Ignatius
sfumature di grigio
Provo a condividere un ragionamento personale con la collettività; se poi le cose evolvono male, trarrò le opportune conseguenze (ci sono sezioni off-topic di altri forum dove è ammessa l'apertura di un solo thread di cazzeggio per volta, sezioni (apposizione) non infestate di perniciosi moderatori ed ex-moderatori!).
_____________________
Oggi Trump dovrebbe annunciare le sue iniziative sui dazi, la Cina preannuncia rappresaglie (costituite da ulteriori dazi), e in varie parti del mondo l'idea dei dazi sembra prendere piede.
C'è chi è contrario per ragioni "ideologiche": le merci e le persone (oltre che i capitali) devono potersi spostare con meno ostacoli possibili; grazie alla globalizzazione si può mangiare Parmigiano Reggiano in Perù e fumare il crack colombiano in Alaska, permettendo ai cittadini di conoscere qualcosa del mondo anche senza spostarsi.
Mi pare di ricordare che il mio libro di Economia Politica dimostrava che, nel classico ambiente asettico "di laboratorio" usato per le spiegazioni esemplificative, anche un Paese meno efficiente di un altro aveva interesse ad aprirsi alle importazioni, nel medio-lungo termine.
Poi ci sono gli ideologisti "pro dazi": dagli ecologisti che ritengono che le materie prime e le merci debbano viaggiare il meno possibile, per inquinare di meno ("chilometri zero"), ai nazionalisti che preferiscono che ogni Paese utilizzi prevalentemente ciò che esso stesso produce, per mantenere le identità locali, ma anche per ridurre la dipendenza dall'estero per settori strategici (ad esempio: se lo Stato X dipendesse dallo Stato Y per approvvigionarsi di armi e di cavi per telecomunicazioni, ne potrebbe risultare succube).
_____________________
Ovviamente un confronto sulle ideologie non ha senso: in base al vissuto personale, ciascuno darà (legittimamente e soggettivamente) più peso ad un aspetto.
_____________________
Però ci potrebbe essere un confronto sugli aspetti pratici, terra terra, down-to-earth, come direbbe Trump.
La visione pratica, secondo me, è molto semplice.
L'introduzione di dazi può risultare convenienti ai Paesi "importatori netti", ovvero quelli che importano più di quello che esportano, e risulta svantaggiosa per gli "esportatori netti".
Il caso classico è quello della Germania, un esportatore netto (più sbilanciato della Cina!), il che vuol dire che può dare lavoro non solo ai contadini, operai, impiegati e dirigenti necessari per produrre i beni che consuma in loco, bensì anche ai lavoratori necessari per produrre beni destinàti all'esportazione.
Viceversa un Paese come gli U.S.A., che è un importatore netto, di fatto consuma beni prodotti da lavoratori all'estero, e quindi impiega meno lavoratori di quanti sarebbero necessari se decidesse di essere "autarchico".
Quindi, se gli Stati Uniti e la Germania consumassero quello che producono, automaticamente la disoccupazione dovrebbe salire in Germania (che chiuderebbe la quota di fabbriche che lavoravano per l'export) e scendere negli U.S.A. (verrebbero assunti i lavoratori necessari a produrre in casa ciò che prima veniva importato).
Fin qui è pura matematica (con l'ipotesi sottile ma forte che si tratti di un gioco a somma zero, ma tralasciamo questo dettaglio, così come l'esito delle partite creditorie tra imprese e Stati).
_____________________
Che effetti avrebbe l'approccio pratico in Italia?
Ipotizziamo che l'Italia introduca generici dazi all'ingresso delle merci, cui segua (ragionevolmente) l'introduzione, a titolo di rappresaglia, di altri dazi sui prodotti italiani da parte dei Paesi che prima esportavano senza vincoli verso l'Italia.
Quindi: magari in Italia si produrrebbero più frigoriferi, televisori e berline di lusso, ma in compenso calerebbero le esportazioni italiane di automobili di cilindrata medio-piccola, mobili, abbigliamento, Grana Padano e Prosciutto di San Daniele.
La mia impressione è che, quando un'azienda italiana progetta di delocalizzare, alcuni esponenti politici tendano a presentarsi ai cancelli dell'azienda che sta distruggendo posti di lavori e promettono ai lavoratori di ispirarsi a Trump, imponendo dazi all'import, in modo da salvare quei posti di lavoro.
I politici favorevoli ai dazi fanno bene a promettere la salvezza dei posti di lavoro agli operai che fabbricano rondelle o frigoriferi e che saranno colpiti dalla delocalizzazione.
Però dovrebbero anche andare (ad esempio) a San Daniele del Friuli e dire ai lavoratori addetti ai prosciutti che, siccome arriveranno delle ritorsioni commerciali, una parte di questi lavoratori rimarrà disoccupata.
_____________________
Un dato pratico illuminante: l'Italia, da anni, è un esportatore netto.
Chi propone generici dazi sulle importazioni, di fatto è un sadico nemico dei lavoratori: per salvare cento posti di lavoro, crea centocinquanta disoccupati.
Oppure è uno stolto che non capisce le conseguenze delle proprie azioni.
_____________________
Ma forse, in campagna elettorale, si parla di dazi in modo generico, e i nostri lungimiranti politici o aspiranti tali hanno bene in mente come circoscrivere l'iniziativa.
Ad esempio: se si imponessero dazi sui beni cinesi o tedeschi, visto che Cina e Germania sono esportatori netti, le ritorsioni che questi Paesi potrebbero mettere in atto ci farebbero meno danni di quelli che noi faremmo a loro. In pratica, usando una locuzione da economisti, riusciremmo a "esportare la disoccupazione" verso Cina e Germania.
_____________________
Operativamente, credo che imporre dazi intra-UE sia alquanto complicato, e poi va considerato che non si può certo dire che i lavoratori tedeschi guadagnino un quinto dei lavoratori italiani, che producano in modo irrispettoso dell'ambiente e che le loro merci costituiscano, quindi, una concorrenza sleale.
Quindi, a mio personale e fallibile avviso, non rimane che iniziare a proporre dei dazi sui beni cinesi, e solo su quelli, e solo (pragmaticamente) fintantoché siamo importatori netti di beni cinesi.
Poi vediamo come va, ed eventualmente facciamo retromarcia, oppure ampliamo l'àmbito dell'esperimento.
_____________________
Oggi Trump dovrebbe annunciare le sue iniziative sui dazi, la Cina preannuncia rappresaglie (costituite da ulteriori dazi), e in varie parti del mondo l'idea dei dazi sembra prendere piede.
C'è chi è contrario per ragioni "ideologiche": le merci e le persone (oltre che i capitali) devono potersi spostare con meno ostacoli possibili; grazie alla globalizzazione si può mangiare Parmigiano Reggiano in Perù e fumare il crack colombiano in Alaska, permettendo ai cittadini di conoscere qualcosa del mondo anche senza spostarsi.
Mi pare di ricordare che il mio libro di Economia Politica dimostrava che, nel classico ambiente asettico "di laboratorio" usato per le spiegazioni esemplificative, anche un Paese meno efficiente di un altro aveva interesse ad aprirsi alle importazioni, nel medio-lungo termine.
Poi ci sono gli ideologisti "pro dazi": dagli ecologisti che ritengono che le materie prime e le merci debbano viaggiare il meno possibile, per inquinare di meno ("chilometri zero"), ai nazionalisti che preferiscono che ogni Paese utilizzi prevalentemente ciò che esso stesso produce, per mantenere le identità locali, ma anche per ridurre la dipendenza dall'estero per settori strategici (ad esempio: se lo Stato X dipendesse dallo Stato Y per approvvigionarsi di armi e di cavi per telecomunicazioni, ne potrebbe risultare succube).
_____________________
Ovviamente un confronto sulle ideologie non ha senso: in base al vissuto personale, ciascuno darà (legittimamente e soggettivamente) più peso ad un aspetto.
_____________________
Però ci potrebbe essere un confronto sugli aspetti pratici, terra terra, down-to-earth, come direbbe Trump.
La visione pratica, secondo me, è molto semplice.
L'introduzione di dazi può risultare convenienti ai Paesi "importatori netti", ovvero quelli che importano più di quello che esportano, e risulta svantaggiosa per gli "esportatori netti".
Il caso classico è quello della Germania, un esportatore netto (più sbilanciato della Cina!), il che vuol dire che può dare lavoro non solo ai contadini, operai, impiegati e dirigenti necessari per produrre i beni che consuma in loco, bensì anche ai lavoratori necessari per produrre beni destinàti all'esportazione.
Viceversa un Paese come gli U.S.A., che è un importatore netto, di fatto consuma beni prodotti da lavoratori all'estero, e quindi impiega meno lavoratori di quanti sarebbero necessari se decidesse di essere "autarchico".
Quindi, se gli Stati Uniti e la Germania consumassero quello che producono, automaticamente la disoccupazione dovrebbe salire in Germania (che chiuderebbe la quota di fabbriche che lavoravano per l'export) e scendere negli U.S.A. (verrebbero assunti i lavoratori necessari a produrre in casa ciò che prima veniva importato).
Fin qui è pura matematica (con l'ipotesi sottile ma forte che si tratti di un gioco a somma zero, ma tralasciamo questo dettaglio, così come l'esito delle partite creditorie tra imprese e Stati).
_____________________
Che effetti avrebbe l'approccio pratico in Italia?
Ipotizziamo che l'Italia introduca generici dazi all'ingresso delle merci, cui segua (ragionevolmente) l'introduzione, a titolo di rappresaglia, di altri dazi sui prodotti italiani da parte dei Paesi che prima esportavano senza vincoli verso l'Italia.
Quindi: magari in Italia si produrrebbero più frigoriferi, televisori e berline di lusso, ma in compenso calerebbero le esportazioni italiane di automobili di cilindrata medio-piccola, mobili, abbigliamento, Grana Padano e Prosciutto di San Daniele.
La mia impressione è che, quando un'azienda italiana progetta di delocalizzare, alcuni esponenti politici tendano a presentarsi ai cancelli dell'azienda che sta distruggendo posti di lavori e promettono ai lavoratori di ispirarsi a Trump, imponendo dazi all'import, in modo da salvare quei posti di lavoro.
I politici favorevoli ai dazi fanno bene a promettere la salvezza dei posti di lavoro agli operai che fabbricano rondelle o frigoriferi e che saranno colpiti dalla delocalizzazione.
Però dovrebbero anche andare (ad esempio) a San Daniele del Friuli e dire ai lavoratori addetti ai prosciutti che, siccome arriveranno delle ritorsioni commerciali, una parte di questi lavoratori rimarrà disoccupata.
_____________________
Un dato pratico illuminante: l'Italia, da anni, è un esportatore netto.
Chi propone generici dazi sulle importazioni, di fatto è un sadico nemico dei lavoratori: per salvare cento posti di lavoro, crea centocinquanta disoccupati.
Oppure è uno stolto che non capisce le conseguenze delle proprie azioni.
_____________________
Ma forse, in campagna elettorale, si parla di dazi in modo generico, e i nostri lungimiranti politici o aspiranti tali hanno bene in mente come circoscrivere l'iniziativa.
Ad esempio: se si imponessero dazi sui beni cinesi o tedeschi, visto che Cina e Germania sono esportatori netti, le ritorsioni che questi Paesi potrebbero mettere in atto ci farebbero meno danni di quelli che noi faremmo a loro. In pratica, usando una locuzione da economisti, riusciremmo a "esportare la disoccupazione" verso Cina e Germania.
_____________________
Operativamente, credo che imporre dazi intra-UE sia alquanto complicato, e poi va considerato che non si può certo dire che i lavoratori tedeschi guadagnino un quinto dei lavoratori italiani, che producano in modo irrispettoso dell'ambiente e che le loro merci costituiscano, quindi, una concorrenza sleale.
Quindi, a mio personale e fallibile avviso, non rimane che iniziare a proporre dei dazi sui beni cinesi, e solo su quelli, e solo (pragmaticamente) fintantoché siamo importatori netti di beni cinesi.
Poi vediamo come va, ed eventualmente facciamo retromarcia, oppure ampliamo l'àmbito dell'esperimento.