È il momento di lasciare la Grecia al proprio destino

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Forumer storico
di Marco Faraci , 26-1-2015

Il netto successo della sinistra radicale del partito Syriza di Tsipras alle elezioni per il rinnovo del parlamento greco deve far suonare una sveglia nella politica continentale e mette i leader europei di fronte a scelte politiche importanti. Intendiamoci, il cambio della guardia ad Atene modifica la politica greca verso l'Europa più in termini di toni e di intensità che in termini qualitativi e di principio.

I governi precedenti di Nuova Democrazia e del PASOK tutto sono stati meno che un esempio di responsabilità di bilancio. Anzi, sono stati responsabili del completo dissesto dei conti pubblici greci, dell'esplosione del debito e di una gestione del consenso interamente basata sulla spesa pubblica e sul clientelismo.

E, dall'emergere della crisi del debito, l'operato di tutti gli esecutivi ellenici è stato quello di elemosinare il bailout ai tavoli europei, "restituendo" in cambio riforme politiche ed economiche molto limitate – che niente avevano a che fare, ad esempio, con quelle "vere" messe in atto dai paesi dell'Europa dell'Est all'indomani della caduta del muro di Berlino.

Tsipras, dal canto suo, non è un "euroscettico", non è venuto ad annunciare che i greci faranno da sé, ma è semplicemente venuto a battere più forte i pugni sul tavolo ed a chiedere all'UE più soldi per sostenere le proprie politiche di spesa – quindi, sostanzialmente, a continuare, in modo più "vigoroso", sulla strada di chi l'ha preceduto.

Tuttavia, il "chiagni e fotti" di Samaras, Papademos o Papandreu era politicamente più fine di quello di Tsipras. I premier greci sono stati abili finora a dosare crescenti richieste assistenziali e "segnali" da mandare a Bruxelles sul sincero impegno dei greci ad implementare quanto necessario a restare nel perimetro dell'eurozona.

Questo tipo di approccio faceva inevitabilmente breccia all'interno di un mainstream politico europeo che non poteva sottrarsi alla solidarietà verso i greci, se non ripudiando implicitamente il sogno ideologico dell'Europa unita.
Dalle parti di Berlino o di Helsinki si sapeva benissimo che la Grecia per l'eurozona era ormai molto più un peso che un'opportunità; eppure era troppo "complicato" lasciare al suo destino un paese che almeno nominalmente ostentava buona volontà.

Insomma, i governi greci "magnavano", ma tutto sommato i loro leader sapevano stare a tavola. Con Syriza al potere, i toni della Grecia cambiano; l'approccio del governo di Atene diventa più arrogante e conflittuale e questo, in un certo senso, può rappresentare per i paesi "seri" un'opportunità di smarcarsi dalla politica "morbida" finora messa in atto nei confronti della Grecia.
Nella pratica, se Tsipras fuoriesce dalla logica del "reformo ut des" su cui si è mosso finora il negoziato tra Atene e Bruxelles, questo toglie all'Europa qualsiasi alibi per non fare finalmente quello che si sarebbe dovuto fare da anni: lasciare la Grecia al proprio destino.

Alla Grecia dovrebbe essere consentito di fare default e di uscire dall'Euro ed eventualmente dall'Unione Europea. Contemporaneamente dovrebbe essere interrotto qualsiasi ulteriore flusso di risorse a favore di Atene. È tempo che le idee politiche di Tsipras siano messe alla prova. Se i greci hanno votato per le sue ricette, ha senso che ne affrontino tutte le conseguenze, senza paracadute.
Per molti versi, è anche utile che la Grecia diventi l'"experimentum in corpore vili" del grillismo-vendolismo europeo. Si provino lì tutte quelle idee su cui i populisti nostrani (di destra e di sinistra) raccolgono sempre più consensi: uscita svalutativa dall'Euro, stampa di moneta a go go, più welfare e "politiche di crescita" attraverso una sempre maggiore spesa pubblica.

Non è difficile prevedere che simili politiche condurrebbero la Grecia verso il più completo disastro e verso condizioni di povertà finora assolutamente sconosciute in Europa. Un guaio terribile, naturalmente per i greci, in specie per quelli non abbastanza veloci a scappare o a portare i soldi all'estero. Al tempo stesso, però, un fallimento rapido e dalle dimensioni clamorose di una Grecia così amministrata sarebbe una formidabile lezione per gli altri europei, o per lo meno per chi tra loro abbia voglia di coglierla.

La Grecia che avremmo tra due-tre anni ci direbbe molto su come sarebbe un'Italia governata da Salvini, da Vendola o da Grillo.

Naturalmente l'esperimento funziona solo se Tsipras sarà lasciato "libero di governare" e, soprattutto, se si troverà a governare solo con i soldi dei greci. Il vero rischio è che i leader europei, contro ogni logica razionale ed in ossequio solo ad un europeismo come totem ideologico, continuino a ritenere che la nuova situazione che si è creata ad Atene possa ancora essere gestita con gli stessi strumenti utilizzati finora, cioè semplicemente allargando sempre più i cordoni della borsa e comprandosi la "pace greca" attraverso trasferimenti di risorse sempre più consistenti.

La decisione su come rapportarsi al nuovo governo di Syriza è probabilmente, la più importante che l'eurozona si sia trovata a prendere fino a questo momento. Riuscire a prendere la decisione giusta richiede essere disposti ad abbandonare schemi ideologici in cui troppi, anche molti liberali, sono rimasti imprigionati in questi anni.

Finora la grande illusione di molti liberali "europeisti" è stata che l'Unione Europea potesse essere utilizzata come strumento per "moralizzare" i paesi meno virtuosi e per imporre loro in modo paternalistico quelle riforme che essi non sarebbero in grado di produrre autonomamente. Occorre accettare che non è stato così e che, per i paesi del sud Europa, l'UE e l'euro, più che un "pungolo", sono stati la rete di sicurezza che ha consentito di portare avanti più facilmente politiche di spesa pubblica e di accrescimento del debito.

Le riforme non possono essere imposte in modo paternalistico ed eterodiretto. È possibile fare progetti a tavolino sul futuro di un paese per un certo numero di anni, ma alla fine inesorabilmente la realtà prevale e con essa la vera cifra ideologica e culturale del paese in questione.

Oggi non è più possibile continuare a rifiutare la realtà. Occorre sfatare il tabù dell'indissolubilità dell'eurozona; l'eurozona va rotta ed è giusto che la Grecia divenga a tutti gli effetti un paese povero, fino a che la cultura politica dei greci non muti determinando qualcosa di diverso.

Cercare di tenere la Grecia "dentro", costi quel che costi, sarebbe per l'Europa un errore esiziale che darebbe il via a un generalizzato assalto alla diligenza, cioè alle casse dei paesi più virtuosi. Tenere la Grecia dentro vuol dire darla vinta a Tsipras e quindi immediatamente replicare il boom di simili proposte politiche in tutta l'Europa mediterranea.

I primi emuli di Tsipras sarebbero gli spagnoli, che probabilmente tra pochi mesi consacreranno come primo partito la sinistra radicale di Podemos. E poi, subito dopo, verremmo noi italiani con chi tra Salvini, Grillo e la rinascente sinistra convincerà gli elettori di essere più bravo a svaligiare i forzieri di Francoforte.

Si avvierebbe, evidentemente, una completa degenerazione dell'Unione Europea che finirebbe vittima dei peggiori sindacalismi territoriali e di un aumento generalizzato della spesa pubblica e dell'intermediazione politica.
Perché questo scenario si verifichi, non occorre nemmeno che il "successo" di Tsipras sia sostanziale, basta che lo sia a livello della sua immagine pubblica, specie all'estero.
Per questo Bruxelles e Berlino devono essere risoluti nel non fare a Syriza nessuna concessione.

È evidente che accettare il default della Grecia ed il suo sganciamento dall'attuale unione monetaria avrebbe dei costi, ma tali costi sono sicuramente inferiori a quelli di proseguire indefinitamente nell'accanimento terapeutico. È ormai lontano da ogni logica il fatto che noi finanziamo la Grecia affinché un giorno ci ripaghi, aggiungendo così solo debito a debito.

Al di là delle parole, infatti, è evidente che la Grecia non potrà mai ripagare il suo debito pubblico. Il settore produttivo ellenico è troppo striminzito rispetto alle dimensioni dello statalismo di quel paese ed Atene evita il default solamente attraverso l'iniezione continua di liquidità da parte della BCE ed attraverso il contenimento artificiale dei tassi di interesse garantito dall'Europa.

Non c'è, tuttavia, nessun segnale di possibile inversione di rotta nell'economia ellenica.
È vero che mollare la presa significa per i creditori "capitalizzare le perdite", prendendo atto che si sono persi un bel po' di soldi. Tuttavia bisogna comprendere che l'aver perso dei soldi non è una buona ragione per perderne ancora nella flebile speranza di recuperarli.


Va anche ricordato che parte significativa del denaro dei creditori è stata comunque già persa in virtù delle ristrutturazioni del debito già finora effettuate con l'avallo dell'Unione Europea. L'haircut del 2012 ha colpito duro.
E comunque, in casi come questi, è più serio che i soldi li perda in primo luogo chi li ha volutamente prestati, piuttosto che si continuino a "socializzare le perdite" spalmando i costi delle politiche di spesa greche su tutti i contribuenti europei.

La possibilità che nell'eurozona vi sia ancora nel futuro qualche "valore" da difendere, in termini di serietà finanziaria e di rigore di bilancio, è ormai legata alla capacità della Merkel, di Rutte, di Juncker o di Katainen di dire finalmente "adesso basta".
Ma se ancora una volta, di fronte alle richieste del governo greco, i leader europei si caleranno le braghe, allora l'Unione Europea e l'eurozona sono destinate a divenire in breve un inferno di socialismo e di cialtroneria dal quale i paesi più virtuosi non avranno altra scelta se non quella di scappare il più lontano possibile.

Strade - Perché è il momento di cacciare la Grecia dall'Euro
 
nessun paese occidentale potrà mai pagare il proprio debito pubblico
non è la solvibilità il problema ma solo gli interessi annuali che si pagano sul debito

è il 'pizzo' mafioso per i ricchi che controllano l'occidente
 
nessun paese occidentale potrà mai pagare il proprio debito pubblico
non è la solvibilità il problema ma solo gli interessi annuali che si pagano sul debito

è il 'pizzo' mafioso per i ricchi che controllano l'occidente

E' normale che si debbano pagare interessi sul debito.

Perchè mai qualcuno dovrebbe prestare soldi a qualcun altro se non ricevesse il pagamento di un interesse? Oltretutto in alcuni casi c' è anche il rischio che una parte dei soldi non venga rimborsata a scadenza e che avvenga una ristrutturazione.

Non vuoi pagare interessi sul debito? Bastava non indebitarsi, spendere le proprie entrate disponibili e non soldi altrui.

Inoltre da anni c' è repressione finanziaria, politiche monetarie espansive anche non convenzionali attuate da banche centrali che hanno reso molto bassi i rendimenti di vari titoli di stato.

La Grecia è stata molto agevolata ed aveva ottenuto nel 2012 di poter pagare tassi di interesse sul debito di assoluto favore, interessi politici completamente fuori mercato

" ... Gran parte del debito greco, dopo la ristrutturazione, ha infatti già una scadenza lontana 25 anni e il tasso di interesse medio pagato è dell’1,5%, ben al di sotto di quello che paga l'Italia sui suoi Btp. ... "

Se Tsipras non paga i debiti, ci rimetteranno gli Stati | Linkiesta.it
 
Non vuoi pagare interessi sul debito? Bastava non indebitarsi, spendere le proprie entrate disponibili e non soldi altrui.

Inoltre da anni c' è repressione finanziaria, politiche monetarie espansive anche non convenzionali attuate da banche centrali che hanno reso molto bassi i rendimenti di vari titoli di stato.



Se Tsipras non paga i debiti, ci rimetteranno gli Stati | Linkiesta.it

1. chi decide per me di fare debiti? i politici. i politici da chi sono pagati? dal popolo ma lavorano per i ricchi che pagano di più. il debito pubblico aumenta e chi paga? il popolo.
2. l'austerity in europa colpisce troppo poco chi la vota
 
16 febbraio 2015 M. B.
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Veniamo invece alla questione del debito greco e di cosa si potrebbe realisticamente fare per riuscire sia a fare un favore alla Grecia sia ad evitare che il favore lo paghino i cittadini degli altri paesi europei. Operazione ardua, ma non del tutto impossibile.

1) Il rapporto debito/PIL in Grecia è elevato, la gran parte del debito pubblico è in mano estera (ossia, detenuto da soggetti fuori dalla Grecia) ed il cambio è fisso. In qualsiasi altra situazione una posizione debitoria sovrana di questo genere è, a meno di viaggi onirici sulle ipotesi di crescita (tipo quelle contenute nel programma Troika del 2010), non ripagabile nel breve o medio periodo. Non crediamo esista caso storico di paese che ripaga un debito di tal genere grazie a qualche insperata e prolungata botta di crescita. Se davvero il problema fosse che la Grecia deve ripagare rapidamente il proprio debito pubblico allora non vi sarebbe rimedio: i mercati non aspettano 20 anni di crescita, ti martellano ben prima, e ti martellano ancora di più se hai la meritata reputazione che ha la Grecia. Ma ... il fatto è che nessuno chiede alla Grecia di ripagare il proprio debito l'anno prossimo o anche entro 5 o 10 anni. Ciò che viene chiesto alla Grecia dagli accordi sottoscritti quasi tre anni fa é di ripagare un debito la cui durata media si approssima ai 20 anni (i paesi europei sono probabilmente disposti ad allungare la scadenza ulteriormente fino a 30 anni - che è poi già ora la durata media del debito greco finanziato dall'EFSF) e sul quale le istituzioni finanziatrici hanno accettato di ricevere un interesse molto basso. Che noi si sappia le stime esistenti dicono che il servizio attuale del debito ammonta, attualmente, a circa 2,0-2,5 % del PIL greco ed in discesa", un valore molto inferiore a quello italiano e simile a quello giapponese. In altre parole: o decidiamo che la Grecia è un paese speciale che non deve nemmeno pagare interessi minimi su un debito residuo che è una frazione di quello iniziale oppure il servizio sul debito greco è sostenibile come lo sono quelli di altri paesi altamente indebitati.

2) La Grecia costituisce, senza dubbio, un caso particolare: un animale mitologico, nato dall'incrocio fra un paese canaglia (Grecia) e la disfunzionale governance europea, che questo animale ha nutrito (debito greco prezzato come privo di rischio fino al 2009) e mantenuto (creditori privati di cui sopra che, grazie al fantasioso primo programma Troika, han fatto a tempo a scaricare in mano pubblica 150 miliardi di euro di debito greco fra il 2010 e la fine del 2011, prima che arrivasse la ristrutturazione del 2012). Grazie a tutto ciò, la situazione greca è ora quella di un super Brady plan, con una dimensione, in termini di debito/PIL, moltiplicata per 3 rispetto a quello originale latinoamericano. Questo super Brady fa sì che - a differenza di quanto altrimenti accadrebbe (punto 1) in un paese privo del supporto esterno di cui la Grecia ha goduto e gode - il debito greco sia sostenibile, almeno potenzialmente. Questo perche' a) il flusso di pagamenti è ragionevolmente basso, ergo l'impatto sul deficit fiscale è assolutamente sopportabile e, b), in 30 anni, per quanto male vadano le cose, ci sarà pure della crescita reale, considerando anche l'attuale livello di risorse inutilizzate in Grecia. Ed è difficile pensare che l'inflazione europea rimanga vicino a zero per decenni. In sostanza, nel giro di 30 anni, il debito/PIL scenderà a livelli ragionevoli, tali per cui non ci sarà neanche bisogno di ripagare il principale visto che a quel punto il mercato sarà ben felice di fare il rollover, come accade in qualsiasi paese normale. C'è però anche una terza conseguenza del Brady plan on steroids che è, c) siccome il rapporto debito estero/PIL è altissimo, e siccome scenderà solo molto lentamente, per la Grecia sarà impossibile, per molto tempo, tornare ad avere - in modo sostanziale e a tassi ragionevoli - accesso al mercato privato. Ne discende che, per molti anni a venire, alla Grecia è impedito di finanziare nuovi significativi deficit di bilancio. Ma questo non è un problema, perché questo è proprio l'obiettivo. L'obiettivo è quello di assicurarsi, tramite una "tutela speciale e prolungata", che la Grecia cominci a comportarsi bene, come fanno altri, e operare in pareggio di bilancio in media. Quest'ultimo punto - che è tutto politico o, se preferite, di pragmatica gestione del "moral hazard" che paesi come la Grecia creano nell'area euro - è il punto chiave che F&P mancano nell'articolo citato sopra.

Una domanda sorge spontanea: ma il fiscal compact, il six pack, Maastricht e tutti gli altri trattati non impongono già ora di operare in situazione di pareggio di bilancio? E non lo impongono, ancora di più, a paesi con la situazione debitoria della Grecia? Certo che lo impongono già. Ma allora, a cosa serve la "tutela speciale e prolungata" che viene da un Brady plan on steroids? Serve perché tutti quei trattati europei non servono, quasi, ad una beata ceppa. Al momento, la retorica europea è quella di un vivere come se: vivere come se davvero ci trovassimo in un (politicamente impossibile e quindi inauspicabile, al momento attuale) stato federale - però senza vero controllo sui bilanci nazionali, senza spesa e tassazione federale, senza mobilità interna, senza mercato bancario comune, senza un minimo di omogeneità politica.

Ed arriviamo qui al punto di sempre che gli irresponsabili populisti dell'euro-exit e del stampiamo moneta non riescono nemmeno a capire mentre gli altri (quelli "responsabili" che ancora governano) fanno finta di non vedere perché chiamerebbe in causa le loro responsabilità storiche sia pregresse che correnti. Un punto molto semplice: la costruzione dell'euro fu una fuga in avanti erronea che rispondeva a necessità politiche immediate e non ascoltava le lezioni della storia e dell'economia. La fuga in avanti fu utilizzata dalle classi dirigenti dei paesi del sud Europa per dieci anni di follie che, erroneamente, quelli del Nord condonarono in nome del quieto vivere e del mercato unico che favoriva la loro crescita. Arrivata la crisi arrivò anche il conto ma, a quel punto, ritornare indietro e smontare tutto nel mezzo della tempesta sarebbe stata pura follia autodistruttiva. Giustamente si è cercato di andare avanti aggiustando, in corso d'opera, alcuni difetti strutturali dell'operazione euro. Ma il tutto si sta facendo in condizioni terribilmente avverse: (a) di crisi economica perdurante, (b) di tensione politica antieuropea montante in svariati paesi, (c) con evidenti interessi politici ed economici contrapposti sia all'interno dei singoli paesi sia fra un paese e l'altro, (d) con i bastoni fra le ruote di una eurocrazia che, grazie anche ai difetti strutturali del disegno originale, ha acquisito negli ultimi 15 anni un potere esorbitante al quale non intende rinunciare. Questo spiega sia il pragmatismo di un passo alla volta e per aggiustamenti progressivi adottato dai maggiori paesi e da quello guida, la Germania, in particolare sia la drammatica necessità, in ogni caso, di riaprire un dibattito d'alto livello e pubblico sugli obiettivi, i modi ed i tempi della costruzione europea. Ma questo è un altro problema, molto più importante e complicato per il quale rimandiamo ad un futuro articolo che, violando una nostra tradizione stabilita di fatto anche se non d'intenzione, speriamo di scrivere a breve.

Grecia, euro, debito ed austerità | noiseFromAmeriKa
 
Bruxelles (Belgio), 16 feb. (LaPresse) - E' terminato senza un accordo l'eurogruppo sulla questione greca in programma a Bruxelles. I ministri delle Finanze dell'Eurozona hanno concluso il loro incontro con i negoziatori greci dopo meno di quattro ore di colloqui, senza trovare una soluzione. In precedenza una fonte vicina al ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, aveva detto che la bozza di documento presentata all'Eurogruppo dai ministri delle Finanze dell'eurozona parlava di estendere l'attuale programma di salvataggio, che come tale era "irragionevole" e non sarebbe stata accettata dalla Grecia. In una conferenza stampa dopo la riunione il presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ha detto che l'Eurogruppo dà tempo alla Grecia fino a venerdì per decidere sulla nuova estensione della parte europea del salvataggio del Paese.


COMMISSIONE: SPETTA AD ATENE CHIEDERE ESTENSIONE. I ministri dell'Eurozona sono pronti a tenere nuovi colloqui con la Grecia se e quando Atene sarà pronta a chiedere un'estensione del suo pacchetto di salvataggio. Lo ha detto il vice presidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis dopo l'incontro senza risultati di oggi. Andando via dalla riunione dell'Eurogruppo, Dombrovskis ha sottolineato con i giornalisti che spetta ad Atene chiedere un'estensione - cosa che il nuovo governo greco ha detto ripetutamente di non essere pronto a fare. Quando gli è stato chiesto quando si incontrerà il nuovo Eurogruppo, Dombrovskis, ha detto: "Dipende dalla decisione delle autorità greche. E'stato chiaramente deciso che se e quando ci sarà questa richiesta per un'estensione del piano di salvataggio, se ci saranno certi impegni delle autorità greche di attenersi al programma, allora il presidente dell'Eurogruppo annuncerà il prossimo Eurogruppo".


AUSTRIA: TUTTI DELUSI. "Tutti sono delusi". Così il ministro delle Finanze austriaco Hans Joerg Schelling, dopo la fine dell'incontro dell'Eurogruppo.


MALTA: O ESTENSIONE O DISASTRO. Se la Grecia non richiederà un'estensione del piano di salvataggio affronterà un "disastro", è stato il commento del ministro delle Finanze di Malta Edward Scicluna a caldo.


DIJSSELBLOEM: TEMPO FINO A VENERDI'. L'Eurogruppo dà tempo alla Grecia fino a venerdì per decidere sulla nuova estensione della parte europea del salvataggio del Paese, ha detto il presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem.

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Europa. Grecia, Eurogruppo finisce senza accordo. Dijsselbloem: Atene ha tempo fino a venerdì - LaPresse
 

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