è questa la democrazia esportata da BUSH?

La forca democratica

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Il cappio che si sta stringendo intorno al collo di Saddam Hussein è simile ad un foglio intonso, abbacinante nel suo biancicare, che a breve si colorerà di fiumi di parole, rosse come il sangue con il quale da cinque anni si stanno imbrattando i "muri del mondo" con parole come democrazia, civiltà, giustizia e libertà. L'assassinio democratico di Saddam, a prescindere da quelle che possano essere le sue colpe, rappresenta solamente il patetico tentativo da parte dell'amministrazione Bush e dei suoi alleati, di dare un senso ad una tragedia che senso non ha.

In questo Iraq precipitato a forza nel medioevo nulla ha un senso, ogni cosa è paradossale, ogni parola è stonata, ogni azione è semplicemente una scheggia di pazzia. Non esistono giustificazioni per le centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini massacrati, straziati, mutilati senza pietà, così come non esistono per i prigionieri torturati dentro al carcere di Abu Grahib o i civili di Falluja bruciati come ceri dalle bombe al fosforo bianco.

L'Iraq che si dibatte nel suo nuovo medioevo democratico non è più uno Stato, ma solamente un immenso campo di battaglia infarcito di auto bomba, di eserciti occupanti, di morte e devastazione. La democrazia in Iraq parla il linguaggio dell'egoarca e conta a livello di centinaia i morti ammazzati nelle strade ogni giorno. Il processo farsa a Saddam, svoltosi fra le mura della cittadella fortificata statunitense, nel nome del governo fantoccio di un Paese che non esiste, alla luce di una Costituzione che non rappresenta nessuno, si è rivelata l'ennesima parossistica messinscena priva di qualunque valenza oggettiva.

La condanna a morte per crimini contro l'umanità, estremamente meno pesanti di quelli compiuti in Iraq dagli americani di Bush e dai loro alleati durante questi anni, ha tramutato la messinscena in una macabra e truculenta rappresentazione.

La piccola folla d'iracheni festanti dinanzi alla forca democratica che stanotte campeggiava sugli schermi della CNN era in tutto e per tutto simile a quella (trasportata sul posto dagli stessi americani) che anni fa inneggiava ai liberatori durante la demolizione della statua di Saddam.

Quelle immagini fecero, come queste faranno, il giro del mondo, nel tentativo di pacificare le coscienze, rappresentando un Iraq che non esiste e non è mai esistito.

L'Iraq e gli iracheni non vivono dentro a un "film" ma fra le strade devastate dalle bombe di un paese senza identità e se i crimini contro l'umanità venissero puniti con la forca (giusto o sbagliato che sia) Bush e Blair per primi stanotte avrebbero accompagnato Saddam nel suo lungo viaggio, probabilmente alla presenza di folle festanti molto più corpose.
Marco Cedolin

30 dicembre 2006
 
Si.

E degli americani.

Poiché, non dimentichiamolo, un popolo non avrebbe certe leggi se non fosse, il popolo stesso, predisposto ad esse.
 
questa democrazia esportata da Bush è veramente poco rispettosa della dignità umana

e non credo vi sia più nessuno che possa condannarmi se dubito di tutto l'operato di Bush al punto che ipotizzo che l'attacco dei sauditi alle TRE TORRI appartenga alla ben collaudata strategia della tensione


http://canali.libero.it/affaritaliani/politica/abuomar0801.html
Abu Omar/ "Così mi hanno rapito e torturato". Ecco il racconto dell'ex imam di Milano: "Appeso al soffitto come bestia al macello"
Lunedí 08.01.2007 14:23

"Così sono stato rapito in in Italia e così sono stato messo in carcere e sottoposto a torture in Egitto". Con una lunga lettera scritta a mano, 6.300 parole in tutto, l’imam di Milano Osama Moustafa Hassan Nasr, meglio conosciuto come Abu Omar, racconta la sua avventura. Della lettera dà notizia, dal Cairo, il quotidiano americano Chicago Tribune.

Nel racconto dell'esponente musulmano, sarebbe stato un uomo identificatosi come un agente di polizia a fermare, il 17 febbraio 2003, Abu Omar in una strada di Milano mentre era diretto verso la moschea. Il predicatore sarebbe stato scaraventato in un veicolo e "picchiato brutalmente" al minimo tentativo di resistenza. Durante la colluttazione, schiuma sarebbe apparsa sulla bocca di Abu Omar, con la contemporanea perdita di feci. I rapitori, temendo un arresto cardiaco, "cominciarono a strapparmi rapidamente gli abiti e uno di loro cominciò a comprimermi il petto" praticando un massaggio cardiaco. La vittima del sequestro, superata la crisi, sarebbe stata portata ad un aeroporto e, dopo un primo volo breve, sarebbe giunto al Cairo alle cinque del mattino e trasportato al quartier generale dell'intelligence egiziana dove gli sarebbe stato offerto di cooperare "in cambio di un ritorno, sano e salvo, in Italia".

Secondo il resoconto pubblicato dal giornale di Chicago, nella prigione egiziana Abu Omar sarebbe stato sottoposto a torture, scosse elettriche, percosse che gli hanno fatto perdere l’udito da un orecchio, e anche a minacce di abusi sessuali. "Sono stato appeso al soffitto come bestiame destinato al macello, a testa in giù, piedi in aria, le mani legate dietro la schiena, i piedi legati insieme, esposto a scosse elettriche su tutto il corpo, soprattutto alla testa, per indebolire il mio cervello", afferma il memorandum della vittima. In Egitto, Abu Omar sarebbe stato inoltre legato ad un materasso intriso d'acqua e collegato a macchinari elettrici. "Anche quando non ero torturato, venivo lasciato per lunghi periodi nelle camere di tortura, perchè udissi le urla degli altri, i loro gemiti, per farmi crollare psicologicamente", ha scritto nel suo memorandum. Almeno in una occasione Abu Omar avrebbe cercato di suicidarsi, mentre era in carcere.

La procura di Milano ha spiccato un mandato di cattura europeo per 26 agenti segreti americani e cinque italiani accusati di avere organizzato ed eseguito il rapimento di Abu Omar e di averlo poi trasferito al Cairo per essere sottoposto a interrogatori. Intanto domani mattina a Milano inizia l’udienza preliminare al termine della quale il gup Caterina Interlandi deciderà se rinviare o meno a giudizio i 38 indagagti per il rapimento di Abu Omar, tra i quali ci sono i 26 agenti della Cia che ovviamente non saranno in aula ma saranno rappresentati dai loro difensori. Gli 007 statunitensi destinatari di ordini di custodia cautelare per sequestro di persona sarebbero arrestati nel caso mettessero piede in Italia o in uno dei paesi dell’area Schengen. All’avvio dell’udienza preliminare sarà assente anche l’ex direttore del Sismi Nicolò Pollari, imputato di sequestro di persona insieme ad alcuni funzionari del servizio segreto, tra cui l'ex capo del controspionaggio Marco Mancini, al maresciallo del Ros Luciano Pironi e al vicedirettore di Libero Renato Farina, accusato però solo di favoreggiamento. Pollari però ha fatto sapere che interverrà alle udienze successive per rendere dichiarazioni spontanee. Marco Mancini, funzionario dello stesso servizio, detenuto per la vicenda dei dossier illegali, ha spiegato che parteciperà al processo solo il giorno in cui sarà libero. Ha preannunciato di voler patteggiare la pena il maresciallo Luciano Pironi.

Il governo deve invece ancora decidere se inviare o meno negli Usa le richieste di arresto a fini estradizionali presentate dalla magistratura milanese a carico di 26 agenti della Cia accusati di aver sequestrato l’ex imam. Con ogni probabilità il seminario governativo in programma a Caserta per l’11 e il 12 gennaio prossimi sarà utilizzato anche per questo. In ogni caso, "credo che entro questo mese daremo una risposta", ha assicurato il ministro della Giustizia, Clemente Mastella,

Il caso rappresenta un motivo di imbarazzo per il governo italiano e quello di Washington che da anni continuano a rimpallarsi le responsabilità sull’accaduto. Il capo della diplomazia americana Condoleezza Rice ha affrontato a più riprese il nodo delicatissimo delle attività segrete della Cia in Europa. Seppure senza entrare nei dettagli ha difeso la pratica della "extraordinary rendition" (dopo l’11 settembre 2001, gli Stati Uniti hanno spesso utilizzato mezzi diversi da quelli ufficiali nel trattamento dei sospetti di terrorismo. Tra questi il sequestro di un sospetto in un paese straniero e il suo trasferimento per l’interrogatorio in un paese terzo, in molti casi dove non esistono garanzie contro il ricorso a torture) sottolineando come tutte le operazioni siano state condotte nel rispetto della sovranità degli alleati e abbiano consentito di proteggere l’America e l’Europa da attentati terroristici. Anche in Italia, secondo Washington, la Cia avrebbe agito con il benestare delle autorità italiane. Ma su questo nodo non c’è unità di vedute.
 
Ecco i 27 secondi del nuovo video sul cadavere di SaddamIn rete 27 secondi di clip: l'ex rais presenta ferite che possono essere state causate dalla corda con cui è stato impiccato. E' il terzo filmato dopo quello ufficiale 'muto' e quello fatto col cellulare. La nuova sequenza dapprima mostra l'ex rais disteso e coperto da un sudario bianco, poi l'obiettivo arriva alla testa e il telo viene alzato per mostrare la ferita al collo di Saddam, all'altezza della mandibola.

Il primo filmato clandestino sulla morte dell'ex rais iracheno, avvenuta il 30 dicembre scorso, era stato messo sul web a poche ore dall'esecuzione. In seguito alla diffusioni di quelle immagini e dell'audio con gli insulti rivolti al condannato a morte, il 3 gennaio scorso è stato arrestato un uomo. Nel filmato c'era l'audio che invece mancava nelle immagini diffuse il giorno dell'esecuzione dalla tv irachena. Audio che rivelava il clima di violenza e di sopraffazione in cui si è svolta l'esecuzione.
video su Adnkronos da Reuters http://www.adnkronos.com/2Level.php?cat=Video&stream=lq&loidVideo=saddam_collo_tagliato_reut


09 gennaio 2007
 
La democrazia a stelle e strisce arriva anche in Somalia
George W. Bush e l'amministrazione americana da lui controllata continuano a gestire con estrema disinvoltura le operazioni di "esportazione democratica" in giro per il mondo, prodigandosi per far si che nessun paese si ritrovi privato di un bene così essenziale. Dopo l'annientamento materiale e morale dell'Afghanistan e dell'Iraq, ridotti a maleodoranti campi di battaglia dove le mine antiuomo ed i residui dell'uranio impoverito garantiranno alle generazioni a venire un futuro democratico fatto di menomazioni fisiche, leucemie, linfomi e tumori, l'attenzione del "gendarme del mondo" inizia a spaziare verso nuovi orizzonti.

Se il 2006 si è chiuso nel segno dell'ignominia, con l'immagine di Saddam Hussein appeso alla forca in mondovisione a dimostrare quale sia la giusta fine per chiunque osi opporsi all'avanzata della democrazia, il nuovo anno si mostra da subito foriero di sorprese a dir poco inquietanti. Aerei ed elicotteri americani hanno bombardato ieri pesantemente la zona sud orientale della Somalia, provocando la morte di almeno 30 civili in fuga dalla guerra e di un numero imprecisato di militanti islamici in ritirata, mentre dinanzi alle coste della Somalia la portaerei NUCLEARE Eishenower sta per unirsi ad altre tre navi da guerra americane già presenti sul posto.

Secondo le autorità statunitensi la giustificazione di questo nuovo massacro è come sempre da ricercarsi nella lotta contro il terrorismo che l'esercito americano sta portando avanti con ogni mezzo in ogni parte del globo, incurante dei confini dei vari stati sovrani che lo compongono. Ancora una volta i morti ammazzati sono civili innocenti incappati per un caso fortuito nel fuoco della macchina da guerra di Bush che insegue fantomatici luogotenenti di Al Quaeda, nell'encomiabile sforzo di annientare il nemico invisibile. Ancora una volta una strage perpetrata da soldati americani e giustificata tramite argomenti ridicoli, viene compiuta nell'acquiescenza generale, suscitando al più qualche sommesso rimbrotto da parte dell'ONU e dell'Unione Europea.

Il Presidente somalo Abdullahi Yusuf, dal canto suo, avendo molto più cara l'integrità futura del proprio collo, piuttosto che non la salute della popolazione di Somalia, si è affrettato a dichiarare con estrema deferenza che gli Stati Uniti hanno il diritto di lanciare raid sul territorio somalo come meglio credono, confermando il consolidamento di una nuova era coloniale, asservita questa volta ad un'unica bandiera.

Venti di guerra sempre più insistenti stanno ormai soffiando sull'intera area e nell'attesa che come nelle terre afgane ed irachene inizi a germogliare la democrazia, già s'inizia a parlare di una futura missione internazionale di pace/guerra, volta ad evitare uno scontro di religioni e civiltà. Per i soldati anche questo nuovo anno è iniziato dunque senza il timore della disoccupazione, anzi le prospettive sembrano addirittura quelle di dovere fare gli straordinari.

Marco Cedolin - per Cani Sciolti
 
Somalia: Il gendarme del mondo fa strage


Non esiste infatti alcuna legge al mondo che permetta ad alcuno di bombardare un villaggio per uccidere uno o più terroristi. La pietosa scusa secondo la quale le vittime civili di questa pratica criminale sarebbero “giustificate”, ricorda quelle dei tedeschi che uccidevano i civili quando non erano in grado di catturare i partigiani, all’epoca “terroristi” per il Reich. C’è la stessa indifferenza per la vita umana degli altri alla radice dell’approvazione di azioni del genere. Lo stesso razzismo di fondo E la dimostrazione di questo assunto sta nel fatto che se nei quattro villaggi ci fossero stati degli americani, non li avrebbero certo rasi al suolo. Non avrebbero considerato “giustificabile” ucciderli per colpire terroristi, neanche se questi un giorno avrebbero potuto organizzare altri attentati o in quanto parte del network del terrore.


La soverchiante superiorità militare americana su eventuali somali armati (ancora più eclatante di quella etiope, già dimostratasi invincibile in campo aperto) rende ancora di più la misura del disprezzo per le vite dei civili rimasti uccisi. Come hanno mandato cannoniere volanti ed elicotteri, così gli americani potevano mandare truppe speciali a catturare gli eventuali “cattivi” modulando l’intervento in maniera che ai civili fosse data una possibilità di scampo. Purtroppo per i somali, rischiare la vita di un soldato americano per un civile somalo (o mille) è espressamente vietato dalla teoria di guerra insegnata al Pentagono.

Agli abitanti delle quattro località non è stata concessa alcuna possibilità, quelli che non si erano uniti ai somali che avevano scelto la via della fuga al momento dell’invasione etiope sono stati inceneriti. Con loro sono stati rasi al suolo i loro villaggi. Ai loro parenti in fuga non è riservata miglior sorte. Gli americani hanno preteso la chiusura del confine con il Kenya e per quei profughi c’è ancora il rischio di essere considerati nel posto sbagliato quando l’Air Force sferrerà il prossimo attacco ai “terroristi”. Nel mentre vagano indifesi in balia delle decisioni dei militari americani ed etiopi.

Questa volta Washington ha avuto la decenza di non parlare di “armi intelligenti”, e si è congratulata con se stessa per il “successo” della missione. Il governo somalo è stato sorpreso con le mutande in mano. Inizialmente il presidente Yusuf ha affermato di aver appreso la notizia dalla radio, poi ha detto di aver autorizzato l’intervento. C’è da chiedersi chi possa mai credere Yusuf in grado di autorizzare qualcosa di diverso da quanto deciso dalle volpi del Dipartimento di Stato. C’è anche da chiedersi quale terrificante responsabilità porterà Yusuf agli occhi di molti somali. C’è da chiedersi anche quanti somali diventeranno “terroristi” per vendicare il massacro dei loro parenti. Difficilmente alla fine di un giro di domande banali e scontate si potrà pensare a questa operazione come a un “successo”, qualunque cosa si voglia intendere con il termine.

L’attacco americano alla Somalia segnala quindi l’apertura del terzo fronte di guerra statunitense, le operazioni sembrano destinate a durare a lungo (a smentirne ulteriormente il legame con il singolo terrorista), fronte aperto forse per distrarre l’attenzione dai fallimenti in Iraq e Afghanistan, ma aperto in maniera ancora più ostile a qualsiasi legalità internazionale e alla logica politica di quanti non siano americani della squadra di Bush.


Lo stesso governo etiope vorrebbe sfilarsi al più presto, ma non gli sarà possibile. Al terzo giorno di manifestazioni etiopi e armati del Governo Transitorio hanno sparato sulla folla a Mogadiscio. Subito dopo sono giunte le notizie sui bombardamenti americani e ieri sono cominciati combattimenti diffusi nella capitale. Le truppe etiopi sono state attaccate in diverse occasioni da somali molto arrabbiati e la capitale da oltre 24 ore è accompagnata da un concerto di esplosioni e spari. Gli ospedali sono già stati saturati dall’afflusso dei feriti. Le forze etiopi hanno sigillato alcune aree, ma è evidente che non esiste un fronte, Mogadiscio è di nuovo un campo di battaglia.
In Etiopia intanto sono arrivati gli americani, ma non per liberare Adis Abeba dalla dittatura di Meles Melawi. Sono ai confini con la Somalia e la loro presenza è la spia di una scarsa fiducia nelle capacità operative degli etiopi e della volontà di esercitare la massima pressione sulla Somalia da tutte le direzioni.

La comunità internazionale non ha reagito bene all’iniziativa americana; fino alla settimana scorsa poteva permettersi di passare sottovoce l’invasione etiope perchè alle opinioni pubbliche era ancora rappresentata come una questione regionale tra paesi che non interessano a nessuno, oggi appare evidente a chiunque come l’attore principale che ha deciso di trasformare di nuovo la Somalia in un campo di battaglia sia il solito gruppo di americani impazziti. Bush, Rice e Jenday Frazier hanno gestito l’intervento e i passi che hanno condotto a questa nuova guerra e ne portano la responsabilità di fronte al mondo.

Bush sembra intenzionato ad ignorare i richiami alla ragionevolezza che hanno sedotto gli elettori americani inducendoli a premiare i suoi concorrenti democratici. In Iraq ha proposto di alzare il livello dello scontro, in Palestina ha armato quelli di Fatah e li spinge alla guerra civile contro Hamas, mentre in Afghanistan attende la prossima primavera per la ripresa dei combattimenti in grande stile lasciando il paese allo sbando. Da qui a fine mandato Bush potrebbe fare ancora danni incalcolabili a dispetto delle proteste dell’ONU e della comunità internazionale e purtroppo sembra davvero intenzionato a seminare altre guerre e distruzioni.

Il gendarme del mondo è impazzito e solo gli stessi americani hanno qualche speranza di fermarlo, a tutti gli altri non resta che incrociare le dita e sperare di non finire mai nel suo mirino.

Raffaele Matteotti
altrenotizie.org
 

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