SINIBALDO
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IMMAGINE DI UN GOVERNATORE...............GENEROSO !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
NELLA "BANDA" DEL QUARTIERINO ERA IL PIU'............BISOGNOSO !!!!!!!
DICHIARAVA NEL 2003 SOLAMENTE 712.844 €URO !!!!!!!!!!!!!!!
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Una serie di reati: dall'insider trading all'associazione a delinquere.
E una gestione disinvolta della banca lodigiana.
Ma dalle indagini del tribunale di Milano emerge anche un giro di conoscenze politiche che avrebbe permesso all'ex numero uno della Bpi di fare il salto: da banchiere locale a stella della finanza.
Tutto è cominciato con un «concerto»:
quello fra Gianpiero Fiorani e i «furbetti del quartierino», organizzato sul finire del 2004 per scalare in modo occulto la Banca Antonveneta e scoperto dalla procura della Repubblica di Milano all'inizio dell'estate.
Un concerto che, alla vigilia del Natale e a una manciata di mesi dalle elezioni, si sta trasformando, con l'arresto di «Gianpi» Fiorani e dei suoi presunti complici, in uno tsunami politico-finanziario:
che investe esponenti della maggioranza e dell'opposizione, manager-politici e politici-manager, ministri e cardinali, istituzioni e piccoli risparmiatori. Insomma, un terremoto che inevitabilmente richiama l'epoca di Tangentopoli.
Perché l'inchiesta sulla tentata scalata all'Antonveneta sta facendo venire alla luce non solo un'inimmaginabile serie di pratiche finanziarie criminali,
ma anche una trama di relazioni fra i vertici della banca lodigiana, che oggi si chiama Banca popolare italiana, e un plotone di faccendieri e finanzieri.
Soprattutto, dalle indagini emerge che Fiorani aveva intessuto una fitta rete di rapporti politici, che gli consentiva di trovare interlocutori (e all'occasione utili difensori) in quasi tutto l'arco parlamentare.
Rapporti, questo è il sospetto della procura, che venivano alimentati con flussi di denaro provenienti da operazioni di insider trading.
E dal sistematico saccheggio dei conti di ignari correntisti.
I nomi dei «furbetti» legati a Fiorani sono noti, ma conviene farne un riepilogo.
C'è in primo luogo Emilio «Chicco» Gnutti, patron della finanziaria Hopa, salito alla ribalta ai tempi della scalata alla Telecom.
Che Massimo D'Alema benedì, rendendo omaggio al coraggio della «nuova razza padana» di imprenditori.
Poi c'è Stefano Ricucci, odontotecnico dei Castelli Romani, professione dichiarata: immobiliarista.
Il quale con i soldi della Lodi pensava di scalare la Rcs Mediagroup, editrice del Corriere della sera.
E con lui altri due «immobiliaristi» romani, Giuseppe Statuto e Danilo Coppola.
Infine Giovanni Consorte, numero uno della Unipol, impegnata nell'assalto alla Banca nazionale del lavoro.
Il meccanismo, che doveva consentire ai concertisti di fare una montagna di soldi e a Fiorani di coronare il suo sogno di grandeur bancaria, era in fondo semplice.
E, come poi vedremo, già collaudato con successo.
Funzionava così: si apriva un conto, a cui la Lodi concedeva affidamenti milionari.
Garanzie? Nessuna, perché non ce n'era alcun bisogno.
I quattrini infatti erano utilizzati per comprare azioni Antonveneta, che poi venivano rivendute alla stessa Lodi a prezzo maggiorato.
Così i furbetti incassavano una ricca plusvalenza.
Senza mettere sul piatto nemmeno un euro e senza correre alcun rischio.
Questo schema era stato applicato per la prima volta negli anni Novanta, nella scalata alla Popolare di Crema.
Con un accorgimento: l'utilizzo di una fiduciaria svizzera come schermo.
La fiduciaria, finanziata dalla Lodi tramite la sua succursale elvetica, rastrellò addirittura la maggioranza del capitale della Crema.
Che in una fase successiva e a prezzi raddoppiati consegnò all'opa lanciata dalla banca di Fiorani.
La plusvalenza fu di centinaia di miliardi di lire.
In quali tasche finirono? Mistero, per ora.
Nel 2000 un deputato lodigiano di Forza Italia, Umberto Giovine, presentò un'interpellanza parlamentare per chiedere che la Banca d'Italia facesse un'ispezione e chiarisse l'intricata faccenda.
«L'ispezione ci fu» dice oggi Giovine, che nel frattempo ha lasciato il Parlamento e di professione fa il consulente nel settore aerospaziale,
«ma il risultato finì probabilmente in un cassetto. Fiorani era già troppo potente».
BPI: INTERROGATORIO FIUME PER FIORANI
Gianpiero Fiorani è un fiume in piena.
Appena il tempo di tornare in carcere dopo il primo interrogatorio di sabato, una breve dormita, e l'ex amministratore delegato della Popolare Italiana si ritrova di nuovo davanti ai magistrati.
E ricomincia a parlare...
Gianpiero Fiorani comincia a spiegare ai magistrati la sua verità.
Lo fa con un interrogatorio fiume di 10 ore, a San Vittore, cominciato intorno alla tarda mattinata di domenica 18 dicembre per proseguire fino all'ora di cena.
Confermando diversi fatti addebitatigli, tra le altre cose spiegando i contenuti della telefonata famosa con il governatore Antonio Fazio nella notte tra l'11 e il 12 luglio, quella con cui veniva allertato che il giorno dopo sarebbe stato ufficializzato il via libera all' opa di Antonveneta.
Fiorani ha spiegato come l' istituto sia cresciuto sotto la protezione di Bankitalia sottolineando, però, che via Nazionale salvaguardava sempre l' italianità delle banche, anche in altri casi.
E di come fu costretto a salvare la Banca della Lega, quel Credi Euro Nord che rischiava di sparire senza l'aiuto di Lodi.
Fiorani avrebbe anche parlato di politici: un interrogatorio fiume in cui politica e finanza si intrecciano.
Certo, si parla di Tarolli e Grillo, i parlamentari di fiducia di Fazio.
Certo, si domanda di Stefano Ricucci ed Emilio Gnutti, compagni di scorribande.
Ma i pm hanno un'idea precisa e Fiorani la conferma in pieno durante gli interrogatori: c'era un accordo con Fazio per scalare Antonveneta.
Non solo. Il rapporto durava da tempo.
Il punto chiave, però, per l'accusa è un altro.
E Fiorani ancora una volta risponde "sì".
Fazio non si sarebbe messo così totalmente in gioco per amicizia dei "furbetti del quartierino".
"Avevamo coperture politiche e giudiziarie ad altissimo livello", dichiara Fiorani al giudice preliminare Clementina Forleo e ai pubblici ministeri.
E non è una affermazione generica.
Fiorani rivela i nomi delle talpe che spiavano i magistrati per conto della Popolare di Lodi, di chi faceva sapere quali telefoni erano intercettati e quali no.
(A.Pergolini)
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