che spettacolo i grillini e piddini che tutelano il patrimonio di Silvio...

tontolina

Forumer storico
i grillini e piddini che tutelano il patrimonio di Silvio

Matteo Salvini butta là l’idea meravigliosa, la federazione del centrodestra e Berlusconi, che la politica l’ha bazzicata assai prima di scendere in campo, capisce al volo: “Fossi matto, mica voglio finire come i socialisti”.
Il Cavaliere, non è un segreto per nessuno, si è sempre mosso come industriale anche da politico, primum vivere e se possibile vivere bene, lui è, resta mercante, se ti do i voti tu cosa mi dai? C’è chi dice che sul piatto penda la legge che blinda Mediaset dalla scalata ostile di Bollorè, di Vivendi: che spettacolo, i grillini e piddini che tutelano il patrimonio di Silvio, anche se in verità la sinistra lo ha sempre fatto, usando a sua volta l’impero come merce di scambio, di sopravvivenza. Qualcosa che, in piccolo ma neanche tanto, ricorda il patto virtuoso del dopoguerra democratico: tu Pci ti impegni a non fare la rivoluzione e io Dc non ti metto fuorilegge.

Detto questo, sotto il baratto c’è di più, c’è, per cominciare, il fattore umano di un personaggio che al cinismo ha sempre unito un suo tratto inconfondibile, una sorta di visceralità che lo ha mantenuto distinto dal bestiario politico.

Oggi Berlusconi assiste compiaciuto alla processione di nemici che vengono a Canossa, che dopo averlo definito – facendoci carriera, spesso – il peggio del peggio, mafioso, stragista, lo riscoprono statista, affidabile, “uno con cui si deve dialogare”. E lui, eterna Fenice, dialoga, si rende disponibile allo scostamento di bilancio e perfino ad una sudditanza a quella stessa Unione Europea che lo disarcionava una decina d’anni fa.

Ma ieri era ieri, quello che conta ora è il “contrordine, compagni”; o, come direbbe la Paola Taverna passata nell’arco di una luna da professionista dell’antisistema a paladine del sistema, “era un altro momento”; intanto, il Cav si vendica frantumando quel che resta della setta grillina.

No, l’ex mandante di tutti i macelli mafiosi da Portella della Ginestra in poi, a detta di qualche mattoide oggi nelle sabbie mobili del rinnegamento, non diventerà mai presidente della Repubblica ma chiude la sua parabola pienamente riabilitato. Non ha più un partito, gli resta un manipolo di reduci, ma sufficienti a tener su un governo degno dei peggiori bar di Caracas: c’è una Nemesi in tutto questo e finisce per accarezzare col suo tocco letale anche lo stesso centrodestra dove Berlusconi si è sempre sentito a disagio, almeno da quando ha perduto la leadership.

Non scavalcatelo Berlusconi, non toglietegli la scena! Allora sì che l’uomo scaltro ma al fondo affabile diventa un piranha. Non ha mai perdonato a Salvini la sua ascesa e lo ha aspettato lungo il fiume; e Salvini, che come capopopolo è fortissimo ma non è mai riuscito a diventare statista, per dire politicamente adulto, alla fine è passato.

Fregato da se stesso, dalle sue esitazioni, una opposizione flebile, esangue nella prima fase di emergenza da marzo a maggio, balbettante ancora in estate, crocifisso alle infauste scene del Papeete e del citofono, incapace di ridefinirsi mentre una parte sempre più cospicua del suo elettorato assisteva perplessa o basita ai suoi tweet con la Nutella, con la focaccia; se ne giovava Giorgia Meloni, che a sua volta si è guadagnata prima la diffidenza, poi l’ostilità malcelata del Matteo padano, cui risucchia sempre più voti.
E così si ritrova oggi il centrodestra: con tre leader travicello, uno ormai residuale per usura fisiologica; l’altro giovane ma già consumato da se stesso; la terza in ascesa, ma fino a quando? Giorgia Meloni, la patriota, resta legata ad un lascito novecentesco, quella destra casinista e movimentista impersonata dal pizzetto satanico di La Russa, tempi in cui la capa di Fratelli d’Italia era a stento una bebè. Non sarà mai una Thatcher, una Golda Mair, di cui in Italia ci sarebbe urgente bisogno; il suo orizzonte appare interlocutorio, difficile da scorgere, forse perfino per lei stessa.

In questo scenario uno come Berlusconi ci si trova male fisiologicamente. “In un altro momento” lo hanno bollato come erede di Mussolini, un Duce da bere, ma Silvio è un pragmatico e delle ideologie non gli è mai importato niente. Anticomunista, certo, per istinto e per tornaconto, ma questa è sensibilità affatto diversa da un nostalgismo sterile.
Le sue aziende sono sempre state ribollenti di comunisti di risacca, fricchettoni di sinistra, opportunisti della prima ora – e come editore ha fatto la fortuna dei peggiori antifà su piazza, gente che, mentre lo denunciava come cannibale della democrazia, si metteva in fila per farsi produrre all’insegna di un entrismo leninista che in realtà era la democrazia degli anticipi.
Cosa ha uno come Berlusconi in comune con Salvini e con Meloni? Poco e niente, altro che federazione di centrodestra.
Il panorama è sbiscottato e a peggiorare le cose c’è che rispecchia la situazione dall’altra parte, dove non si sa chi comanda e soprattutto chi mandare a comandare; se ne giova, per il momento, lo sciagurato Giuseppi che più va in difficoltà e più campa sulle difficoltà altrui. Per questo dura, per questo stringe le maglie di un controllo che si fa di giorno in giorno più preoccupante e vaneggiante col pretesto della sicurezza sociale.

Usque tandem? In Italia è sempre così, si perde tempo per prendere tempo: poi, di colpo, qualcosa, qualcuno getta un sasso nello stagno e lo scenario si ribalta. Al momento, di uomini della provvidenza non ce n’è e Mattarella lo sa.
 

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