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Forumer storico
Fineco, ecco come balla da sola. I piani e gli appetiti dei concorrenti
La banca diretta punta sulla crescita organica e prepara nuovi investimenti per aumentare la produttività della rete mentre BlackRock, salito sopra il 10%...
Era il 2007 quando Unicredit, incorporando Capitalia, si ritrovò ad essere proprietaria di Fineco, portata in dote all’ex Banca di Roma da Bipop Carire che nel 1999 aveva trasformato la propria Sim (Fineco, appunto) in una banca diretta dotata di servizio di trading online, conto corrente remunerato, carte di debito e credito, assegni, ricariche telefoniche e quant’altro oggi consideriamo elementi indispensabili all’offerta di una banca online ma che all’epoca costituivano un’autentica novità per i risparmiatori italiani.
Cedendo il residuo 18,3% del capitale, Unicredit a inizio settimana è uscita definitivamente dal capitale dell’ex controllata, che sotto la guida di Alessandro Foti (in Fineco dal 1989, amministratore delegato dal 2000, una longevità che per il settore finanziario è più unica che rara) si trova oggi a “ballare da sola”.
Non che la sfida sembri spaventare Foti e i suoi uomini, che anzi hanno subito approfittato del momento favorevole sui mercati dei capitali per raccogliere 300 milioni di euro con un bond perpetuo (ma rimborsabile anticipatamente dal 3 dicembre 2024) “Additional Tier 1”, che per i primi cinque anni pagherà un tasso fisso del 5,875%, rispetto a una indicazione iniziale del 6,5%.
Segno che la fiducia del mercato nelle prospettive di FinecoBank, che con l’operazione diventa da subito “compliant” rispetto ai requisiti patrimoniali di leverage ratio che entreranno in vigore dal 28 giugno 2021, è intatta anzi di più, visto che a fronte dei 300 milioni collocati le domande sono state pari a 2,7 miliardi (cosa che ha consentito una decisa compressione del tasso offerto).
Ma cosa farà ora Fineco, senza più “l’ombrello” di Unicredit?
Foti è stato chiaro: anche come public company (il maggiore azionista è ora BlackRock, che approfittando del passo indietro di Mustier è passato dal 7,246% al 10,233%) FinecoBank continuerà a crescere, puntando sulla crescita organica. Del resto, ha sottolineato Foti, nel 2018 la raccolta netta è aumentata di 6,2 miliardi, “equivalente all’acquisizione di una banca-rete di medie dimensioni”, quindi perché impegnarsi in operazioni spesso dall’esito incerto col rischio di distruggere più valore di quanto se ne crea.
Intanto in autunno arriverà una novità importante: si inizierà combinando robot-advisory (in sostanza servizi di consulenza basati su algoritmi fintech) e analisi dei “big data”,
poi all’inizio del prossimo anno verrà lanciata una nuova piattaforma.
In questo modo i consulenti potranno gestire e processare in maniera più efficiente tutte le informazioni a loro disposizione e dedicarsi maggiormente alla relazione con la clientela e aumentare la propria produttività.
Nel frattempo sarà già stata lanciata una parallela piattaforma di co-working, l’adesione alla quale avverrà su base volontaria, che permetterà a due o più consulenti finanziari FinecoBank di condividere e gestire in modo congiunto, se vorranno, uno stesso cliente. In questo modo chi è abile nella raccolta ma non nella gestione del cliente acquisito, o viceversa, potrà integrare le proprie competenze con quelle di uno o più colleghi, migliorando il tasso di retention della rete.
Per il futuro, però, FinecoBank potrebbe dover scegliere se lanciarsi anche in qualche acquisizione o correre il rischio di essere comprata da qualche “big” interessato ad una presenza importante sul mercato italiano, ragionano alcuni operatori a Piazza Affari.
Al momento il gruppo guidato da Foti vale in borsa 6,3 miliardi di euro, a fronte di quasi 1,3 milioni di clienti, 74,1 miliardi di patrimonio gestito o amministrato (di cui 29 miliardi nel segmento private) e di una raccolta netta di 1,7 miliardi di euro nei primi tre mesi dell’anno realizzata da una rete di 2.571 consulenti. Numeri che hanno consentito di segnare a fine primo trimestre un utile netto rettificato di 62,1 milioni di euro.
Guardando ai numeri del 2018, i ricavi hanno sfiorato i 290 milioni di euro, l’Ebit (utile ante imposte) è risultato appena inferiore ai 355 milioni, mentre l’utile per azione normalizzato negli ultimi 12 mesi è di poco inferiore ai 41 centesimi.
Il Roe d’esercizio è risultato pari al 28,25%, in calo rispetto al dato medio degli ultimi 5 esercizi (30,6% circa) ma ancora molto interessante: in confronto, Banca Mediolanum ha registrato un Roe appena inferiore al 12%, mentre Azimut ha toccato il 20,5%.
Come dire che mentre Foti potrebbe non essere interessato ad acquistare “a tutti i costi” un concorrente, qualche gruppo, magari estero, potrebbe essere tentato di acquisire FinecoBank, specie se le novità che saranno introdotte aumenteranno ulteriormente la produttività della rete e i margini di redditività del gruppo e
il prezzo, che al momento è pari a 23,75 volte gli utili per azione attesi (contro le sole 6 volte dell’ex controllante Unicredit), non dovesse adeguarsi immediatamente.
Per ora Foti può tranquillamente continuare a crescere restando da solo, pur con un socio “di peso” come BlackRock. Di peso in tutti i sensi, visto che fattura 14,2 miliardi di dollari l’anno, con oltre 6.500 miliardi di dollari di patrimonio gestito e che la capitalizzazione di mercato è superiore ai 74,5 miliardi di dollari, peraltro con un prezzo pari “solo” a 18,5 volte gli utili per azione attesi. Numeri che per ora sembrano escludere tentazioni di Opa nei confronti di FinecoBank (verosimilmente troppo piccola e troppo costosa agli occhi degli americani per rappresentare qualcosa di più di una partecipazione finanziaria presente nei portafogli dei fondi gestiti dal gruppo a stelle e strisce), in futuro si vedrà.
Luca Spoldi
La banca diretta punta sulla crescita organica e prepara nuovi investimenti per aumentare la produttività della rete mentre BlackRock, salito sopra il 10%...
Era il 2007 quando Unicredit, incorporando Capitalia, si ritrovò ad essere proprietaria di Fineco, portata in dote all’ex Banca di Roma da Bipop Carire che nel 1999 aveva trasformato la propria Sim (Fineco, appunto) in una banca diretta dotata di servizio di trading online, conto corrente remunerato, carte di debito e credito, assegni, ricariche telefoniche e quant’altro oggi consideriamo elementi indispensabili all’offerta di una banca online ma che all’epoca costituivano un’autentica novità per i risparmiatori italiani.
Cedendo il residuo 18,3% del capitale, Unicredit a inizio settimana è uscita definitivamente dal capitale dell’ex controllata, che sotto la guida di Alessandro Foti (in Fineco dal 1989, amministratore delegato dal 2000, una longevità che per il settore finanziario è più unica che rara) si trova oggi a “ballare da sola”.
Non che la sfida sembri spaventare Foti e i suoi uomini, che anzi hanno subito approfittato del momento favorevole sui mercati dei capitali per raccogliere 300 milioni di euro con un bond perpetuo (ma rimborsabile anticipatamente dal 3 dicembre 2024) “Additional Tier 1”, che per i primi cinque anni pagherà un tasso fisso del 5,875%, rispetto a una indicazione iniziale del 6,5%.
Segno che la fiducia del mercato nelle prospettive di FinecoBank, che con l’operazione diventa da subito “compliant” rispetto ai requisiti patrimoniali di leverage ratio che entreranno in vigore dal 28 giugno 2021, è intatta anzi di più, visto che a fronte dei 300 milioni collocati le domande sono state pari a 2,7 miliardi (cosa che ha consentito una decisa compressione del tasso offerto).
Ma cosa farà ora Fineco, senza più “l’ombrello” di Unicredit?
Foti è stato chiaro: anche come public company (il maggiore azionista è ora BlackRock, che approfittando del passo indietro di Mustier è passato dal 7,246% al 10,233%) FinecoBank continuerà a crescere, puntando sulla crescita organica. Del resto, ha sottolineato Foti, nel 2018 la raccolta netta è aumentata di 6,2 miliardi, “equivalente all’acquisizione di una banca-rete di medie dimensioni”, quindi perché impegnarsi in operazioni spesso dall’esito incerto col rischio di distruggere più valore di quanto se ne crea.
Intanto in autunno arriverà una novità importante: si inizierà combinando robot-advisory (in sostanza servizi di consulenza basati su algoritmi fintech) e analisi dei “big data”,
poi all’inizio del prossimo anno verrà lanciata una nuova piattaforma.
In questo modo i consulenti potranno gestire e processare in maniera più efficiente tutte le informazioni a loro disposizione e dedicarsi maggiormente alla relazione con la clientela e aumentare la propria produttività.
Nel frattempo sarà già stata lanciata una parallela piattaforma di co-working, l’adesione alla quale avverrà su base volontaria, che permetterà a due o più consulenti finanziari FinecoBank di condividere e gestire in modo congiunto, se vorranno, uno stesso cliente. In questo modo chi è abile nella raccolta ma non nella gestione del cliente acquisito, o viceversa, potrà integrare le proprie competenze con quelle di uno o più colleghi, migliorando il tasso di retention della rete.
Per il futuro, però, FinecoBank potrebbe dover scegliere se lanciarsi anche in qualche acquisizione o correre il rischio di essere comprata da qualche “big” interessato ad una presenza importante sul mercato italiano, ragionano alcuni operatori a Piazza Affari.
Al momento il gruppo guidato da Foti vale in borsa 6,3 miliardi di euro, a fronte di quasi 1,3 milioni di clienti, 74,1 miliardi di patrimonio gestito o amministrato (di cui 29 miliardi nel segmento private) e di una raccolta netta di 1,7 miliardi di euro nei primi tre mesi dell’anno realizzata da una rete di 2.571 consulenti. Numeri che hanno consentito di segnare a fine primo trimestre un utile netto rettificato di 62,1 milioni di euro.
Guardando ai numeri del 2018, i ricavi hanno sfiorato i 290 milioni di euro, l’Ebit (utile ante imposte) è risultato appena inferiore ai 355 milioni, mentre l’utile per azione normalizzato negli ultimi 12 mesi è di poco inferiore ai 41 centesimi.
Il Roe d’esercizio è risultato pari al 28,25%, in calo rispetto al dato medio degli ultimi 5 esercizi (30,6% circa) ma ancora molto interessante: in confronto, Banca Mediolanum ha registrato un Roe appena inferiore al 12%, mentre Azimut ha toccato il 20,5%.
Come dire che mentre Foti potrebbe non essere interessato ad acquistare “a tutti i costi” un concorrente, qualche gruppo, magari estero, potrebbe essere tentato di acquisire FinecoBank, specie se le novità che saranno introdotte aumenteranno ulteriormente la produttività della rete e i margini di redditività del gruppo e
il prezzo, che al momento è pari a 23,75 volte gli utili per azione attesi (contro le sole 6 volte dell’ex controllante Unicredit), non dovesse adeguarsi immediatamente.
Per ora Foti può tranquillamente continuare a crescere restando da solo, pur con un socio “di peso” come BlackRock. Di peso in tutti i sensi, visto che fattura 14,2 miliardi di dollari l’anno, con oltre 6.500 miliardi di dollari di patrimonio gestito e che la capitalizzazione di mercato è superiore ai 74,5 miliardi di dollari, peraltro con un prezzo pari “solo” a 18,5 volte gli utili per azione attesi. Numeri che per ora sembrano escludere tentazioni di Opa nei confronti di FinecoBank (verosimilmente troppo piccola e troppo costosa agli occhi degli americani per rappresentare qualcosa di più di una partecipazione finanziaria presente nei portafogli dei fondi gestiti dal gruppo a stelle e strisce), in futuro si vedrà.
Luca Spoldi