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Ecco a voi il signor Scott Hopp e sua moglie Deanne, apparentemente domiciliati in Florida. Oggi, per la verità, irreperibili. Ma negli anni del boom creditizio hanno acquistato una casa dopo l’altra. Con quali soldi?
Nessuno. I soldi glieli ha prestati la Countriwide Financial, una delle finanziarie oggi in via di bancarotta per prestiti facili. La prima loro casa, nel 2004, era valutata 710 mila dollari. Gli Hopp la presero senza dover versare nessun anticipo. Anzi. In quell’anno, Countrywide faceva mutui «less than no money down»: insomma prestò agli Hopp più soldi di quelli che servivano per comprare la casa, di fatto diede loro 829 mila dollari e passa (1). La bella coppia si trovò con un’abitazione, e in più 100 mila dollari da spendere.
Non è una bella cosa? Bellissima. Tanto che gli Hopp la rifecero più e più volte. A quanto sembra, cinque. Cinque case, tutte a credito. Naturalmente, hanno cessato molto presto di pagare i ratei dei mutui. Sulla prima, già dopo quattro mesi.
La loro storia è venuta a galla perchè in una delle loro case in Florida avvenivano festini porno con scambio di coppie (altre coppie felici); gli Hopp si sono difesi asserendo che era tutta colpa del loro cattivo inquilino, al quale avevano ceduta la villetta in affitto. Veramente, il contratto di mutuo vieta di dare in affitto la casa che si sta pagando; eppure Countrywide, due mesi dopo che la notizia del sex party era sui giornali della Florida, diede agli Hopp un altro prestito, anzi più d’uno.
Countrywide diede loro 1,36 milioni di dollari per un immobile che sulla carte ne valeva 2 milioni. I venditori della villa accettarono anche un altro mutuo da 350 mila, e in più, come pagamento parziale, un terreno in altra parte della Florida che gli Hopp avevano comprato sempre a credito, e che fu valutato da Countrywide 950 mila dollari.
Due settimane dopo gli Hopp ricomprarono quel terreno per 700 mila; poi, nove mesi dopo, lo rivendettero: per 250 mila. Non era un grande affare, direte. Ma per chi è deciso a non pagare i debiti, sono sempre 250 mila dollari in tasca. Oggi. Domani è un altro giorno.
Countrywide ha fatto pignorare la prima casa, quella da 710 mila dollari pagata però 829 mila, ed ha cercato di venderla per mesi. Adesso andrà all’asta: prezzo base, 390 mila dollari. Ora Countrywide reclama dagli Hopp qualcosa come 3,9 milioni di dollari. Ma non ha sofferto direttamente della insolvenza degli Hopp.
Il motivo è semplice: mica s’è tenuta i prestiti nei suoi libri contabili. No, li ha «cartolarizzati», ossia frazionati a pezzetti di carta che rendono un interesse, e li ha rifilati ad altre finanziarie. Soprattutto alla Pimco e alla Transamerica Life Insurance, un’assicuratrice. Ora, s’intende, anche Countrywide è nei guai, per via di tutte quelle case pignorate il cui prezzo cala di giorno in giorno, e che non riesce a vendere. Ma finchè è durato, è stato bellissimo.
Countrywide non ha sentito il bisogno di assicurarsi che gli Hopp fossero solvibili - anzi ha aperto loro altri mutui mentre già erano insolventi sul primo - perchè con quel prestito voleva solo creare sempre più «asset backed secutiries», ossia pezzi di carta che promettevano un interesse, da sbolognare a destra e a manca. Così facendo, mostrava di avere una enorme e crescente liquidità. E con i prestiti dati a raffica ad insolventi riconosciuti, addirittura maggiori del valore degli immobili, otteneva un altro risultato desiderabile: creava domanda artificiale di case e terreni e contribuiva al rialzo dei prezzi, sopravvalutando gli immobili il cui valore «garantiva» i pezzi di carta emessi.
Lo scopo finale, oggi, è abbastanza chiaro: se il valore degli immobili avesse continuato a salire alle stelle, tutti i prenditori di mutuo subprime - e forse persino gli Hopp - avrebbero continuato a pagare i ratei, magari rivendendo gli immobili per fare cassa.
Insomma, c’è da decidere se siano più truffatori e irresponsabili gli Hopp, oppure Contrywide. Solo che almeno gli Hopp sono attivamente ricercati. I manager di Countrywide si sono fatti comprare da Bank of America. Il risultato è «la peggior crisi dagli anni ‘30», come spiega Lawrence Lindsey, uno dei maggiori esperti dell’immobiliare (2).
L’eccessiva facilità di credito di prima, e l’eccessiva restrizione del credito oggi, ha reso l’attuale crisi «unica» e «intrattabile». Ci sono in USA 129 milioni di unità abitative. Di queste, 18,5 milioni sono oggi vuote. E’ un tasso di invenduto superiore di 2,5 punti percentuali al massimo del mezzo secolo passato; si tratta di 3 milioni di case vuote di troppo. Il cui numero, inoltre, sta aumentando.
Ed è questo che, dice Lindsey, rende grave il problema: «Perchè finchè questa massa d’invenduto non si riduce, non riusciamo a scoprire la fine del calo dei prezzi immobiliari, e dunque nemmeno la fine del crollo del mercato finanziario immobiliare».
La massa di case invendute è molto peggio della massa di auto invendute, che si accumulano sui piazzali in tempi di recessione. Perchè le case «sono più deperibili di un cavolfiore». Le case sfitte e vuote non ricevono mai manutenzione adeguata, diventano luoghi di spaccio di droga e sono vandalizzate da giovani delinquenti. Con il loro aspetto sempre più miserabile, fanno calare il valore anche delle case abitate del vicinato, i cui occupanti stanno pagando il mutuo. Per di più, i proprietari delle case vuote non hanno alcun incentivo a pagare il mutuo, nè le tasse sulla proprietà. Come ridurre questo invenduto?
La classe d’età che si compra la casa (i cittadini fra i 25 e i 34 anni) sono in America circa 40 milioni, che formano o stanno per formare 19 milioni di famiglie: questa classe crea domanda di 1.9 milioni di case ogni anno, ma dall’altra parte, c’è la classe d’età degli anziani, che abbandona le case per il cimitero. Ci sono 11 milioni di famiglie fra i 65 e i 74 anni, e 9 milioni di 75-84enni. Le loro case vengono rimesse sul mercato al ritmo di 1,1 milione di unità all’anno. La domanda reale di case scende dunque a 850 mila. Le altre si aggiungono all’invenduto.
Il guaio è che l’industria edilizia, benchè abbia dimezzato la sua produzione per la gravissima crisi e per mancanza di soldi, continua a costruire un milione di case nuove l’anno. E il governo con l’appoggio del Congresso ha stanziato 25 miliardi di dollari per il settore in crisi. Con ciò, aggravando il problema: perchè l’aiuto manterrà attivi i costruttori edilizi che dovrebbero fallire, i quali aggiungeranno case invendute sul mercato.
Bisognerebbe aiutare i debitori a pagare i debiti. Ma il Congresso non vuole concedere aiuti pubblici a gente che ha mentito sulla propria solvibilità nè a speculatori o truffatori. E’ un guaio perchè, come dimostra il caso dei signori Hopp e di Countrywide loro creditore, il grosso del problema è stato provocato da enti e persone cui l’etichetta di «mentitore» o «speculatore» o «truffatore» si applica a pennello, a volte anzi tutt’e tre.
Molti hanno comprato a credito una casa al solo scopo di rivenderla a prezzi rincarati, e l’hanno laciata vuota. Molti hanno giurato che l’avrebbero usata come loro abitazione, ma solo per ottenere un tasso minore; e invece l’hanno affittata. La stessa quantità di case vuote è un segno della enorme speculazione di ieri.
Barney Frank, il presidente della Commissione competente al Senato (House Financial Service Committee) ha proposto un accomodamento: i prestatori di mutui che ci stanno (la proposta è volontaria) dovrebbero accettare di svalutare del 10% rispetto all’attuale valore di mercato i loro prestiti, e pagare una multa del 5%. Poichè i prezzi correnti sono già calati del 20% in certe zone, ciò significa un ribasso di fatto del 30% del prestito.
I debitori con la casa, in cambio, riceverebbero un prestito garantito dallo Stato: che consentirebbe loro di pagare i ratei. Gli speculatori che hanno prestato a vanvera prenderebbero almeno qualcosa, mantenendo un qualche valore alle loro «securities» che oggi non valgono nulla, e agli immobili un qualche valore. Mezzo milione di famiglie potrebbero essere aiutate così a restare nelle case loro.
Ma il guaio è che nel mentre il piano Frank dovesse andare a regime, altri 2 milioni di case più del normale tornerebbero sul mercato per pignoramento. E i politici a Washington gridano che il piano Frank equivale al salvataggio di mascalzoni, che bisogna lasciar fare al mercato, eccetera.
Il problema è che il mercato è alle prese con tre indigestioni simultanee e correlate: i costruttori hanno fatto troppe case, i prezzi sono cresciuti troppo, e le condizioni per la concessione di mutui era troppo lasca. Ciascuna di queste indigestioni sta ora smaltendosi più o meno rovinosamente, con il proprio ritmo.
Dall’agosto 2007, già il 40 % del mercato dei mutui è scomparso, e non lo farà rivivere la maggiore severità con cui le banche scottate concederanno nuovi mutui. Il mercato corregge l’eccesso di invenduto nel suo modo crudele, ossia facendo abbassare i prezzi; ma i prezzi si abbassano più lentamente di quanto il credito si sia ristretto.
Il mercato dei futures sconta un -30% dei prezzi immobiliari, in gran parte entro l’anno. Un calo del 30% significa la perdita, per le famiglie americane, di 6.500 miliardi di dollari in «valore» immobiliare. E come prima i prezzi crescenti hanno creato l’effetto-ricchezza eccitando le famiglie ai più insaziabili consumi a credito (tanto il valore della casa aumentava...), oggi ne consegue l’effetto-povertà: le famiglie USA spenderanno fra 200 e 300 miliardi di dollari in meno all’anno per chissà quanti anni, quasi il 2% del PIL americano. Con conseguenze immaginabili sui consumi e dunque sull’occupazione.
Un’altra pietra al collo della recessione (oltre ai rincari di benzina ed alimentari), che la trasformerà in depressione. «La crisi del mercato immobiliare è ben lungi dall’essere al termine, e le sue conseguenze resteranno con noi a lungo», conclude Lindsey. «I prezzi ‘devono’ cadere ancora per assorbire l’eccesso di offerta invenduta, ma ciò, in cambio, colpirà la fiducia dei consumatori e insieme la solvibilità finanziaria».
Lindsey spera negli stranieri che comprino case americane con lo sconto, forti dell’euro, per alleviare il problema. Alcuni lo stanno già facendo, specie italiani: attenti, le case vuote sono più deperibili di un cavolo e di un pomodoro.
Per il resto, la speranza è nell’inflazione - che incita agli acquisti - e all’intervento di Stato. Secondo Lindsey, lo Stato finirà per comprare milioni di case per sostenere il «mercato», la mano visibile. Liberismo sì, ma fino a un certo punto.
1) Floyd Norris, «An old story of real estate and loan lies», Herald Tribune, 6 giugno 2008.
2) Lawrence B. Lindsey, «It’s only to get worse», Weekly Standard, 2 giugno 2008.