CON iL FASCINO POTETE CAVARVELA PER UN QUARTO D'ORA.POI E'MEGLIO CHE SAPPIATE.....

Buongiorno. Purtroppo sono già incazzato dopo aver letto questo articolo :

Sarà forse una questione genetica ma i figli di questi ministri incartapecoriti, che da una settimana somministrano al Paese dosi mai viste di delirio senile, sono tutti ma proprio tutti dei grandi fenomeni della natura, una sfida alle leggi della statistica. Oh nemmeno uno "sfigato" ma tutti autentici geni con uno o più posti fissi e con compensi che i comuni mortali possono solo sognare. O forse no. Forse sono solo i figli di una classe dirigente che predica bene e razzola malissimo. Forse sono soltanto la punta dell’iceberg di un sistema malato, fondato sul nepotismo e sulla clientela e ostile al merito. E tuttavia, le sparate di Monti, Fornero e Cancellieri, ci offrono una grande opportunità, ossia quella di aprire nel Paese una grande discussione sul tema della mobilità sociale. Dobbiamo interrogarci su come sia possibile offrire a tutti (al figlio di Monti come a quello dell’operaio) le stesse condizioni di partenza e le stesse opportunità così come recita l’articolo 3 della Costituzione che qui ricordiamo: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese."

Ecco a voi i ritratti di questi fenomeni della natura e, come si suol dire, Una coincidenza è una coincidenza due coincidenze sono un indizio tre coincidenze sono una prova:
 
GIOVANNI MONTI (figlio di Mario)

39 anni. A poco più di 20 anni è già associato per gli investimenti bancari per la Goldman Sachs, la più potente banca d’affari americana, la stessa in cui il padre Mario ricopre il ruolo apicale di International Advisor. A 25 anni è già consulente di direzione da Bain & company, dove rimane fino al 2001. Dal 2004 al 2009, vale a dire fino al suo approdo alla Parmalat, Giovanni Monti ha lavorato prima a Citigroup e poi a Morgan & Stanley: a Citigroup è stato responsabile di acquisizioni e disinvestimenti per alcune divisioni del gruppo, mentre alla Morgan si è occupato in particolare di transazioni economico-finanziarie sui mercati di Europa, Medio Oriente e Africa, alle dipendenze dirette degli uffici centrali di New York.

SILVIA DEAGLIO (figlia di Elsa Fornero)

37 anni. A soli 24 anni, mentre già svolgeva un dottorato in Italia, ottiene un incarico presso il prestigioso Beth Israel Deaconess Medical Center di Harvard, il prestigioso college di Boston. La figlia del ministro inizia ad insegnare medicina a soli 30 anni. Diventa associata all’università di Torino a 37 anni con sei anni di anticipo rispetto alla media di accesso in questo ruolo. Il concorso lo vince a Chieti, nel 2010, nella facoltà di Psicologia, prima di essere chiamata a Torino, l’università dove insegnano mamma e papà, nell’ottobre 2011. alla professoressa Deaglio ha certamente giovato nella valutazione comparativa il ruolo di capo unità di ricerca all’Hugef, ottenuto nel settembre 2010 quando era ancora al gradino più basso della carriera accademica, e a ridosso dell’ultima riunione della commissione di esame che l’ha nominata docente di seconda fascia. Come detto, l’Hugef è finanziato dalla Compagnia di San Paolo, all’epoca vicepresieduta da mamma Elsa Fornero.

PIERGIORGIO PELUSO (figlio di Annamaria Cancellieri)

Appena laureato viene catapultato subito all’Arthur Andersen. Un fenomeno della natura. Da lì balza a Mediobanca. Passa poi per diversi enti e dirigenze bancarie tra cui Aeroporti di Roma (consigliere d’amministrazione), Gemina (consigliere) Capitalia, Credit Suisse First Boston e Unicredit per finire, poco tempo fa, alla Fondiaria Sai dove ricopre il ruolo di direttore generale con compenso da 500mila euro all’anno.

MICHEL MARTONE (figlio di Antonio)

Figlio di Antonio Martone, avvocato generale in Cassazione, amico di Previti e Dell’Utri e Brunetta, già nominato da Brunetta presidente dell’authority degli scioperi, ruolo da cui si è dimesso dopo essere stato coinvolto come testimone nell’inchiesta P3. Il superaccomandato Michel Martone ha una carriera universitaria molto rapida: a 23 anni ha un dottorato all’università di Modena. A 26 anni diventa ricercatore di ruolo all’università di Teramo. A 27 anni diventa professore associato. Al concorso, tenutosi tra gennaio e luglio 2003, giunse al secondo posto su due candidati, in seguito al ritiro di altri 6. Presentò due monografie, una delle quali in edizione provvisoria (ossia non ammissibile); ottenne 4 voti positivi su 5, con il parere negativo di Franco Liso, contro i cinque voti positivi ricevuti dall’altra candidata, 52enne con due lauree e 40 pubblicazioni. Tuttavia fu Martone ad ottenere il posto da ordinario. A 37 anni diventa viceministro del governo Monti.
 
Crisi dopo la riunificazione politica
La Germania ha avuto una crisi nel 1990, legata all’annessione della DDR, quando, per ragioni politiche, decise di promettere una prosperità immediata ai sedici milioni di tedeschi dell’Est con la fissazione della parità tra il Deutsche Mark e il marco dell’Est, confinandosi per questo in un angolo economico che un approccio diversa, meno radicale ed effettivo, avrebbe evitato. Nel breve termine, fu come se i tedeschi dell'Est avessero vinto la lotteria. Grazie all'aspettativa dei "paesaggi fioriti" promessi dal cancelliere Helmuth Kohl, scomparvero i programmi e i discorsi, principalmente verdi e socialistoidi, pronunciati dai pensatori della RDA: scrittori, intellettuali e dissidenti. Kohl e la sua CDU, che erano in forte crisi nel 1990, ottennero la gran parte dei voti dei nuovi elettori dell'Est e si confermarono al governo per otto anni fino al 1998. In questo senso, la riunificazione fu un'annessione a misura della destra politica tedesca: una nuova rivoluzione fallita che si aggiunge alla storia nazionale.
Ma, nel medio e lungo termine, questa messe politica capitalizzata dai conservatori determinò una seria crisi digestiva. Il prezzo fu una pesante zavorra per l'economia tedesca, con una forte disoccupazione e la quasi totale deindustrializzazione dell’Est. Si stima che il costo della riunificazione, dovuto all’imperativo politico, fu di un miliardo di euro. L'euro fu l'uscita dalla crisi: la moneta unica configurò un’enorme vantaggio per le esportazioni tedesche nel principale mercato.
Euro come soluzione
Grazie all'euro (virtuale nel 1999, effettivo nel 2002), la Germania "uscì dalla crisi” della riunificazione, una crisi creata perché l'imperativo politico di mantenere Kohl e la sua CDU per otto anni al governo ebbe la meglio sulla razionalità economica, con lo scandalo della Bundesbank di allora. L'aggiustamento antisociale applicato nel 2003 con la cosiddetta "Agenda2010", realizzata dai socialdemocratici, ebbe una scarsa ripercussione sulla crescita. Nel 2007 The Economist quantificò l’effetto in uno 0,2 per cento del PIL. Sono stati soprattutto l'euro e la stagnazione salariale - che ha tolto competitività ai concorrenti europei – che hanno reso supercompetitivi i prodotti tedeschi in Europa. Oggi si sente dire la chiave del successo è da ricercarsi nel tardivo aggiustamento neoliberista e che in questo modo altri potranno uscire dalla crisi. E si dice che la Germania è un modello per la "poca disoccupazione".
Non c'è un modello, ma solo differenze
Ma nella Germania di oggi "con poca disoccupazione", si lavora la stessa quantità di ore di quando c'era "molta disoccupazione": è cambiata la ripartizione del tempo di lavoro e il conteggio della disoccupazione. Grazie a trucchi contabili, più di un milione di disoccupati è stato buttato sotto il tappeto. Dove prima lavorava una persona con condizioni decenti, ora lavorano più persone, molti nel precariato.
In Germania ci sono 8,18 milioni di lavoratori a tempo determinato, part-time, che hanno un minijob o "autonomi precari": il 75 per cento dei nuovi impieghi appartiene a questa categoria. In Germania c'è "poca disoccupazione", perché si è creato un "secondo mercato del lavoro" che è più simile alla disoccupazione che a un passaggio verso un impiego decente con cui poter vivere senza cadere nella povertà. In un paese che aveva una gran fiducia per il lavoro, si è passati all'insicurezza. E un paese, che era socialmente più livellato rispetto alle media europea, ora è presente precipitato una disuguaglianza di tipo statunitense: l’1 per cento più ricco della popolazione concentra il 23 per cento della ricchezza, e il 10 per cento più agiato il 60 per cento, mentre metà della popolazione dispone solo del 2 per cento della ricchezza nazionale (dati del 2007, che quasi ricalcano quelli degli Stati Uniti dello stesso anno).
Valutando questi aspetti, è vero che in Germania c’è meno disoccupazione rispetto alla Spagna (in alcuni zone del Baden-Württemberg c’è quasi il pieno impiego), così come, in modo analogo, c’è meno disoccupazione nei Paesi Baschi che in Extremadura o in Andalusia, e tutto questo ci porta alla banale scoperta delle differenze.
La Germania ha meno disoccupazione, per quanto spiegato prima, e anche perché è differente: perché ha una struttura economica particolare: industriale, esportatrice, con piccole e medie imprese che sono leader mondiali, con un'intensa partecipazione lavorativa nelle imprese e anche con grandi consorzi multinazionali. È un paese fatto a modo suo, con una società che ha la propria mentalità, come tutte le altre. Quello che qui viene considerata una qualità, in altri posti è un difetto, e viceversa. Trapiantare meccanicamente le sue ricette - e proprio quelle che hanno fatto perdere alla Germania molte delle sue virtù - senza considerare le differenze strutturali, è tanto ridicolo quanto pretendere di trasformare l'Andalusia in un Paese Basco. Nei Paesi Baschi ci sono industrie e meno disoccupazione che nel resto della Spagna, e un'amministrazione efficace e meno corrotta che nel Levante.
 
Non c'è un "progetto tedesco"
Alla Germania viene chiesto di essere la guida dell’eurocrisi, ed è naturale perché è la prima economia dell'Europa e la nazione più popolata. Ma la Germania non ha un "progetto europeo". Mentre si agitano ridde di fantasmi sul suo presunto "dominio", la dura realtà è che la Germania non sa che farsene di questa responsabilità e i suoi politici non sembrano preparati ad assumerla. La sua tradizione nazionale verso l'Europa non è davvero esemplare – quale nazione in Europea può vantarla, d'altra parte? - ed è un paese molto provinciale, senza esperienze coloniali, con una tradizione nazionalista che tende più al razzismo che all'universalismo come diceva Heine, con grosse difficoltà a mettersi nei panni degli altri e che durante il mezzo secolo del dopoguerra ha avuto una sovranità ipotecata dagli esiti della disastrosa Seconda Guerra Mondiale, una sovranità che da poco inizia a manifestare al mondo. In queste condizioni e circostanze, la Germania fa quello che fanno tutti in Europa: una politica nazionale.
Il "progetto europeo" della Merkel non va molto oltre alla volontà di vincere le prossime elezioni in Germania, o, come ha detto, "che la Germania esca rafforzata dalla crisi nel G-20". La sua "visione" non va molto oltre l’autunno del 2013 e l'Europa è, innanzitutto, un tema di politica interna: dimostrare fermezza all’elettorato che pensa che la Germania sia il pagatore di un’Europa indebitata, un problema di cui questo paese ha una responsabilità non minore. Il progetto politico della Merkel è il cercare di ripetere nella campagna elettorale del 2013 le stesse cose che disse ai tedeschi nel suo ultimo messaggio di fine d’anno: "Abbiamo meno disoccupazione rispetto a venti anni fa, la Germania sta vivendo un buon momento." Per questo motivo, è sufficiente mantenere la situazione attuale.
Ossia, in primo luogo mantenere le esportazioni tedesche, favorite da un euro a basso presso, sperando che non ci sia un raffreddamento globale che impedisca di compensare la caduta delle vendite nel sud europeo con gli aumenti della domanda in Cina, Stati Uniti, Russia, eccetera, perché un raffreddamento simile distruggerebbe l'attuale "miracolo" e sommergerebbe la Germania in una crisi sicuramente peggiore di quelli dei meridionali, perché il suo potenziale autarchico è minore.
In secondo luogo, mantenere la sua coalizione di governo, che include la coesistenza col FDP, un partito molto settario, che sembra diventato marginale ed extraparlamentare nei sondaggi, ma che determina molto, e tenere a riga i maschi della CDU-CSU che potrebbero sognare di strappargli la leadership. E in terzo luogo, mantenere il nazional-populismo propagato dalla stampa più retrograda e un certo discorso di impresa: il mito della nazione virtuosa che deve insegnare a vivere agli spendaccioni europei, ai pigri greci, ai sensuali francesi e gli altri fantasmi del pantheon dei complessi nazionali.
Se tutto questo dovesse mantenersi, che la periferia europea si sgretoli e che se ne vada all'inferno: si tratta di un aspetto periferico rispetto al principale, il 2013. Anzi, tanto maggiore sarà la rovina altrui, tanto più si potrà sottolineare la differenza della Germania rispetto alla periferia, e tutto questo alimenterà la timorosa consolazione del suo popolo, che oggi è a favore dei presupposti essenziale nei periodi di crisi: "Per lo meno a noi, non va così male."
La Germania non è la cosa peggiore: la cosa peggiore è la Spagna
Si dirà che è una cosa stupida, ed è vero, ma non la più stupida: i più stupidi siamo noi.
Se nella linea tedesca c'è per lo meno una logica politico-esportatrice, che potevamo considerare irresponsabile, temeraria e miope, come qualificare il disciplinato gregarismo masochista dei governi di Francia, Spagna e degli altri, che neanche difendono gli interessi nazionali e che consentono una politica che aggrava la propria crisi?
In Spagna c'è stato neanche un "mea culpa" per l’immobiliare. Non c’è stato aeroporto inutile o distruzione di litorale che ha portato qualcuno in carcere. Al contrario, il discorso politico dell'attuale partito di governo rivendica quella "fase di crescita" che il partito ora all'opposizione non ha mai messo in questione.
Non sappiamo se c'è un "piano" per questa crisi, oltre l'evidente volontà di approfittarne per terminare la distruzione dello Stato sociale e del consenso europeo del dopoguerra, ma dobbiamo metterci di accordo su una cosa: nell'Europa odierna, la stupidità è internazionale.
Di fronte alla divisione di un’Europa in paesi virtuosi e spendaccioni, che pretende di dissolvere I problemi sociali in questioni nazionali, bisogna constatare l'assoluta unità della stupidità europea come primo passo dell'internazionalismo.
E un’altra cosa: gli asini volano.
I "mercati" sono le banche
Ci dicono sempre che bisogna digiunare e che bisogna uccidere la vecchietta perché è improduttiva, che bisogna mettersi i pannolini per andare al lavoro, ben disciplinati e intimoriti per la disoccupazione e accettare le ingiustizie e lo sfruttamento in nome della "competitività", perché così l'esigono "i mercati". Ci dicono che "noi siamo i mercati”. No, i mercati sono di chi li gestisce e li manipola: le banche, i fondi di investimento, le agenzie di rating, eccetera, eccetera. Siccome gli asini volano, i mercati sono le banche. Così, quando qualcuno vi dice che bisogna fare qualcosa, "perché lo esigono i mercati", mettete la mano al portafoglio, perché ve lo stanno portando via.

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Fonte: El fraude del modelo alemán y el mito de su “proyecto político”
03.02.2012
 
spread 364 :up:

ngiorno rekkie faxate :D

merkati: ritracciamento nell'aria :-? , boccata d'ossigeno agli orsetti :-o

x quelli che postano articoli lunghi che nessuno legge:-o : fonte, data e sunto sono graditi :D
 
Diomedeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee

stai pubblicando una enciclopedia....mi prendo la mattina libera per leggere :D
 

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