Exor (EXO) EXOR-Fiat-Chrylser-Opel

tontolina

Forumer storico
Quello che nessuno dice su Fiat e Chrysler

Manca soltanto la marcia trionfale dell'Aida in sottofondo e tutto sarebbe perfetto. È di ieri, infatti, la notizia che Fiat ha compiuto un nuovo passo verso Chrysler grazie al tribunale di New York che ha dato il via libera alla procedura accelerata per la ristrutturazione della casa automobilistica Usa: al termine di un'udienza durata oltre otto ore Arthur Gonzalez, il giudice che si occupa del dossier Chrylser, ha dato il disco verde alla vendita attraverso asta della maggior parte degli asset della società, con la Fiat principale offetore.rente. Entro il 20 maggio potranno pervenire offerte concorrenti, mentre una settimana dopo, il 27, sarà decretato il vinci
Respingendo le obiezioni sollevate da un gruppo di creditori, Gonzalez spiana così la strada all'alleanza fra Fiat e Chrysler, appoggiando il piano dell'amministrazione americana. Avevate dubbi? Tornando infatti un attimo sulla terra come potevate pensare che un gruppo di creditori, gente onesta che ha creduto nel gigante del motore e ne è rimasta sonoramente fregata, potesse bloccare la volontà calata dall'alto di Barack Obama in persona? Il quale, pur di salvare Detroit senza svenarsi - deve infatti ancora salvare i suoi amici banchieri ed evitare l'imminente default degli istituti assicurativi - ha scelto Fiat per scaricare su qualcun'altro le grane più imminenti.


Primo. Servono infatti almeno 10-15 miliardi per realizzare il maxi-polo dell'auto della Fiat con dentro Opel e Chrysler. E molti istituti bancari, gli stessi che gli italiani stanno salvando attraverso i Tremonti-bond o quelli salvati da altri governi sempre con soldi pubblici, sono già in pressing per conquistare i posti in prima fila nella complessa operazione di riorganizzazione societaria del Lingotto che ha progettato una scissione dell'auto in una newco da quotare in Borsa (puzza molto di Alitalia-Cai e l'epilogo sarà lo stesso), in caso di fusione con Opel e le altre attività europee di General Motors. E con Exor, la finanziaria degli Agnelli, pronta a diluire l'attuale partecipazione del 33% fino al 15-20%: anche perché con un processo in corso a Torino per aggiotaggio informativo in relazione all'equity swap Ifil-Exor che premise al Lingotto di tenersi Fiat invece di metterla, come liberismo vorrebbe, sul mercato non riuscendo a gestirla e nonostante l'esercizio del prestito convertendo da parte delle banche creditrici, sarebbe sgradevole dover dar conto Oltreoceano per eventuali condanne.
E sì, perché le trombe troppo squillanti per questa Fiat che conquista il mondo fanno restare in sottofondo le grida di un passato che, socializzazione dei debiti e privatizzazione dei profitti attraverso la cassaintegrazione (ovvero i soldi dei contribuenti italiani) a parte, non appare dei più gloriosi. Ma l'attivismo delle banche, giustificato con la necessità di spuntare commissioni in tempi di magra, si accompagna alle perplessità sulla struttura del mega-polo dell'auto che per andare in porto ha bisogno di ingenti capitali tra acquisizione di Opel, rifinanziamento dei 5-7 miliardi di debiti e investimenti. E dove li trova? Mah, chiedete a Marchionne e ai suoi amici di Ubs, banca sanissima.


Secondo. Con gli anni il gigante di Detroit aveva praticamente smesso di preoccuparsi di produrre automobili perché si era trasformato nel più grande detentore di obbligazioni come fondo pensione e sanitario, qualcosa come 200 miliardi di dollari alla fine dello scorso anno: insomma, porta sempre aperta per le esorbitanti richieste salariali dei sindacati, produzione desueta e scadente ma leva di leverage sul mercato health&pension da banca d'affari. Bush prima e Obama poi hanno provato a tamponare ma ora la procedura fallimentare dettata dal chapter 11 brucerà quei fondi dei contribuenti, i quali si trasformeranno in creditori qualsiasi da aggiungersi alla fila: chi dovrà rispondere alle lamentele di quella fila una volta compiuta la fusione, secondo voi?


Terzo. L'unione Toyota-Volkswagen funziona a livello globale perché le piattaforme di produzione sono le stesse sia per l'Audi A6 che per la Skoda Superb che per la Toyota Avensis. Fiat non condivide nessuna piattaforma produttiva con Chrysler né tantomeno con Opel. Ma a far davvero arrabbiare per questo coro di peana e trionfalismi da reality show, è il fatto che se il privato cittadino può non leggere la stampa finanziaria Usa, i giornalisti dovrebbero. E cosa scriveva il 1° maggio scorso Business Week, settimanale Usa tra i più influenti e autorevoli nel mondo? Basta il titolo dell'articolo: "Comprereste un'auto da Chrysler?". E poi, via con le cifre.
Per il sito specializzato Cars, la decisione di chiedere la bancarotta influenzerebbe negativamente le scelte di acquisto del 21% degli interpellati, una percentuale che va a incidere su un dato di base ante-chapter 11 ben poco incoraggiante: già prima Chrysler ha patito un crollo delle vendite del 46% contro il dato del 38% dell'intero settore auto negli Usa.
Ancora Consumer Reports, nel suo numero dedicato alle auto per il 2009, ammonisce i lettori a non comprare né Chrysler, né Dodge, né Suv. Edmundfs.com, sito di vendita auto usate on-line tra i più famosi d'America, ammonisce che la crisi di appeal e popolarità di Chrysler è talmente forte che offre sconti del 23% sul costo da concessionario contro il 16 delle altre marche. Significa che un minivan o un Suv Chrysler vengono offerti con 10mila dollari di sconto.
Insomma, Fiat sta acquisendo un'azienda le cui auto non vengono vendute quasi nemmeno se regalate. Si chiedeva ieri, tra il divertito e il preoccupato, il Daily Telegraph dopo aver interpellato Roy Golding, analista del mercato automobilistico: «Quanti in South Carolina o Oklahoma si compreranno una Fiat 500?». Già, quanti?
Poi, l'altra grande bufala: dall'operazione Fiat acquisirà la rete di distributori di Chrysler per entrare nel mercato americano. Bugia, almeno in parte e questo spiegherebbe l'immediato attivismo tedesco di Marchionne che fiutata la fregatura targata Obama sta cercando l'opzione aggregative Opel sperando nei fondi statali tedeschi (e proprio in vista di questa ipotesi il sindacato dei metalmeccanici IgMetall ha già preannunciato battaglia durissima e minaccia il governo Merkel, alle prese con le elezioni politiche a settembre).
Soltanto nel mese di aprile sono stati chiusi quarantacinque concessionari Chrysler e nelle prossime settimane questo numero è destinato a salire esponenzialmente per un semplice dettaglio che nessuno sembra aver notato: l'essere terminata in amministrazione controllata sotto il chapter 11 consente a Chrysler, in virtù dell'obbligo di riduzione di costi e spese, di tagliare a dismisura tra i concessionari senza incorrere nella legge Usa sulla franchigia. In totale l'azienda ha 3150 dealers ma ne metterà sul mercato, entro pochi mesi, fino a 1500.
Questo significa meno presenza sul territorio, vendita a prezzo di saldo per necessità di liquidi e quindi l'assalto dei concorrenti pronti a cannibalizzare e ulteriore disaffezione visto che in un regime di libera offerta se il concessionario della mia auto era a quindici minuti e ora, in virtù delle chiusure, il più vicino è a quarantacinque minuti quando non un'ora, cambio modello e punto oltre che sulla qualità e la convenienza anche sulla capillarità del servizio di assistenza.




Ma cosa volete, ora in Italia si vola in alto, la Fiat conquista il mondo dopo anni di decadenza, mica si può star lì a perdere tempo con i conti della serva sul numero dei concessionari.

A Londra invece, per connaturato spirito mercantile, i conti si fanno sempre.
E a conti fatti Fiat in Europa come in Sud America, dove viene venduta, non scoppia esattamente di salute come dato di vendite. Né il brand-madre, né la controllata Alfa Romeo.


La rivista in difesa dei consumatori Which?, parla infatti riguardo a Fiat della «necessità di muoversi e in fretta dall'ultima posizione della classifica da dove langue da molti anni».
Di più, un sondaggio tra i proprietari di Fiat nel Regno Unito condotto da J.D. Power e dalla rivista What Car? pone Fiat alla ventottesima posizione, l'ultima, nell'Indice di soddisfazione 2008 per quanto riguarda auto con due anni di età: la qualità incideva del 30% sul punteggio finale. E pensate che un consumatore americano, scottato dalla bancarotta, troverà di nuovo appetibile Chrysler per i bei maglioncini blu di Sergio Marchionne?


Chiedetelo al capo della divisione automotive di Ernst&Young, il quale cinque giorni fa diceva chiaramente dalle colonne della free-press finanziaria londinese CityAm che «la volontà dei cittadini americani di comprare ancora Chrysler, almeno in base agli studi in nostro possesso, è ancora tutta da valutare ma certamente non lascia sperare per il meglio».


Nel 1998 Mercedes diede vita a una fusione con Chrysler e il management dell'epoca disse che l'operazione avrebbe fruttato 30 miliardi di dollari. Cifra che, invece, fu la perdita netta patita dalla casa di Stoccarda quando scappò da quel matrimonio infernale nel 2007. Ma si sa, Fiat vuol dire successo e quindi la storia non si ripeterà.


Non la pensa così il professor Gerald Rhys, esperto di mercato automobilistico e docente universitario a Oxford, secondo cui la possibilità che il combinato Fiat-Opel-Chrysler possa sopravvivere al mercato e diventare un grande player «è meno del 50%.
Questa operazione mi ricorda quella terribile follia industriale che fu la politica britannica di fusione selvaggia degli anni Sessanta che diede vita a quel disastro dal nome di Rover». La quale, come si sa, è costata molto cara alla brama di Rover, dominio di Bmw. Ora tornino a squillare le trombe. E scusate per il disturbo.



Mauro Bottarelli

Fonte: www.ilsussidiario.net

Link: http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=19470
 
Due grossi freni per la super Fiat di Marchionne

Gianni Gambarotta


venerdì 8 maggio 2009
http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=19571


Dove sarà in questo momento Sergio Marchionne? A Torino, a Detroit, a Berlino? Probabilmente sarà sul suo jet diretto verso una di queste tre mete per negoziare la partita doppia che ha aperto con governi e sindacati americani e tedeschi per creare il supergruppo dell’auto da 6 milioni di pezzi l’anno.

Il tentativo dell’instancabile amministratore delegato della Fiat di mettere il marchio torinese assieme a quello della Chrysler e della Opel (più, forse, anche alcune parti della General Motors sudamericana) è guardato con grande simpatia dai media e in generale dall’opinione pubblica italiana. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha detto di fare il tifo per il successo di questa operazione, che ritiene positiva per gli azionisti, l’azienda, l’industria. Insomma: un bene per il paese. Che si trova unito, per una volta, a sostenere le fatiche di questo particolare manager anticonformista, con il suo perenne pullover, gli occhiali spessi, l’aria un po’ svagata e una capacità di lavoro che non ha molti paragoni.

Marchionne, un avvocato italo-canadese, fino a cinque anni fa era quasi sconosciuto non solo al grande pubblico, ma anche alla gran parte della stampa economica. Poi, arrivato a capo della Fiat, ha compiuto il miracolo di rimettere in sesto il gruppo automobilistico che molti pensavano destinato a un sicuro fallimento. E da allora è stato un personaggio, un modello. E ancora di più lo è in questi giorni, trasformato quasi in un eroe perché ha saputo concludere l’accordo con la Chrysler e ha impostato quello con la Opel, filiale tedesca della General Motors, in cerca di compratori a causa delle condizioni preagoniche della casa madre.

Certo l’industria dell’auto è in una crisi paragonabile solo a quella che attraversò dopo la grande crisi petrolifera dell’ottobre 1973. E nelle condizioni in cui è ridotta è indispensabile reagire, trovare delle soluzioni: non si può stare fermi ad aspettare che passi la burrasca. In questo senso, Marchionne si è mosso meglio di qualsiasi altro suo collega: ha preso l’iniziativa, sta cercando di dar vita a una realtà in grado di produrre grandi numeri, la sola via per ottenere economie di scala e ridurre i costi. Ma non è una strada in discesa quella che ha scelto.

Due sono gli interrogativi che si pongono sul suo progetto di SuperFiat.

Il primo riguarda la squadra. Gestire la Chrysler non sarà un’impresa facile. La casa di Detroit - non va dimenticato - è stata per 11 anni di proprietà dei tedeschi della Daimler, che non sono riusciti a integrarla e a portarla in utile e alla fine hanno gettato la spugna. Marchionne dovrà trovare il modo per fare meglio di loro. Ha i manager adatti per questa sfida? Alla campagna americana adesso si è aggiunta anche quella tedesca. Dunque sarà necessario mettere assieme un secondo team. È pronta in casa Fiat, o nelle sue vicinanze, una panchina così lunga?

La seconda perplessità è di ordine finanziario. La Fiat è entrata al 20% nella Chrysler senza spendere un soldo. Però se vorrà (come ha promesso all’amministrazione Usa) mettere in linea di montaggio nuovi modelli di auto a bassi consumi, avrà bisogno di capitali. Il Lingotto ha già un indebitamento che sfiora il livello di guardia, quindi non potrà ricorrere al credito bancario. Basteranno i finanziamenti promessi dalla Casa Bianca?

E il tema delle risorse finanziarie diventa ancora più problematico con l’aprirsi della prospettiva Opel. Gli americani della General Motors sono disposti a cedere la loro filiale europea, ma vogliono incassare un corrispettivo: la cifra è nebulosa; si parla comunque di miliardi di euro. La Fiat non li ha. Il suo azionista di maggioranza relativa, la Exor della famiglia Agnelli, ha detto che non è disponibile a investire altri capitali nel settore auto, nel quale ritiene di essere già fin troppo esposta. E allora? Dovrà veramente dimostrare di possedere doti magiche Sergio Marchionne.
 
Due grossi freni per la super Fiat di Marchionne

Gianni Gambarotta


venerdì 8 maggio 2009
http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=19571


Dove sarà in questo momento Sergio Marchionne? A Torino, a Detroit, a Berlino? Probabilmente sarà sul suo jet diretto verso una di queste tre mete per negoziare la partita doppia che ha aperto con governi e sindacati americani e tedeschi per creare il supergruppo dell’auto da 6 milioni di pezzi l’anno.

Il tentativo dell’instancabile amministratore delegato della Fiat di mettere il marchio torinese assieme a quello della Chrysler e della Opel (più, forse, anche alcune parti della General Motors sudamericana) è guardato con grande simpatia dai media e in generale dall’opinione pubblica italiana. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha detto di fare il tifo per il successo di questa operazione, che ritiene positiva per gli azionisti, l’azienda, l’industria. Insomma: un bene per il paese. Che si trova unito, per una volta, a sostenere le fatiche di questo particolare manager anticonformista, con il suo perenne pullover, gli occhiali spessi, l’aria un po’ svagata e una capacità di lavoro che non ha molti paragoni.

Marchionne, un avvocato italo-canadese, fino a cinque anni fa era quasi sconosciuto non solo al grande pubblico, ma anche alla gran parte della stampa economica. Poi, arrivato a capo della Fiat, ha compiuto il miracolo di rimettere in sesto il gruppo automobilistico che molti pensavano destinato a un sicuro fallimento. E da allora è stato un personaggio, un modello. E ancora di più lo è in questi giorni, trasformato quasi in un eroe perché ha saputo concludere l’accordo con la Chrysler e ha impostato quello con la Opel, filiale tedesca della General Motors, in cerca di compratori a causa delle condizioni preagoniche della casa madre.

Certo l’industria dell’auto è in una crisi paragonabile solo a quella che attraversò dopo la grande crisi petrolifera dell’ottobre 1973. E nelle condizioni in cui è ridotta è indispensabile reagire, trovare delle soluzioni: non si può stare fermi ad aspettare che passi la burrasca. In questo senso, Marchionne si è mosso meglio di qualsiasi altro suo collega: ha preso l’iniziativa, sta cercando di dar vita a una realtà in grado di produrre grandi numeri, la sola via per ottenere economie di scala e ridurre i costi. Ma non è una strada in discesa quella che ha scelto.

Due sono gli interrogativi che si pongono sul suo progetto di SuperFiat.

Il primo riguarda la squadra. Gestire la Chrysler non sarà un’impresa facile. La casa di Detroit - non va dimenticato - è stata per 11 anni di proprietà dei tedeschi della Daimler, che non sono riusciti a integrarla e a portarla in utile e alla fine hanno gettato la spugna. Marchionne dovrà trovare il modo per fare meglio di loro. Ha i manager adatti per questa sfida? Alla campagna americana adesso si è aggiunta anche quella tedesca. Dunque sarà necessario mettere assieme un secondo team. È pronta in casa Fiat, o nelle sue vicinanze, una panchina così lunga?

La seconda perplessità è di ordine finanziario. La Fiat è entrata al 20% nella Chrysler senza spendere un soldo. Però se vorrà (come ha promesso all’amministrazione Usa) mettere in linea di montaggio nuovi modelli di auto a bassi consumi, avrà bisogno di capitali. Il Lingotto ha già un indebitamento che sfiora il livello di guardia, quindi non potrà ricorrere al credito bancario. Basteranno i finanziamenti promessi dalla Casa Bianca?

E il tema delle risorse finanziarie diventa ancora più problematico con l’aprirsi della prospettiva Opel. Gli americani della General Motors sono disposti a cedere la loro filiale europea, ma vogliono incassare un corrispettivo: la cifra è nebulosa; si parla comunque di miliardi di euro. La Fiat non li ha. Il suo azionista di maggioranza relativa, la Exor della famiglia Agnelli, ha detto che non è disponibile a investire altri capitali nel settore auto, nel quale ritiene di essere già fin troppo esposta. E allora? Dovrà veramente dimostrare di possedere doti magiche Sergio Marchionne.

Poi fara' un sostanzioso ADC con qualche miliardata di azioni in circolazione in piu' ......aumenta la diluizione e si abbassa il prezzo ......

Eccalla' ...... 3.5.......:lol::lol::lol:

Ci vuole solo pazienza ..... la pera matura poi cade e si spappola ......
 
da http://ilcorrosivo.blogspot.com/2009/05/la-fiat-prepara-chiusure-e.html




Dopo settimane durante le quali i media italiani hanno incensato senza posa le politiche commerciali del gruppo FIAT e l’azione del suo ad Sergio Marchionne, indomito cavaliere lanciato alla conquista della Chrysler e dell’Opel, sembra essere arrivata la prima doccia fredda concernente i progetti per il futuro dell’azienda torinese.

I quotidiani tedeschi hanno ieri reso noti alcuni dettagli del nuovo “progetto Fenice”, attraverso il quale la FIAT intenderebbe perfezionare l’acquisizione dell’Opel e contemporaneamente suggere qualche miliardo di sovvenzioni pubbliche anche in Germania, come in Italia sta facendo sistematicamente da oltre mezzo secolo. All’interno delle 46 pagine che compongono il nuovo piano viene dichiarata l’intenzione di procedere alla chiusura in tutta Europa di una decina di stabilimenti (come riportato sulla cartina) con conseguente licenziamento di almeno 10.000 lavoratori.
In Italia gli stabilimenti a rischio smantellamento dovrebbero essere tre, Termini Imerese in Sicilia, Pomigliano in Campania e la Pininfarina di S. Giorgio Canavese in Piemonte.

La classe politica e buona parte del mondo sindacale italiano, fino a ieri impegnati a tessere le lodi di Marchionne e dell’azienda da lui capitanata (e dagli italiani tutti finanziata) che stava contribuendo a rivalutare l’immagine del nostro paese nel mondo, hanno reagito alla notizia con un misto d’incredulità e stupore.
Il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola ha immediatamente scritto una lettera al presidente della Fiat Luca di Montezemolo e all'amministratore delegato Sergio Marchionne, chiedendo di tenere presente la centralità delle fabbriche italiane e si è premurato di domandare l’organizzazione di un incontro a breve termine, al quale saranno presenti anche le organizzazioni sindacali. Il segretario della Uilm Antonino Ragazzi ha affermato trattarsi di una notizia completamente infondata. Il segretario della Cisl Bonanni ha tuonato contro l’allarmismo che non aiuta a far crescere il settore auto in Europa. Il segretario della Fiom Rinaldini ha detto che un simile disegno porterebbe all’apertura di un pesante conflitto sociale. Il vicesindaco di Torino Tom Dealessandri ha garantito da parte sua che non c'è alcuna ipotesi di chiusura di Mirafiori, unica fabbrica automobilistica della Fiat al nord, ignorando evidentemente che nel piano si fa espresso riferimento alla Pininfarina di S.Giorgio Canavese che certo non è ubicata in meridione.

I maggiori quotidiani italiani hanno dato la notizia facendo riferimento unicamente al giornale economico tedesco Handelsbatt, all’interno del quale veniva imputata al piano di Marchionne la chiusura di 2 stabilimenti (uno al Nord e uno al Sud) in Italia, senza citare nella maniera più assoluta altre fonti di stampa tedesche, come il Frankfurter Allgemeine che offriva una panoramica più dettagliata degli stabilimenti oggetto della chiusura, con l’ausilio della cartina che compare in cima all’articolo. Naturalmente dopo aver plaudito a lungo “l’eroica” cavalcata di Marchionne, diventa assai difficile illustrarne le reali conseguenze che si manifesteranno sotto forma di soggetti assai poco epici quali serrate di stabilimenti e licenziamenti di lavoratori, ragione per cui risulta imperativo indorare la pillola molto lentamente.
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questo tipo qui mi legge nel pensiero...
mi stavo ponendo il quesito proprio qualche giorno fa, quando un amico mi mostrava le sue perplessità sulla fiat che compra l'americana (pur essendo un insegnante di economia, non capisce una cippa ......)


Gli ho risposto che Marchionne si sta muovendo come un disperato
dopo aver più volte chiesto AIUTO al nostro governo che ha sua volta ha finto di non sentirci da quella parte;
anzi ho aggiunto:<<per un attimo mi aspettavo che arrivasse calderoli e gli facesse una pernakkiona!>>

per cui le mosse di Marchionne sono dettata dal desiderio di sopravvivenza


vi posto l'articolo


FIAT IN MANO AMERICANA!



E' da settimane che si parla di Fiat che compra l'auto americana...in realtà è l'america che compra la Fiat auto.

Ben poco in realtà è cambiato dal marzo 2000:





13 marzo 2000
. Salutato dalla stampa internazionale come ''una svolta per l'Auto europea'' e una ''mega-alleanza'', l'accordo viene firmato a Milano. Detroit acquista il 20% di Fiat Auto e, in cambio, Fiat spa entra con il 5,15% nel capitale di Gm, diventando il primo azionista privato della casa americana. Al Lingotto viene riconosciuto un diritto di opzione per cedere il restante 80% a General Motors.

Ebbene, 9 anni dopo....la storia si ripete...
Ecco quello che scrive il Sole 24 ore a pagina 5 (sabato) nell'articolo: la newco dell'auto può valere 8 miliardi:
"La famiglia Agnelli resterebbe con il 30% della Fiat Spa (una volta scorporata l'auto) e con il 10% nella newco per effetto del ruolo giocato da investitori americani.

OVVERO...NON E' LA FIAT CHE COMPRA CHRYSLER E OPEL, MA L'AMERICA CHE COMPRA LA FIAT...

Poi..fra pochi anni Marchionne verrà sostituito e un americano prenderà il posto...

La Newco, statene certi...avrà un nome nuovo....e da FIAT scomparirà sicuramente la I (Italia) e la T (Torino).

Ho trovato un blog molto interessante che sposa al 100% la mia idea.
L'articolo l'ho riportato in quanto lo reputo a dir poco illuminante.

La domanda è: E I POLITICI ITALIANI COSA FANNO? [danno fiato alle corde vocali e nient'altro in quanto sono ...........]


Lakeside Capital
http://lakesidecapital.wordpress.com/2009/05/12/grande-fiat/
Grande Fiat-12 Maggio 2009
Pagine e pagine di quotidiani in Italia per lodare l’attivismo di Fiat, e la nuova centralità dell’Italia nell’industria dell’auto. Per un’operazione che realizza cosa, esattamente?

Fiat prenderà il 20% di Chrysler, senza sborsare un centesimo (paga infatti in know-how), con la possibilità di acquisire una ulteriore quota del 15% e di salire, con un ulteriore 16%, sino al 51% dal 2013 qualora le cose dovessero andare bene, con un’operazione che, nei documenti fallimentari, è indicata così:

For almost two and a half years, I have pursued all manner of business transactions so as to secure Chrysler’s future. Now, in the midst of worldwide economic problems unparalleled in my lifetime, and having fully considered the proposed transaction with Fiat, it is my judgment that this deal will provide Chrysler, its 55,000 employees, and the hundreds of thousands of people who, in their work as suppliers, dealers, or support personnel, substantially rely on Chrysler for their livelihood an opportunity to move forward.

The proposed deal is the only one I am aware of that can be accomplished. It has come about through hard-nose, determined negotiations, as well as the shared sacrifice of all of the company’s employees, including members of the UAW and CAW, the company’s owners Cerberus and Daimler, and the public at large, through the necessary support of the U.S. government. With Fiat, Chrysler has a way forward.

La lettura delle pagine da 79 ad 83 della domanda di ammissione al Chapter 11 è illuminante: nel 2008 Chrysler ha provato a vendere la propria azienda a qualsiasi produttore di auto mondiale, a produttori di componenti e chiunque potesse essere interessato. Al tavolo è rimasta solo Fiat, l’ultima spiaggia; dopo due anni e mezzo di tentativi di cessione falliti.
Insomma, si è cercato di tutto, ma non c’era niente di meglio: Chrysler era messa talmente male che non l’ha voluta nessuno. E, d’altronde, se Daimler l’ha scaricata un motivo ci sarà.

Fatta l’operazione con Chrysler, Fiat vuole prendersi Opel da GM, e, non contenta, pure Saab e le attività sudamericane della stessa GM. Ovviamente Fiat non può pagare, e tutto questo shopping sarà “pagato” costruendo una nuova società di cui gli Agnelli avranno circa il 10%, mentre il 30% andrà….. a GM! Il resto è lecito presumere arriverà da una quotazione del titolo della nuova società.

In barba a qualsiasi conflitto di interessi, dunque, GM cerca di vendere Opel e Saab, sperando in generosi contributi dai governi tedeschi e svedesi in cambio di una ristrutturazione non troppo drastica dal punto di vista occupazionale, ad una società di cui sarà l’azionista di controllo.

In definitiva, Fiat riuscirà nell’impresa di vendere Chrysler a General Motors, scaricando nella confezione pure Fiat Auto, adeguatamente impacchettata ed infiocchettata, in cambio di una partecipazione di minoranza al nuovo gruppo, beneficiando di aiuti di stato in Italia, Germania, Stati Uniti e magari Svezia. E chi può dirlo, magari pure i governi sudamericani si sentiranno in obbligo di mostrare la propria riconoscenza.

In questo modo, tre società da anni sull’orlo del baratro si mettono insieme, sperando su generosi contributi pubblici, senza serie prospettive di riorganizzazioni industriali, dato che nessuno dei governi dei Paesi coinvolti pare disposto ad accettare tagli significativi ad impianti ed occupazione; le prospettive di sinergie sono limitate: difficile che i modelli che Chrysler non vende possano colmare l’eccesso di capacità produttiva di Fiat, dato che, appunto, non si riesce a venderli, né è lecito sperare che, vendendo la 500 negli Stati Uniti, Chrysler possa risollevarsi (quante 500 bisogna vendere, per ottenere il valore aggiunto di una sola Chrysler?).

In Italia nascerà il secondo gruppo auto mondiale: controllato da un azionista americano, con fabbriche prevalentemente all’estero, in cui Fiat avrà un ruolo marginale. Ma per l’Italia l’immagine è tutto, e indubbiamente Fiat oggi è su tutte le prime pagine per il suo attivismo. La sostanza? Eh, la sostanza, roba da filosofi.
 

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