È cominciato «un lungo e grande boom»?

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Forumer storico
È cominciato «un lungo e grande boom»?
Alfonso Tuor

Le borse volano; alcuni grandi paesi emergenti (tra cui primeggiano Cina ed India) stanno vivendo un boom economico; persino l’Europa sembra uscita da una lunga fase di torpore a tal punto che l’economia del Vecchio Continente corre oggi più di quella americana ed anche la Svizzera conosce tassi di crescita inimmaginabili negli anni Novanta a tal punto che da quattro anni registra tassi di espansione superiori a quelli della media europea. Dunque, ad eccezione dell’economia statunitense che sta cercando di «digerire» la bolla formatasi nel mercato immobiliare, l’economia mondiale «scoppia di salute». In un contesto così favorevole, non deve sorprendere che alcuni comincino ad ipotizzare che siamo alla vigilia di un decennale periodo d’oro dell’economia mondiale. Questa tesi sta facendosi strada tra gli analisti finanziari, che vedono i listini azionari continuare a salire sull’onda della crescente febbre di fusioni ed acquisizioni e che ritengono che la fase di rialzo delle borse di tutto il mondo, cominciata nel marzo del 2003, è destinata a continuare e ad anticipare il lungo boom dell’economia mondiale. Questa tesi si fa strada anche tra gli economisti, come il professor Franz Jaeger dell’Università di San Gallo e come l’istituto BAK di Basilea, che prevedono una crescita dell’economia svizzera superiore al 2% annuo almeno fino al 2011.
Queste previsioni non devono essere né banalizzate né ridicolizzate, anche se rischiano di essere smentite dalla sottovalutazione del fattore determinante il benessere attuale dell’economia internazionale: il livello storicamente molto basso dei tassi di interesse e l’eccesso di liquidità su cui oggi «naviga» l’economia mondiale. Il rischio è dunque di prendere le classiche «lucciole per lanterne». In altri termini, il rischio è di trascurare o di non apprezzare sufficientemente il peso della politica monetaria espansiva sull’attuale stato di grazia dell’economia mondiale, nonostante che gli effetti del denaro abbondante e a prezzi stracciati abbiano provocato nuove bolle, specialmente nel mercato immobiliare e molto probabilmente anche in quello finanziario. A sostegno di questa affermazione basti ricordare quanto è già sotto gli occhi di tutti: la crisi di alcuni segmenti del mercato immobiliare americano, i minacciosi schricchiolii di quello spagnolo e di quello inglese. Per quanto riguarda i mercati azionari e soprattutto la «febbre» di acquisizioni, soprattutto dei fondi Private Equity che fanno ricorso a prestiti miliardari, vi è un’alta probabilità che essa non sia determinata da una sottovalutazione dei corsi delle azioni, ma sia originata dal basso costo del denaro. Anche la forte crescita degli utili societari, che oggi sostiene i listini, è sicuramente il frutto della ridistribuzione dei redditi a favore degli utili e a scapito dei salari che oggi si riscontra in tutto il mondo occidentale in proporzioni mai viste in questo dopoguerra. Probabilmente, anche per motivi politici, non è ipotizzabile che queste tendenze possano continuare ancora a lungo.
Fatte queste premesse, la tesi di un grande boom economico generazionale ha un certo fondamento. Il suo punto forte consiste nell’esplosione dei consumi che si sta registrando a partire dal 2004 in Cina, in India e negli altri paesi emergenti. Il boom dei consumi e della crescita di questi paesi, confermato dall’impennata dei prezzi di tutte le materie prime, ha trainato l’economia mondiale verso tassi di espansione non più conosciuti da decenni. Dunque questi paesi, che finora erano esportatori di deflazione, sono oggi diventati un importante «motore» dell’economia mondiale. Oppure, detta in altri termini, la pressione al ribasso sui salari esercitata dalla concorrenza delle merci di questi paesi a bassi salari si sta affievolendo grazie alla combinazione di delocalizzazioni, di ristrutturazioni e di compressione dei salari avvenuta negli ultimi nei paesi occidentali, mentre il boom della loro crescita sta facendo lievitare il potere d’acquisto dei paesi esportatori di materie prime (che nella maggior parte dei casi sono paesi poveri) e quindi sta creando nuovi mercati di sbocco per le esportazioni dei paesi di vecchia industrializzazione, che nel frattempo hanno ristrutturato le proprie economie e il proprio apparato produttivo. In proposito, non è assolutamente casuale che lo stato di salute sia oggi migliore in paesi come la Germania e la Svizzera che sono leaders in segmenti di mercato (industria delle macchine, farmaceutica, industria del lusso, ecc.), in cui la domanda dei paesi emergenti la fa da padrone. 
L’ipotesi di un lungo boom economico è valida se l’impatto negativo (ossia deflazionistico) dell’entrata nel mercato di un miliardo di cinesi, di un miliardo di indiani e di alcune centinaia di milioni di russi e di cittadini dell’ex blocco sovietico si sta esaurendo e si cominciano a cogliere i benefici della creazione di questi nuovi grandi mercati. Un termometro significativo di questo cambiamento è sicuramento dato dall’evoluzione del tasso di inflazione in Europa, in Giappone e negli Stati Uniti. Ebbene, al riguardo si può constatare che si è passati dallo spettro della deflazione dell’inizio di questo decennio a tassi di inflazione relativamente bassi. Quindi, il termometro non dà ancora una risposta certa.
Non si può dunque ancora «sposare» la tesi che è cominciatlo un grande boom economico generazionale e non vi sarebbe nemmeno da sorprendersi se la crisi del mercato immobiliare americano provocherà un rallentamento brusco dell’economia a stelle e strisce e quindi una forte correzione delle borse. Infatti, lo stato di salute attuale dell’economia mondiale continua ad essere determinato da politiche monetarie che continuano ad essere fortemente espansive e la salita delle borse continua ad essere sostenuta dall’abbondanza e dal basso costo del denaro oltre che dalla compressione dei salari a favore degli utili. Questi fenomeni non sono duraturi. Se l’economia dei paesi industrializzati continuerà a crescere con politiche monetarie neutrali e se i listini azionari continuerano a salire anche se i tassi aumenteranno, anche se il denaro sarà meno abbondante e anche se il lavoro comincerà ad ottenere il meritato premio salariale dopo le sofferenze degli ultimi anni, allora l’ipotesi di un lungo e di un grande boom economico sarebbe assolutamente realistica. 

CdT
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18/05/2007 09:20 MO: Abu Mazen sfugge a attentato, Olmert a lancio razzo Qassam
 
18/05/2007 07:20 Banca Mondiale: Wolfowitz si dimette, via dal 30 giugno
 


 

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EDITORIALE – Economia
È cominciato «un lungo e grande boom»?
Alfonso Tuor

    
 

Le borse volano; alcuni grandi paesi emergenti (tra cui primeggiano Cina ed India) stanno vivendo un boom economico; persino l’Europa sembra uscita da una lunga fase di torpore a tal punto che l’economia del Vecchio Continente corre oggi più di quella americana ed anche la Svizzera conosce tassi di crescita inimmaginabili negli anni Novanta a tal punto che da quattro anni registra tassi di espansione superiori a quelli della media europea. Dunque, ad eccezione dell’economia statunitense che sta cercando di «digerire» la bolla formatasi nel mercato immobiliare, l’economia mondiale «scoppia di salute». In un contesto così favorevole, non deve sorprendere che alcuni comincino ad ipotizzare che siamo alla vigilia di un decennale periodo d’oro dell’economia mondiale. Questa tesi sta facendosi strada tra gli analisti finanziari, che vedono i listini azionari continuare a salire sull’onda della crescente febbre di fusioni ed acquisizioni e che ritengono che la fase di rialzo delle borse di tutto il mondo, cominciata nel marzo del 2003, è destinata a continuare e ad anticipare il lungo boom dell’economia mondiale. Questa tesi si fa strada anche tra gli economisti, come il professor Franz Jaeger dell’Università di San Gallo e come l’istituto BAK di Basilea, che prevedono una crescita dell’economia svizzera superiore al 2% annuo almeno fino al 2011.
Queste previsioni non devono essere né banalizzate né ridicolizzate, anche se rischiano di essere smentite dalla sottovalutazione del fattore determinante il benessere attuale dell’economia internazionale: il livello storicamente molto basso dei tassi di interesse e l’eccesso di liquidità su cui oggi «naviga» l’economia mondiale. Il rischio è dunque di prendere le classiche «lucciole per lanterne». In altri termini, il rischio è di trascurare o di non apprezzare sufficientemente il peso della politica monetaria espansiva sull’attuale stato di grazia dell’economia mondiale, nonostante che gli effetti del denaro abbondante e a prezzi stracciati abbiano provocato nuove bolle, specialmente nel mercato immobiliare e molto probabilmente anche in quello finanziario. A sostegno di questa affermazione basti ricordare quanto è già sotto gli occhi di tutti: la crisi di alcuni segmenti del mercato immobiliare americano, i minacciosi schricchiolii di quello spagnolo e di quello inglese. Per quanto riguarda i mercati azionari e soprattutto la «febbre» di acquisizioni, soprattutto dei fondi Private Equity che fanno ricorso a prestiti miliardari, vi è un’alta probabilità che essa non sia determinata da una sottovalutazione dei corsi delle azioni, ma sia originata dal basso costo del denaro. Anche la forte crescita degli utili societari, che oggi sostiene i listini, è sicuramente il frutto della ridistribuzione dei redditi a favore degli utili e a scapito dei salari che oggi si riscontra in tutto il mondo occidentale in proporzioni mai viste in questo dopoguerra. Probabilmente, anche per motivi politici, non è ipotizzabile che queste tendenze possano continuare ancora a lungo.
Fatte queste premesse, la tesi di un grande boom economico generazionale ha un certo fondamento. Il suo punto forte consiste nell’esplosione dei consumi che si sta registrando a partire dal 2004 in Cina, in India e negli altri paesi emergenti. Il boom dei consumi e della crescita di questi paesi, confermato dall’impennata dei prezzi di tutte le materie prime, ha trainato l’economia mondiale verso tassi di espansione non più conosciuti da decenni. Dunque questi paesi, che finora erano esportatori di deflazione, sono oggi diventati un importante «motore» dell’economia mondiale. Oppure, detta in altri termini, la pressione al ribasso sui salari esercitata dalla concorrenza delle merci di questi paesi a bassi salari si sta affievolendo grazie alla combinazione di delocalizzazioni, di ristrutturazioni e di compressione dei salari avvenuta negli ultimi nei paesi occidentali, mentre il boom della loro crescita sta facendo lievitare il potere d’acquisto dei paesi esportatori di materie prime (che nella maggior parte dei casi sono paesi poveri) e quindi sta creando nuovi mercati di sbocco per le esportazioni dei paesi di vecchia industrializzazione, che nel frattempo hanno ristrutturato le proprie economie e il proprio apparato produttivo. In proposito, non è assolutamente casuale che lo stato di salute sia oggi migliore in paesi come la Germania e la Svizzera che sono leaders in segmenti di mercato (industria delle macchine, farmaceutica, industria del lusso, ecc.), in cui la domanda dei paesi emergenti la fa da padrone. 
L’ipotesi di un lungo boom economico è valida se l’impatto negativo (ossia deflazionistico) dell’entrata nel mercato di un miliardo di cinesi, di un miliardo di indiani e di alcune centinaia di milioni di russi e di cittadini dell’ex blocco sovietico si sta esaurendo e si cominciano a cogliere i benefici della creazione di questi nuovi grandi mercati. Un termometro significativo di questo cambiamento è sicuramento dato dall’evoluzione del tasso di inflazione in Europa, in Giappone e negli Stati Uniti. Ebbene, al riguardo si può constatare che si è passati dallo spettro della deflazione dell’inizio di questo decennio a tassi di inflazione relativamente bassi. Quindi, il termometro non dà ancora una risposta certa.
Non si può dunque ancora «sposare» la tesi che è cominciatlo un grande boom economico generazionale e non vi sarebbe nemmeno da sorprendersi se la crisi del mercato immobiliare americano provocherà un rallentamento brusco dell’economia a stelle e strisce e quindi una forte correzione delle borse. Infatti, lo stato di salute attuale dell’economia mondiale continua ad essere determinato da politiche monetarie che continuano ad essere fortemente espansive e la salita delle borse continua ad essere sostenuta dall’abbondanza e dal basso costo del denaro oltre che dalla compressione dei salari a favore degli utili. Questi fenomeni non sono duraturi. Se l’economia dei paesi industrializzati continuerà a crescere con politiche monetarie neutrali e se i listini azionari continuerano a salire anche se i tassi aumenteranno, anche se il denaro sarà meno abbondante e anche se il lavoro comincerà ad ottenere il meritato premio salariale dopo le sofferenze degli ultimi anni, allora l’ipotesi di un lungo e di un grande boom economico sarebbe assolutamente realistica. 

    
CdT 17/05/2007
 

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