Claire
ἰοίην
Un articolo utile che fa riflettere tutti coloro che pensano alla categoria delle ex mogli, come a delle vampire crudeli
Assegno di mantenimento addio - Famiglia - D - la Repubblica
Prendiamo una professionista milanese, laureata, un fidanzamento decennale, un matrimonio e una coppia che dopo due anni non c’è più perché lui ha fatto la valigia e se ne è andato (con un’altra). Elisabetta R., 35 anni, è una donna sulla faglia di un mondo alla deriva. Quello che ci ha sempre portate a pensare: «Il coniuge che guadagna di più, se responsabile della separazione, deve garantire lo stesso standard di vita del matrimonio all’ex». E invece no: think again.
ll giudice a cui si è rivolta per vedere riconosciuto il suo diritto al sostentamento da parte del marito, il cui reddito è fortemente superiore, ha detto no: «La signora è giovane, laureata e può benissimo badare a se stessa». Tanti saluti e grazie. Sono sempre di più, in Italia, i tribunali che sanciscono, di fatto, una parità economica che ancora non c’è. Secondo l’Associazione Matrimonialisti Italiani, nel 2007, il 27,1% delle separazioni si concludeva con l’assegno di mantenimento al coniuge (98% dei casi il marito alla moglie). Nel 2009, l’assegno veniva concesso solo nel 21,1% delle separazioni, adesso siamo scesi al 17%, dal 60% di trent’anni fa. La legge, nel frattempo, è rimasta la stessa.
«L’inversione di tendenza dei tribunali crea una situazione paradossale, perché nel momento in cui un matrimonio finisce diventa penalizzante per la donna avere un lavoro, indipendentemente dall’effettiva retribuzione” osserva Elisabetta R. “Come se aver costruito la propria autonomia mettesse il marito al riparo dal rispettare gli obblighi di sostentamento e aiuto che una coppia si è volontariamente assunta il giorno del matrimonio».
Intanto, a ottomila chilometri di distanza, le donne americane hanno unito le forze per cambiare le regole del diritto di famiglia dei loro stati, al grido di “Basta alimenti!”. «Quelle che si sono mosse per cambiare le leggi sugli assegni di mantenimento sono soprattutto donne sposate con uomini al secondo matrimonio che non vogliono trovarsi nella situazione di dover mantenere o contribuire a mantenere la prima moglie del loro partner», fa notare dalle colonne di Time Liza Mundy, autore di Il sesso più ricco: come la nuova maggioranza di donne lavoratrici sta trasformando il sesso, l’amore e la famiglia. Secondo l’Ufficio Statistiche del Lavoro (Wives who earn more than their husbands), oltre il 37% delle donne americane guadagnava di più del marito nel 2011, una crescita del 10% rispetto al 1987. Con la crisi, la percentuale è cresciuta ulteriormente. In Italia, invece, siamo distanti anni luce da questi numeri. La recente ricerca di Almalaurea, per esempio, certifica quello che molte donne vivono sulla propria pelle ogni giorno: le donne laureate sono il 24,2% contro il 15,5% degli uomini. A un anno dalla laurea, il 63% degli uomini lavora, contro il 55,5% delle donne. E gli uomini, in media, guadagnano il 32% in più, cioè 1.220 euro al mese contro 924. A cinque anni dalla laurea, il divario scende al 30%: gli uomini guadagnano 1.646 euro, le donne 1.266 euro, praticamente come un uomo dopo un anno dalla laurea.
La domanda, dunque, sorge spontanea: fino a che punto i tribunali si esprimono tendendo conto della reale condizione delle donne in Italia? «Si tratta di una nota dolente - ammette l’avvocato Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione Matrimonialisti Italiani (Associazione Matrimonialisti Familiaristi Italiani - Per la tutela delle persone, dei minorenni e della famiglia - formazione professionale multidisciplinare forense | Associazione Matrimonialisti Familiaristi Italiani) -. Perché quando si tratta di diritto di famiglia, si assiste nei fatti a una notevole disparità nei giudizi». Insomma, è un po’ un terno al lotto, dipende dal giudice che ci si troverà davanti e dalla latitudine del giudizio. Secondo l’Istat, al Sud e nelle isole, l’assegno viene concesso nel 24% dei casi, una situazione che tiene conto delle differenti condizioni lavorative della penisola, ma che nasconde una disparità fra ogni singolo caso valutato secondo il nostro ordinamento.
«La legge prevede che l’assegno di mantenimento spetti al coniuge che non ha un reddito sufficiente a garantirgli il medesimo tenore di vita goduto durante il matrimonio e al quale non è addebitata la separazione. Si tratta di un vincolo di solidarietà che tiene conto anche del tenore di vita potenziale», ricorda da Milano l’avvocato Sabrina Orsini. La pratica, nella realtà, si traduce in situazioni di povertà. Secondo la Caritas, il 12,7% delle persone che ogni anno chiedono assistenza sono persone separate o divorziate e la metà di loro ha problemi di povertà. L’Istat ricorda come fra gli uomini separati e single, l’1,6% è povero, contro il 3,5% delle donne, dato che sale al 10,4% se ci sono figli a carico.
Ma se a pagare il mantenimento fossero sempre più le donne, per noi donne sarebbe diverso? «Il matrimonio è un contratto che tutela la parte più debole. Sia essa uomo o donna” risponde Elisabetta R. Se è l'uomo ad essere più debole ed è stata la donna a decidere di disfare il matrimonio, non trovo strano che il tribunale le imponga di pagare un sostegno». Nel biennio 2011-2012, le mogli che devono provvedere all’ex sono quasi il 4% del totale degli assegni, contro l’1,5% del 2004. Le donne italiane, sotto questo profilo, si rivelano particolarmente “sportive”: «Sarà che la donna italiana è un po’ all’antica, oppure ha una tendenza naturale all’accudimento, il risultato è che quando devono pagare un assegno all’ex-marito sono sempre rispettose della decisione del giudice. Mentre, più spesso, se un uomo deve pagare succede che si debba provvedere in maniera coatta», precisa l’avvocato Orsini. Difficile, però, sapere cosa pensino le donne che pagano un sostegno all’ex: «Nonostante tutto c’è ancora una sorta di ritrosia nel dire che si paga un uomo», concordano i matrimonialisti.
Assegno di mantenimento addio - Famiglia - D - la Repubblica
Prendiamo una professionista milanese, laureata, un fidanzamento decennale, un matrimonio e una coppia che dopo due anni non c’è più perché lui ha fatto la valigia e se ne è andato (con un’altra). Elisabetta R., 35 anni, è una donna sulla faglia di un mondo alla deriva. Quello che ci ha sempre portate a pensare: «Il coniuge che guadagna di più, se responsabile della separazione, deve garantire lo stesso standard di vita del matrimonio all’ex». E invece no: think again.
ll giudice a cui si è rivolta per vedere riconosciuto il suo diritto al sostentamento da parte del marito, il cui reddito è fortemente superiore, ha detto no: «La signora è giovane, laureata e può benissimo badare a se stessa». Tanti saluti e grazie. Sono sempre di più, in Italia, i tribunali che sanciscono, di fatto, una parità economica che ancora non c’è. Secondo l’Associazione Matrimonialisti Italiani, nel 2007, il 27,1% delle separazioni si concludeva con l’assegno di mantenimento al coniuge (98% dei casi il marito alla moglie). Nel 2009, l’assegno veniva concesso solo nel 21,1% delle separazioni, adesso siamo scesi al 17%, dal 60% di trent’anni fa. La legge, nel frattempo, è rimasta la stessa.
«L’inversione di tendenza dei tribunali crea una situazione paradossale, perché nel momento in cui un matrimonio finisce diventa penalizzante per la donna avere un lavoro, indipendentemente dall’effettiva retribuzione” osserva Elisabetta R. “Come se aver costruito la propria autonomia mettesse il marito al riparo dal rispettare gli obblighi di sostentamento e aiuto che una coppia si è volontariamente assunta il giorno del matrimonio».
Intanto, a ottomila chilometri di distanza, le donne americane hanno unito le forze per cambiare le regole del diritto di famiglia dei loro stati, al grido di “Basta alimenti!”. «Quelle che si sono mosse per cambiare le leggi sugli assegni di mantenimento sono soprattutto donne sposate con uomini al secondo matrimonio che non vogliono trovarsi nella situazione di dover mantenere o contribuire a mantenere la prima moglie del loro partner», fa notare dalle colonne di Time Liza Mundy, autore di Il sesso più ricco: come la nuova maggioranza di donne lavoratrici sta trasformando il sesso, l’amore e la famiglia. Secondo l’Ufficio Statistiche del Lavoro (Wives who earn more than their husbands), oltre il 37% delle donne americane guadagnava di più del marito nel 2011, una crescita del 10% rispetto al 1987. Con la crisi, la percentuale è cresciuta ulteriormente. In Italia, invece, siamo distanti anni luce da questi numeri. La recente ricerca di Almalaurea, per esempio, certifica quello che molte donne vivono sulla propria pelle ogni giorno: le donne laureate sono il 24,2% contro il 15,5% degli uomini. A un anno dalla laurea, il 63% degli uomini lavora, contro il 55,5% delle donne. E gli uomini, in media, guadagnano il 32% in più, cioè 1.220 euro al mese contro 924. A cinque anni dalla laurea, il divario scende al 30%: gli uomini guadagnano 1.646 euro, le donne 1.266 euro, praticamente come un uomo dopo un anno dalla laurea.
La domanda, dunque, sorge spontanea: fino a che punto i tribunali si esprimono tendendo conto della reale condizione delle donne in Italia? «Si tratta di una nota dolente - ammette l’avvocato Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione Matrimonialisti Italiani (Associazione Matrimonialisti Familiaristi Italiani - Per la tutela delle persone, dei minorenni e della famiglia - formazione professionale multidisciplinare forense | Associazione Matrimonialisti Familiaristi Italiani) -. Perché quando si tratta di diritto di famiglia, si assiste nei fatti a una notevole disparità nei giudizi». Insomma, è un po’ un terno al lotto, dipende dal giudice che ci si troverà davanti e dalla latitudine del giudizio. Secondo l’Istat, al Sud e nelle isole, l’assegno viene concesso nel 24% dei casi, una situazione che tiene conto delle differenti condizioni lavorative della penisola, ma che nasconde una disparità fra ogni singolo caso valutato secondo il nostro ordinamento.
«La legge prevede che l’assegno di mantenimento spetti al coniuge che non ha un reddito sufficiente a garantirgli il medesimo tenore di vita goduto durante il matrimonio e al quale non è addebitata la separazione. Si tratta di un vincolo di solidarietà che tiene conto anche del tenore di vita potenziale», ricorda da Milano l’avvocato Sabrina Orsini. La pratica, nella realtà, si traduce in situazioni di povertà. Secondo la Caritas, il 12,7% delle persone che ogni anno chiedono assistenza sono persone separate o divorziate e la metà di loro ha problemi di povertà. L’Istat ricorda come fra gli uomini separati e single, l’1,6% è povero, contro il 3,5% delle donne, dato che sale al 10,4% se ci sono figli a carico.
Ma se a pagare il mantenimento fossero sempre più le donne, per noi donne sarebbe diverso? «Il matrimonio è un contratto che tutela la parte più debole. Sia essa uomo o donna” risponde Elisabetta R. Se è l'uomo ad essere più debole ed è stata la donna a decidere di disfare il matrimonio, non trovo strano che il tribunale le imponga di pagare un sostegno». Nel biennio 2011-2012, le mogli che devono provvedere all’ex sono quasi il 4% del totale degli assegni, contro l’1,5% del 2004. Le donne italiane, sotto questo profilo, si rivelano particolarmente “sportive”: «Sarà che la donna italiana è un po’ all’antica, oppure ha una tendenza naturale all’accudimento, il risultato è che quando devono pagare un assegno all’ex-marito sono sempre rispettose della decisione del giudice. Mentre, più spesso, se un uomo deve pagare succede che si debba provvedere in maniera coatta», precisa l’avvocato Orsini. Difficile, però, sapere cosa pensino le donne che pagano un sostegno all’ex: «Nonostante tutto c’è ancora una sorta di ritrosia nel dire che si paga un uomo», concordano i matrimonialisti.