COOP...........E POTERE !!!!!!!!!!!!!! (1 Viewer)

SINIBALDO

Forumer attivo
La Coop dei capitali

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Si sono sganciate dalla presa dei Ds e hanno cominciato a macinare ricavi e utili.

Sono diventate una potenza economica che ha deciso di giocare sui grandi tavoli dell'industria e della finanza.

Come Granarolo con Parmalat, Conserve Italia con Cirio e ora Unipol con Bnl.

Negli anni Settanta li chiamavano «boiardi rossi», quasi a rivendicare il peso del Pci negli appalti pubblici ai tempi d'oro dell'Italstat di Ettore Bernabei.

Poi, con la svolta di Achille Occhetto nel 1989, sono arrivati i primi «cesaristi», i padri-padroni delle coop, che lentamente cominciavano a sfilarsi dal controllo e dall'inquadramento politico di Botteghe Oscure;

quindi la lunga stagione di Tangentopoli che ha restituito al Paese un gruppetto di aziende sottocapitalizzate e senza più numi tutelari.

Che cosa è rimasto oggi di questo ritratto ingiallito delle coop rosse?

Assai poco.

Il fil rouge della solidarietà nazionale, i principi mutualistici e il radicamento al territorio hanno resistito negli statuti delle imprese cooperative, così come i nomi dei signori dell'economia sociale.

Tutto il resto è una storia ancora da scrivere.

A cominciare dai protagonisti e dalle partite che si stanno giocando sul tavolo dei futuri assetti economici in Italia.

Dalle Frattocchie a Parmalat.

Hanno imparato il mestiere alla Scuola delle Frattocchie, quella che ha formato la classe dirigente del Pci, e girano con autista e auto blu.

Dicono di aver reciso ogni legame con i Ds, ma portano ancora in tasca la tessera del partito.

Muovono affari nell'ordine di miliardi di euro l'anno (oltre 80 miliardi, insieme con le coop bianche) e si spostano senza soggezione tra i circuiti

della Borsa, così come sui banchi del Parlamento, dove allacciano relazioni con esponenti di spicco di An (sempre disponibile il ministro delle Politiche agricole, Gianni Alemanno),

dell'Udc (dalla liaison con l'ex ministro delle Politiche comunitarie, Rocco Buttiglione, ai primi approcci con il segretario Marco Follini), della Margherita (il feeling con Francesco Rutelli non è mai venuto meno)

e, naturalmente, dei Ds (a partire dalle dichiarazioni distensive del segretario Piero Fassino fino all'appoggio incondizionato di Pierluigi Bersani).

Se poi annusano un business, sono capaci di allearsi con l'inossidabile Confindustria di Luca Cordero di Montezemolo (come stanno facendo per il recepimento in Italia delle direttive comunitarie sugli appalti)

o con la potente Compagnia delle Opere di Raffaello Vignali (partner di peso della Coopfond, la cassaforte della Lega cooperative gestita da Marco Bulgarelli, in Obiettivo Lavoro).

Per fare lobby, ma anche per guadagnare soldi.

Qui, la coloritura politica conta davvero poco.

Sono i nuovi capitalisti del sociale: gente capace di creare cordate con i colossi privati per le grandi opere e farsi avanti per rilevare gli asset

di Parmalat (è il caso di Granarolo) o guardare nel piatto di quel che resta della Cirio (come ha fatto Conserve Italia).

Ma soprattutto sembrano vicini a mettere mano al portafoglio per lanciare la loro offerta sulla Bnl, come nel caso delle coop che controllano Unipol.

Il paradigma Unipol.

Per capire il ruolo delle coop rosse nella partita su Bnl, bisogna salire ai piani alti di via Stalingrado 45, a Bologna.

Qui ha sede Unipol (la compagnia di assicurazioni che sta valutando l'ipotesi di una contro-Opa sull'istituto guidato da Luigi Abete,

oggetto del desiderio degli spagnoli del Bbva),

ma qui c'è anche il quartier generale della Holmo, la scatola del potere cooperativo rosso che detiene il 51% di Finsoe che,

a sua volta, controlla il 32% del capitale di Unipol.

Nella Finanziaria dell'economia sociale (Finsoe) non mancano facce note.

Ci sono i «cugini» del Monte Paschi di Siena, altra roccaforte finanziaria della sinistra, che però hanno fatto mancare il loro appoggio alle ambizioni del presidente della compagnia felsinea Giovanni Consorte su Bnl.
(di G.Francavilla)
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SINIBALDO
 

carlodabs

Nuovo forumer
PER I CANDIDATI DELL UNIONE BATTE IL CUORE DELLA COOP
da milano finanza

L"assegno piu consistente-30 mila euro- è stato staccato per il presidente del Lazio Piero Marrazzo,ma in campagna eletorale hanno sostenuto Sergio Cofferati,Claudio Burlando, Ottaviano dell Turco e una miriade di amministratori ds e margherita.. In tutto i contributi "volontari" in appena due mesi, sono ammontati a a oltre 200.000 euro...........

La COOP SEI TU, CHI PUOI FINANZIARE DI PIU''??????
 

gano

Nuovo forumer
Ammazza....200000 euro per una miriade di amministratori e alcuni big nazionali, si saranno potuti permetter qualche caffè durante le campagne elettorali......
dove sta lo scandalo??
 

ricpast

Sono un tipo serio
il dibattito sul finanziamento della politica è diverso dal caso unipol.
Credo anche che sia un dibattito che non va banalizzato con le frasi da bar.
 

Nonsoniente

Forumer storico
Allego articolo interessante trovato in rete. Sara vero? di norma la realtà supera di gran lunga la fantasia.

Mandiamoli tutti a lavorare la terra con la Zappa.


DI STEFANO VERNOLE
L’intero mese di agosto ha visto l’opinione pubblica italiana dibattere su un tema che si credeva ormai dimenticato, la cd. “questione morale”, che ha interessato in primo luogo i rapporti tra DS, COOP e Unipol.
Questa polemica risolleva il problema degli intrecci tra politica, economia e finanza, un connubio al quale l’ex Partito Comunista Italiano ha sempre partecipato da protagonista, stante il ruolo “reazionario” da lui assunto nella cd. “Guerra Fredda”.
Charles Levinson lo spiegò esattamente alcuni anni fa: “La tendenza favorevole alla distensione si delineò quando le aziende capitalistiche capirono che i bisogni essenziali delle economie comuniste potevano essere fonte di grandi profitti: si trattava di valorizzare al massimo i vantaggi offerti dai Paesi dell’Est, bassi salari, assenza di scioperi, costi di produzione meno elevati. Il sistema così realizzato si fonda su un finanziamento costituito da crediti occidentali concessi a tassi d’interesse estremamente bassi. Come contropartita alla concessione di tecnologia capitalista, i Paesi dell’Est pagano cedendo a queste società private parte della produzione, che può essere riesportata verso i mercati occidentali …”(1).

L’Italia iniziò nel 1961 con un prestito all’URSS di 100 milioni di dollari, cui seguì quello del 1966 di 363 milioni di dollari; entrambi erano a favore della fabbrica automobilistica FIAT (per veicoli e pezzi di ricambio) e tra le banche coinvolte troviamo Bank of America, Chase Manhattan Bank, Banca Commerciale Italiana, Banco di Roma, BNL, Credito Italiano …(2). I crediti italiani furono concessi sotto la pressione delle grandi multinazionali, delle banche e del PCI e prevedevano ad es. gli accordi di cooperazione in Bulgaria, quelli per l’ENI (chimica), Pirelli (gomma) e Montedison (etilene e propilene) in URSS: la vendita di questi prodotti in Italia fu una delle cause di chiusura delle fabbriche e del numero crescente di licenziamenti negli anni sessanta, come ad es. alle Montefibre. Pur non figurando nell’organigramma ufficiale del PCI, Enzo Gemma fu uno degli artefici del potere economico parallelo costruito dal partito. Tutte le trattative tra Finmeccanica e URSS o altri Paesi socialisti furono condotte tramite la Restital, una società d’import-export creata nel 1966 a Milano, amministrata da Gemma e appartenente completamente al PCI. Tra le truffe che videro protagonista il partito, è sufficiente ricordare quella condotta dalla Italcoop e dalla Moresco all’inizio degli anni Settanta (3). D’intesa con le autorità della Germania Orientale, che acquistavano la carne a un prezzo preferenziale in Bulgaria, Ungheria e Romania per poi nazionalizzarla; i carichi venivano inoltrati in Italia attraverso una società di camion frigoriferi, ovviamente appartenente al PCI, per essere rivenduti allo stesso prezzo dei prodotti acquistati realmente sul mercato europeo. Un’enorme frode, che portò nelle casse del PCI oltre 40 miliardi di lire e rese ancora più critica la situazione degli agricoltori italiani.
Ma gli affari erano in realtà l’iceberg di un chiaro progetto politico.

Le significative dichiarazioni dei principali esponenti del PCI che si preparavano ad entrare nei “Governi di Solidarietà Nazionale” (1976-1978) furono frutto di un lavoro sotterraneo svolto dai principali esponenti dell’intellighentia mondialista. Intervistato dal “Business Week”, Giorgio Napolitano – responsabile dei problemi economici nell’Ufficio politico – dichiarò: “Noi non ci opponiamo alle multinazionali. L’impresa privata lavorerà meglio in un’Italia governata in modo migliore”. Luciano Barca, noto economista del PCI, confermò: “Quello che ci preoccupa non è il fatto che le multinazionali siano presenti nel nostro paese, ma che lo abbandonino”. Sergio Segre, responsabile per la politica estera del PCI, arrivò addirittura a pubblicare un articolo sulla questione comunista in Italia nel prestigioso “Foreign Affairs”, la bibbia mensile del CFR, nel quale descrisse “Roma città aperta agli uomini d’affari internazionali anche dopo l’accesso dei comunisti al governo” (4).

L’entrata al governo di un PCI stabilizzatore che controllasse gli elementi più attivi dei sindacati fu considerata una necessità dal grande padronato; essa si svolse sotto la regia attenta della Trilateral Commission, fondata nel 1973, che finanziò in Italia l’acquisto da parte di nuovi proprietari della quasi totalità dei quotidiani e settimanali (5). Tra il 1975 e il 1976, il PCI beneficiò di una campagna di stampa intensiva, “Corriere della Sera” e “La Stampa” in testa, che mise in luce il suo attaccamento all’indipendenza nazionale, la sua serietà, la sua moderazione e soprattutto la sua pulizia rispetto alla corruzione ambientale.
L’affidabilità del PCI fu testata in precedenza da numerosi episodi. Secondo il Levinson, Michele Sindona, prima di cadere, fece qualche regalo a Botteghe Oscure durante le sue speculazioni. Carlo Bardoni, ex braccio destro di Sindona poi detenuto nelle carceri di Caracas, ricordò come l’Amincor Bank AG con sede in Svizzera e di proprietà dello stesso banchiere siciliano, avesse un conto fiduciario segreto sotto il nome di SIDCO, sigla che stava per Sindona-Comunisti e fosse usato per il passaggio di fondi al PCI (6).

Il 20 maggio 1975 arrivò nella sede del PCI una lettera per Segre inviata dal CFR; in essa gli venne proposto un viaggio a Washington per il 24-25-26 ottobre 1975. Nel giugno 1975, Giovanni Agnelli atterrò a Mosca per trattare con German Vishyany l’aumento della produzione negli stabilimenti di Togliattigrad, che sarebbero dovuto passare da 700.000 a 1 milione di veicoli all’anno.
Agnelli fu accompagnato da Sargent Shriver, cognato di Kennedy, già ambasciatore americano a Parigi e avvocato commercialista responsabile del Kaplan Fund, fondazione collegata alla CIA. Essi saranno raggiunti e aiutati per tutto il corso del negoziato da Piero Savoretti, principale intermediario del PCI per le operazioni commerciali con l’Est. Raggiunto l’accordo anche grazie al mediatore libico Ahmed Jallud, l’operazione vide la partecipazione anche di Don Mintoff, Primo Ministro dell’isola di Malta legato a Vincenzo Galetti, dirigente della Lega delle Cooperative controllate dai comunisti. Insieme alle conferenze a Roma di Zbigniew Brzezinski del novembre 1974 sul futuro della politica statunitense, durante le quali grazie alla mediazione di Altiero Spinelli (7) il noto esponente della Trilateral incontrò Segre per due volte, l’affare moscovita svolse un ruolo decisivo per completare la triangolazione USA-PCI-URSS. Il PCI fu l’unico partito italiano ad essere preventivamente informato dell’entrata dei libici nella FIAT, Agnelli ne parlò infatti con Segre che decise d’inviare una missione a Tripoli per perorare presso Gheddafi la causa della casa automobilistica torinese. Il premier libico decise inoltre di affidare a una società d’import-export italiana controllata dal PCI la mediazione per una serie di forniture dall’Italia (8).

Il mese successivo (luglio 1975) a Villa Serbelloni di Bellagio, sul Lago di Como, appartenenti alla Fondazione Rockfeller s’incontrarono con Zygmunt Nagorsky e Sergio Segre; Nagorsky, alto funzionario del CFR, aveva lavorato negli ultimi due anni sul caso dell’Italia, paese definito ingovernabile ma nel quale l’avanzata di un partito comunista di tipo riformista sarebbe risultato un fattore di stabilità. Nel suo viaggio a Washington, Segre avrebbe dovuto incontrare David Rockfeller, George Ball, il prof. Luigi Einaudi – specialista di problemi italiani alla Rand Corporation e Jimmy Carter. Il 1° settembre 1975, però, l’ambasciatore statunitense a Roma, John Volpe, concesse al settimanale “Epoca” un’intervista che fece scalpore: “Washington non tollererà mai la partecipazione dei comunisti ad un governo di uno Stato membro della NATO”.

L’operazione Segre era venuta a conoscenza della frazione “irredentista” del Dipartimento di Stato, contraria alla collaborazione attiva di Kissinger con il PCI; scopo dell’intervista di Volpe fu di mettere in guardia il Segretario di Stato USA dall’opposizione di James Schlesinger, ex Ministro della Difesa e di Eagleton, ex direttore del Controspionaggio.
Dopo le elezioni amministrative del 1975, il “New York Times” affidò allora la cura degli affari italiani a Cyrus L. Sulzberger, membro del CFR; dopo il suo incontro con Berlinguer, tutta l’avversione verso i comunisti improvvisamente si dissipò, grazie anche al parere positivo di Richard Gardner, che sarà ambasciatore statunitense in Italia dal 1977 al 1981 e membro di Trilateral, CFR e Comitato per le relazioni USA-URSS, delegato Fiat a New York, favorevole all’entrata del PCI nel governo.
Rimarrà il gioco delle parti e così sia Kissinger sia Berlinguer dichiareranno che “la CIA si oppone a un governo comprendente il PCI”, in realtà il servizio d’informazioni statunitense in 15 fogli dattiloscritti elaborati dalla sua sezione romana e dal suo nuovo capo, Hughes Montgomery, giudicò la partecipazione comunista al governo italiano “non solo probabile, ma auspicabile” (9).

La conferma arrivò nel luglio 1976, quando la Chase Manhattan Bank e la First National City Bank concessero rispettivamente 790 e 637 milioni di dollari all’Italia, un paese che secondo l’immagine popolare nordamericana era in quegli anni sul punto di cadere sotto il dominio comunista … In realtà sia David Rockefeller sia Arthur Wriston, così come i loro colleghi banchieri del Bilderberg e della Trilateral erano favorevoli all’apporto politico del PCI, destinato a rappresentare in Italia un fattore di moderazione e stabilità.
Concludendo, nulla sembra cambiato rispetto ieri e non si può oggi non essere d’accordo con la definizione data allora dal Levinson: “ Il PCI è un’immensa impresa capitalistica grazie alle sue numerose società commerciali,, completamente legate alle banche di tutto il mondo, comprese quelle dei paradisi fiscali” (10).

Un affettuoso saluto a Sinibaldo.
 

Nonsoniente

Forumer storico
Ciao Leon ho trovato per caso quell'articolo e sulla sua veridicità non posso metterci la mano sul fuoco. Intuitivamente penso che ci sia del vero. D'altronde Massimo non disdegna la frequentazione di Soros. Per uno che a 14 anni era già iscritto alla federazione dei giovani comunisti, non è proprio il massimo della coerenza.
Ciao Mauro.
 

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