tontolina
Forumer storico
Il risiko e gli unicorni delle Banche centrali ci schianteranno. Ma Kuroda ride
Di Mauro Bottarelli , il 28 agosto 2015 - 10 commenti
Sulle Borse mondiali splende il sole da quando il capo della Fed di New York ha deciso di levare la maschera e dire chiaro e tondo che a settembre l’unica cosa che si alzerà saranno i bicchieri per brindare allo scampato pericolo di un ritorno al minimo sindacale di normalità monetaria.
Peccato però che proprio ieri un qualcosa sembrava poter riportare l’argomento sul tavolo, vista la revisione del Pil Usa del secondo trimestre, salito dal 2,3% al 3,7%, superando il consensus medio di Wall Street a 3,2%!
Accidenti, con un dato così come si fa a non alzare i tassi tra venti giorni? Tranquilli, quella revisione è frutto solo di questo.
Ovvero, della crescita ulteriore delle scorte di magazzino, salite dai 124 miliardi della prima stima agli attuali 136,2 miliardi, un record assoluto! Che porta però con sé un effetto collaterale, ovvero il fatto che la prossima liquidazione di quelle scorte sarà addirittura epica. Anzi, da recessione. E se questo non bastasse,
ecco che ci corre incontro la Fed di Kansas City, visto che l’ultima volta che il suo sondaggio è stato così basso, gli Usa erano in recessione. E’ l’ottavo mese di fila che l’indice disattende le previsioni degli analisti, passando a -9 dal .7 di luglio: tra le sotto-componenti peggiori, roba da poco come nuovi ordinativi, prezzi ricevuti e shipment.
Quindi, tranquilli, non si alza, nonostante le revisioni che servono solo a tenere in voga la narrativa mediatica della grande ripresa Usa. E siccome le parole del buon Dudley hanno riportato sorrisi e buonumore, il prode samurai Kuroda ha voluto mettere il carico da novanta con un saggio della sua irresistibile simpatia nipponica. Eccolo: “Non sono preoccupato da una guerra valutaria, non c’è alcuna guerra valutaria in corso”. Questa tabella lo conferma.
E ancora, “Alcuni sul mercato sono troppo pessimisti rispetto all’economia cinese, mentre va ricordato che le Banche centrali non hanno come obiettivo i tassi di cambio”. Nemmeno Woody Allen, ragazzi! E poi, “Capisco le preoccupazioni espresse da alcune economie emergenti”. Un concetto abbastanza chiaro, quest’ultimo, basti dare un’occhiata a questi due grafici
per rendersi conto che, sì, è una situazione talmente brutta che anche uno come Kuroda può capirla.
Ma ecco la perla: “Non ci sono piani per ulteriore stimolo”. Boom!
Questo grafico ci mostra come il mercato non abbia preso benissimo la notizia. D’altronde, in un mondo che si nutre di debito, quando qualcuno avanza anche soltanto l’ipotesi di una riduzione del metadone monetario di Stato, parte il panico.
Panico, o almeno preoccupazione, che sembrerebbe confermato da questo grafico,
in base al quale scopriamo che il margin debt a Shanghai è sceso al minimo da sette mesi, pur restando sobriamente a quota +133% su base annua. E anche il fatto che nella terra dei bond ci sia tensione, non è un bel segnale, visto che ieri la Xiamen Haicang Investment ha cancellato un’emissione obbligazionaria da 1 miliardo di yuan “a causa della volatilità del mercato”. Ma tranquilli, c’è sempre il bicchiere mezzo pieno da guardare. In questo caso, una piscina più che un bicchiere, visto che la la Cina ieri ha fissato a 6,4085 il tasso di cambio sul dollaro
e prontamente ha anche iniettato 150 miliardi di yuan via repo a 7 giorni sul mercato, il livello maggiore dal novembre 2012.
Ecco spiegato il +5% di Shanghai ieri, interamente ottenuto negli ultimi 45 minuti di contrattazioni grazie agli acquisti di Stato, il quale non vuole rovinare la parata militare del 3 settembre prossimo con altri crolli azionari (quello di ieri sarebbe stato il quinto di fila)!
Ma c’è dell’altro e di molto interessante. Ovvero, che come pareva scontato la Cina ha venduto Treasuries Usa per racimolare i dollari necessari a supportare lo yuan nel mezzo della tempesta svalutativa. E lo ha fatto sia vendendo direttamente, che tramite i suoi proxy in Belgio e Svizzera e ha informato le autorità Usa della propria decisione, senza però svelare l’ammontare della vendita. Stando ai dati del Tesoro Usa,
si stima che la Cina controlli 1,48 trilioni di debito governativo statunitense, inclusi i 200 miliardi detenuti in Belgio attraverso Euroclear. Ma Societe Generale ieri ha azzardato una cifra, ovvero che nelle ultime due settimane Pechino avrebbe venduto assets di riserva per almeno 106 miliardi di dollari, stima basata sulla liquidità aggiuntiva che deriverà dal taglio dei tassi e dei requisiti di riserva decisi martedì scorso.
Ora, questo grafico
ci mostra in prospettiva come significherebbe per gli Usa una liquidazione delle riserve monetarie estere. Ovvero, se i Paesi emergenti e sviluppati, i quali detengono circa 5491 miliardi di dollari in riserve, riducessero lo stesse di un 10% annuo, questa cifra sarebbe pari al 3,07% del Pil Usa e porterebbe il rendimento del Treasury decennale a salire di qualcosa come 108 punti base! Insomma, per ogni 500 miliardi di riserve cinesi liquidazione c’è un corrispettivo da pagare per gli Usa che si sostanzia in potenziali 108 punti base sulla carta a 10 anni. E il problema è che a causa della fine del super-ciclo della commodities, le valute degli emergenti sono in caduta libera (ma non ditelo a Kuroda, si preoccupa altrimenti) e quindi non solo Pechino è in via di liquidazione di assets Usa. Sarà per questo che il buon Dudley mercoledì ha detto chiaro e tondo che la Fed a settembre non alzerà i tassi e si “spera” di poterlo fare entro l’anno?
Ovvio, perché se si fossero alzati i tassi, si sarebbe posta ulteriore pressione sui mercati emergenti, attivando ulteriori liquidazioni di bond Usa che avrebbero portato come conseguenza l’aumento dei rendimenti. E, quindi, il quasi certo cambio di politica da parte della Fed, cioé maggiore stimolo e magari il QE4. Vuoi vedere che l’unico modo che ha la Banca centrale statunitense di evitare liquidazioni di massa del proprio debito, con la sgradevole conseguenza della distruzione del mercato immobiliare interno, è proprio dar vita al quarto ciclo di “allentamento quantitativo”? Tu guarda a volte le combinazioni!
Anche perché, stando a misurazioni non ufficiali, la situazione cinese sarebbe ben peggiore di come sembra e, quindi, servirà un driver per la ripresa una volta che Pechino ammetterà di essere ufficialmente in stallo e a rischio di rispedire il mondo intero in recessione conclamata. Questo grafico su elaborazione di dati della Evercore ISI parla chiaro
e ci dice che alla faccia dei dati ufficiali del 7%, il Pil cinese è debole. Molto debole, visto che stando al misuratore Synthetic Growth Index (SGI) la crescita cinese a luglio su base annua era del -1,1%! Ovvero, in contrazione netta. Di più, la sotto-componente “Equipaggiamento” alla voce “Impianti ed equipaggiamento” è molto debole, sintomo di grande fatica per le imprese e segnalatrice della necessità di ulteriori passi a livello fiscale e monetario. In parole povere, siamo nei guai. Ma Kuroda ride.
Sono Mauro Bottarelli,
Di Mauro Bottarelli , il 28 agosto 2015 - 10 commenti
Sulle Borse mondiali splende il sole da quando il capo della Fed di New York ha deciso di levare la maschera e dire chiaro e tondo che a settembre l’unica cosa che si alzerà saranno i bicchieri per brindare allo scampato pericolo di un ritorno al minimo sindacale di normalità monetaria.
Peccato però che proprio ieri un qualcosa sembrava poter riportare l’argomento sul tavolo, vista la revisione del Pil Usa del secondo trimestre, salito dal 2,3% al 3,7%, superando il consensus medio di Wall Street a 3,2%!
Accidenti, con un dato così come si fa a non alzare i tassi tra venti giorni? Tranquilli, quella revisione è frutto solo di questo.
Ovvero, della crescita ulteriore delle scorte di magazzino, salite dai 124 miliardi della prima stima agli attuali 136,2 miliardi, un record assoluto! Che porta però con sé un effetto collaterale, ovvero il fatto che la prossima liquidazione di quelle scorte sarà addirittura epica. Anzi, da recessione. E se questo non bastasse,
ecco che ci corre incontro la Fed di Kansas City, visto che l’ultima volta che il suo sondaggio è stato così basso, gli Usa erano in recessione. E’ l’ottavo mese di fila che l’indice disattende le previsioni degli analisti, passando a -9 dal .7 di luglio: tra le sotto-componenti peggiori, roba da poco come nuovi ordinativi, prezzi ricevuti e shipment.
Quindi, tranquilli, non si alza, nonostante le revisioni che servono solo a tenere in voga la narrativa mediatica della grande ripresa Usa. E siccome le parole del buon Dudley hanno riportato sorrisi e buonumore, il prode samurai Kuroda ha voluto mettere il carico da novanta con un saggio della sua irresistibile simpatia nipponica. Eccolo: “Non sono preoccupato da una guerra valutaria, non c’è alcuna guerra valutaria in corso”. Questa tabella lo conferma.
E ancora, “Alcuni sul mercato sono troppo pessimisti rispetto all’economia cinese, mentre va ricordato che le Banche centrali non hanno come obiettivo i tassi di cambio”. Nemmeno Woody Allen, ragazzi! E poi, “Capisco le preoccupazioni espresse da alcune economie emergenti”. Un concetto abbastanza chiaro, quest’ultimo, basti dare un’occhiata a questi due grafici
per rendersi conto che, sì, è una situazione talmente brutta che anche uno come Kuroda può capirla.
Ma ecco la perla: “Non ci sono piani per ulteriore stimolo”. Boom!
Questo grafico ci mostra come il mercato non abbia preso benissimo la notizia. D’altronde, in un mondo che si nutre di debito, quando qualcuno avanza anche soltanto l’ipotesi di una riduzione del metadone monetario di Stato, parte il panico.
Panico, o almeno preoccupazione, che sembrerebbe confermato da questo grafico,
in base al quale scopriamo che il margin debt a Shanghai è sceso al minimo da sette mesi, pur restando sobriamente a quota +133% su base annua. E anche il fatto che nella terra dei bond ci sia tensione, non è un bel segnale, visto che ieri la Xiamen Haicang Investment ha cancellato un’emissione obbligazionaria da 1 miliardo di yuan “a causa della volatilità del mercato”. Ma tranquilli, c’è sempre il bicchiere mezzo pieno da guardare. In questo caso, una piscina più che un bicchiere, visto che la la Cina ieri ha fissato a 6,4085 il tasso di cambio sul dollaro
e prontamente ha anche iniettato 150 miliardi di yuan via repo a 7 giorni sul mercato, il livello maggiore dal novembre 2012.
Ecco spiegato il +5% di Shanghai ieri, interamente ottenuto negli ultimi 45 minuti di contrattazioni grazie agli acquisti di Stato, il quale non vuole rovinare la parata militare del 3 settembre prossimo con altri crolli azionari (quello di ieri sarebbe stato il quinto di fila)!
Ma c’è dell’altro e di molto interessante. Ovvero, che come pareva scontato la Cina ha venduto Treasuries Usa per racimolare i dollari necessari a supportare lo yuan nel mezzo della tempesta svalutativa. E lo ha fatto sia vendendo direttamente, che tramite i suoi proxy in Belgio e Svizzera e ha informato le autorità Usa della propria decisione, senza però svelare l’ammontare della vendita. Stando ai dati del Tesoro Usa,
si stima che la Cina controlli 1,48 trilioni di debito governativo statunitense, inclusi i 200 miliardi detenuti in Belgio attraverso Euroclear. Ma Societe Generale ieri ha azzardato una cifra, ovvero che nelle ultime due settimane Pechino avrebbe venduto assets di riserva per almeno 106 miliardi di dollari, stima basata sulla liquidità aggiuntiva che deriverà dal taglio dei tassi e dei requisiti di riserva decisi martedì scorso.
Ora, questo grafico
ci mostra in prospettiva come significherebbe per gli Usa una liquidazione delle riserve monetarie estere. Ovvero, se i Paesi emergenti e sviluppati, i quali detengono circa 5491 miliardi di dollari in riserve, riducessero lo stesse di un 10% annuo, questa cifra sarebbe pari al 3,07% del Pil Usa e porterebbe il rendimento del Treasury decennale a salire di qualcosa come 108 punti base! Insomma, per ogni 500 miliardi di riserve cinesi liquidazione c’è un corrispettivo da pagare per gli Usa che si sostanzia in potenziali 108 punti base sulla carta a 10 anni. E il problema è che a causa della fine del super-ciclo della commodities, le valute degli emergenti sono in caduta libera (ma non ditelo a Kuroda, si preoccupa altrimenti) e quindi non solo Pechino è in via di liquidazione di assets Usa. Sarà per questo che il buon Dudley mercoledì ha detto chiaro e tondo che la Fed a settembre non alzerà i tassi e si “spera” di poterlo fare entro l’anno?
Ovvio, perché se si fossero alzati i tassi, si sarebbe posta ulteriore pressione sui mercati emergenti, attivando ulteriori liquidazioni di bond Usa che avrebbero portato come conseguenza l’aumento dei rendimenti. E, quindi, il quasi certo cambio di politica da parte della Fed, cioé maggiore stimolo e magari il QE4. Vuoi vedere che l’unico modo che ha la Banca centrale statunitense di evitare liquidazioni di massa del proprio debito, con la sgradevole conseguenza della distruzione del mercato immobiliare interno, è proprio dar vita al quarto ciclo di “allentamento quantitativo”? Tu guarda a volte le combinazioni!
Anche perché, stando a misurazioni non ufficiali, la situazione cinese sarebbe ben peggiore di come sembra e, quindi, servirà un driver per la ripresa una volta che Pechino ammetterà di essere ufficialmente in stallo e a rischio di rispedire il mondo intero in recessione conclamata. Questo grafico su elaborazione di dati della Evercore ISI parla chiaro
e ci dice che alla faccia dei dati ufficiali del 7%, il Pil cinese è debole. Molto debole, visto che stando al misuratore Synthetic Growth Index (SGI) la crescita cinese a luglio su base annua era del -1,1%! Ovvero, in contrazione netta. Di più, la sotto-componente “Equipaggiamento” alla voce “Impianti ed equipaggiamento” è molto debole, sintomo di grande fatica per le imprese e segnalatrice della necessità di ulteriori passi a livello fiscale e monetario. In parole povere, siamo nei guai. Ma Kuroda ride.
Sono Mauro Bottarelli,