crisi enrgetica: scacco matto della Russia vs l'EU

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Europa, crisi energetica "entro ore". Da Mosca stop consegne gas a sei paesi

Stampa Invia Commenta (6) di: WSI | Pubblicato il 15 gennaio 2015| Ora 07:36


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La decisione è stata presa dal presidente Vladimir Putin. Gazprom ha tagliato esportazioni del 60%.
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Balzo dei futures sul gas naturale dopo stop consegne russe a sei paesi.



ROMA (WSI) - Europa in alert per imminente mancanza di gas naturale. La prossima crisi energetica potrebbe scattare tra qualche ora, causa la dipendenza dalla Russia.

Il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato infatti al colosso energetico Gazprom di interrompere le forniture di gas naturale dirette verso l'Ucraina o che attraversano il paese con l'accusa, stando a un report di Daily Mail, che Kiev starebbe rubando il gas.

Gazprom ha così tagliato le esportazioni all'Europa del 60%, dopo aver interrotto completamente le consegne a sei paesi europei, ovvero alla Bulgaria, alla Grecia, alla Romania, alla Croazia, alla Macedonia e alla Turchia.

Il 40% circa delle esportazioni russe di gas verso l'Europa e la Turchia avviene attraverso la rete ucraina.

Ma, sulla scia della guerra e delle ripetute tensioni tra i due paesi, la Russia, stando a quanto dichiarato da Alexey Miller, CEO di Gazprom, ora ha un piano per trasferire tutte le forniture di gas naturale attraverso una nuova rete che attraversi la Turchia. Miller ha confermato la strategia di Gazprom, più grande fornitore di gas naturale al mondo: 63 miliardi di metri cubi sostituirebbero completamente le consegne che avvengono ora attraverso l'Ucraina, dirottati verso una rete che passerebbe sotto il Mar Nero e attraverserebbe la Turchia.

Maros Sefcovic, vice direttore generale dell'Unione energetica della Commissione europea, si è detto "molto sorpreso" e ha precisato che una rotta turca, senza l'Ucraina, non sarebbe adatta a rifornire di energia l'Europa. [perchè il gas si islamizza?]

Ma Mosca è ferma. "La decisione è stata presa - ha detto Alexander Novak, ministro russo per l'Energia, in una conferenza stampa a Mosca dopo aver incontrato Sefcovic - Stiamo cercando di diversificare e di eliminare il rischio di paesi inaffidabili che hanno provocato problemi negli ultimi anni, inclusi i consumatori europei".

E Miller ha affermato: "Abbiamo informato i nostri partner europei, e ora dipende da loro se vogliono contribuire al piano, costruendo infrastrutture iniziando dal confine tra la Turchia e la Grecia". E ancora: "Non ci sono altre opzioni" se non quella del passaggio turco.

Fonti
 
Putin il Gran : l’orso ruggisce ed ordina “NO Gas”

In passato avevamo parlato dell’ipotesi di chiusura delle forniture di Natural Gas attraverso l’Ucraina, un paese che si è spesso dimostrato inaffidabile nel rispettare i patti e le recenti operazioni di pulizia etnica nelle zone filorusse ha aggravato le tensioni.
Adesso leggiamo questa notizia:
Europa in alert per imminente mancanza di gas naturale. La prossima crisi energetica potrebbe scattare tra qualche ora, causa la dipendenza dalla Russia.
Il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato infatti al colosso energetico Gazprom di interrompere le forniture di gas naturale dirette verso l’Ucraina o che attraversano il paese con l’accusa, stando a un report di Daily Mail, che Kiev starebbe rubando il gas.
Gazprom ha così tagliato le esportazioni all’Europa del 60%, dopo aver interrotto completamente le consegne a sei paesi europei, ovvero alla Bulgaria, alla Grecia, alla Romania, alla Croazia, alla Macedonia e alla Turchia.
Il 40% circa delle esportazioni russe di gas verso l’Europa e la Turchia avviene attraverso la rete ucraina.
Ma, sulla scia della guerra e delle ripetute tensioni tra i due paesi, la Russia, stando a quanto dichiarato da Alexey Miller, CEO di Gazprom, ora ha un piano per trasferire tutte le forniture di gas naturale attraverso una nuova rete che attraversi la Turchia. Miller ha confermato la strategia di Gazprom, più grande fornitore di gas naturale al mondo: 63 miliardi di metri cubi sostituirebbero completamente le consegne che avvengono ora attraverso l’Ucraina, dirottati verso una rete che passerebbe sotto il Mar Nero e attraverserebbe la Turchia.
Maros Sefcovic, vice direttore generale dell’Unione energetica della Commissione europea, si è detto “molto sorpreso” dai commenti di Miller e ha precisato che una rotta turca, senza l’Ucraina, non sarebbe adatta a rifornire di energia l’Europa.
Ma Mosca è ferma. “La decisione è stata presa – ha detto Alexander Novak, ministro russo per l’Energia, in una conferenza stampa a Mosca dopo aver incontrato Sefcovic – Stiamo cercando di diversificare e di eliminare il rischio di paesi inaffidabili che hanno provocato problemi negli ultimi anni, inclusi i consumatori europei”.
E Miller ha affermato: “Abbiamo informato i nostri partner europei, e ora dipende da loro se vogliono contribuire al piano, costruendo infrastrutture iniziando dal confine tra la Turchia e la Grecia”. E ancora: “Non ci sono altre opzioni” se non quella del passaggio turco.
Mosca, stop consegne di gas a sei paesi europei. Crisi energetica ?entro ore? | Imola Oggi
Ora sarà molto interessante capire cosa farà l’unione di imbecilli socialisti dinanzi a tale situazione.
 
Ecco i primi dati sul crollo dell'oil crude per mettere in ginocchio la Russia

Ecco i primi dati sul crollo dell'oil crude per mettere in ginocchio la Russia ed Iran o almeno così tamburava Milano Finanza


Il crollo del petrolio innesca i primi default nel settore

di Sissi Bellomo





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Per gli avventurieri del petrolio sta arrivando il redde rationem. Una serie di piccole società che avevano finanziato le loro attività estrattive con montagne di debito è già finita in default o comunque è molto vicina ad alzare bandiera bianca, ammettendo di non essere in grado di onorare il pagamento degli interessi o di rimborsare un debito.
Finora l’unico nome di un certo rilievo a trovarsi in queste condizioni è Afren, una compagnia quotata a Londra, con asset concentrati soprattutto in Nigeria, di cui le maggiori agenzie di rating hanno previsto un «default imminente».

Le altre sono piccole società, poco conosciute ai non addetti ai lavori, e lontane dalle cronache internazionali, distratte in questo periodo dalla pubblicazione dei bilanci delle major e dalle estreme oscillazioni di prezzo sul mercato del petrolio, ormai campo di battaglia tra speculatori: la volatilità, misurata dal Cboe Crude Oil Volatility Index, è ai massimi da aprile 2009 e ieri c’è stata una nuova violenta virata al rialzo.





La fine del ciclo negativo appare comunque lontana e i ribassi degli ultimi mesi, che hanno più che dimezzato il prezzo del petrolio, hanno messo in serie difficoltà persino i colossi del settore. Per le società più piccole e finanziariamente fragili le cose si stanno mettendo davvero male.
Dopo la bancarotta della texana Wbh Energy, il primo tra gli operatori dello shale oil, questo mese hanno dichiarato fallimento anche due società canadesi: la Southern Pacific Resource, attiva nelle sabbie bituminose dell’Alberta, e la Gasfrac, proprietaria di un brevetto su una tecnologia per fare fracking senz’acqua, protgonista pochi anni fa di performance di borsa strepitose (il suo titolo si apprezzò del 180% nei sette mesi successivi al collocamento nel 2010). Sempre in Canada un’altra società di oil sands, Laricina Energy, ha appena fatto default su un debito, mentre Connacher Oil & Gas si è messa in vendita, mentre cerca disperatamente di ristrutturare il debito, ammettendo gravi problemi di liquidità.

Dopo un default è intanto riuscita a trovare un acquirente la statunitense Lucas Energy, che opera nello shale oil di Eagle Ford in Texas ed è quotata al Nyse: c’è un memorandum di intesa con Victoria Energy, che dovrebbe aiutarla a trovare  20 milioni di dollari. In precedenza negli Usa c’è stato il default di Endeavour International, l’unico per ora tra le società energetiche sottoposte al rating di Standard & Poors’, che ovviamente l’aveva già classificata da tempo a livello «spazzatura».
È probabile che il suo caso non rimarrà a lungo isolato. Nel comparto high yield, quello delle società a rischio insolvenza, la stessa S&P ha declassato da ottobre ben 19 società energetiche Usa. Otto di queste sono sprofondate ulteriormente nella categoria “junk”: un percorso che ha come destinazione finale la bancarotta. La britannica Afren i gradini di questa scala li ha già scesi quasi tutti: un paio di giorni fa S&P ha abbassato il suo rating a SD, ossia “Selective Default”, quello in cui ci sono già alcune obbligazioni non rimborsate alla scadenza. Di peggio c’è solo il rating D, assegnato in caso di completa insolvenza.
Ubs prevede che i default saranno all’ordine del giorno, se il petrolio non si risolleva: nei prossimi 12 mesi rischia di non essere rimborsato il 15% dei junk bond energetici Usa o addirittura il 25% se ci sarà una generale stretta creditizia.
Deutsche Bank lo scorso novembre aveva fatto previsioni ancora più pessimiste: se il petrolio fosse sceso sotto 60 $ (cosa che si è puntualmente verificata) il tasso di default tra le società con rating tra B e CCC sarebbe potuto salire al 30%, con ripercussioni a catena su tutto il comparto high yield e forse anche oltre.
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