.

L' ultima operazione di pura finanza va a segno a marzo del 2000 quando l' Ingegnere cede una quota della Carlo De Benedetti Web Tech incassando 155 milioni di euro. Da allora i corsi della Cdb sono sprofondati del 98% rispetto al collocamento.
 

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