Fioramonti si dimette da ministro e fonda il partito ECO a sostegno del premier Conte.

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Forumer storico
Fioramonti si dimette da ministro dell'istruzione e
fonda un gruppo di sostegno del premier Conte

DIETRO LE QUINTE/ Fioramonti e la verità (non detta) che affonda il governo


DIETRO LE QUINTE/ Fioramonti e la verità (non detta) che affonda il governo
27.12.2019 - Sergio Luciano
Dietro le dimissioni di Fioramonti c’è una denuncia: lo Stato non ha soldi e non può usare i sistemi che gli permetterebbero di trovarne. Il resto è propaganda
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Lorenzo Fioramonti (M5s), ministro dell'Istruzione (LaPresse)

Un miliardo in più chiedeva il ministro Fioramonti, ormai ex, per rilanciare la scuola italiana. E non l’ha avuto. Un miliardo ha chiesto la realtà dei fatti mettendo il governo di fronte al rischio immediato del crack della Banca popolare di Bari. E il governo l’ha stanziato dalla sera alla mattina.

Dunque Fioramonti non ha ottenuto i soldi in più, e si è dimesso da ministro.

Tutte le volte che accade in Italia una rarissima evenienza del genere – dimissioni spontanee e non imposte da qualche avviso di garanzia più o meno infondato – bisogna esser prudenti prima di fare spallucce. In Italia non ci si dimette mai volontariamente. È vero che Fioramonti è mezzo sudafricano. E infatti per la sua metà italiana si dimette dal governo, ma non manda tutto a quel Paese: resta parlamentare e fonda addirittura un gruppo a sostegno del premier Conte. Come a dire: di te e del nostro Movimento NON mi fido, dell’alleanza di governo che ci obbliga a continui compromessi sul programma non mi fido più.
Ma comunque il suo non è un gesto gratuito: rinunciare alla cadrega ministeriale l’hanno fatto solo i ministri della Lega del primo governo Berlusconi, che nel ’95 impallinarono il Cavaliere autocondannandosi, e condannandoci, a cinque anni di governo dell’Ulivo che ne fece di cotte e di crude, di buone e di cattive ma alla fine consegnò l’Italia allo stesso Cavaliere che aveva impallinato cinque anni prima.

La provocazione di Fioramonti ha un merito. Quello di ricordare a tutti che siamo in scacco economico. Un Paese come il nostro, a tutt’oggi ottava potenza economica globale, terzo contributore dell’Unione Europea – e tuttora contributore netto, cioè diamo più soldi di quanti ne prendiamonon dovrebbe avere il problema di non poter spendere un miliardo in più di investimenti in istruzione.

Perché invece ce l’ha, questo problema, al punto da indurre un ministro militante nel partito di maggioranza relativa a dimettersi?

Semplice: perché non funziona assolutamente più niente, nella pubblica amministrazione e nella collegata capacità dei governi di governare.

Questi partiticchi imbarazzanti – nessuno escluso, ad oggi: dai grillini al Pd, dai leghisti a Italia Viva, da Forza Italia a Fratelli d’Italia (mai tanto abuso del nome “Italia” in politica e mai altrettanta poca cura dei suoi veri interessi come oggi) – non sanno assolutamente come governare, e non hanno le cinghie di trasmissione necessarie con le tecnostrutture dei ministeri che saprebbero farlo ma non ne hanno più voglia né fiducia, scettici come sono tanto sulla tenuta dei provvisori equilibri politici al potere quanto sull’affidabilità dei loro referenti.
Senza offesa personale, ma vi pare che un direttore generale di ministero potesse lavorare volentieri con uno come Toninelli?
O per dirla del Conte 2, con una come Bellanova?
Assediati dallo spauracchio del danno erariale, scoperti da un’Avvocatura iperprudente, crivellati di ricorsi al Tar ad ogni firma, i superburocrati navigano a quota periscopica, e in questi mesi sono bersagliati di richieste dai peones della maggioranza di questa legislatura sgangherata, preoccupati unicamente di acchiappare una poltroncina o uno strapuntino sul quale annidarsi quando il governo cadrà, presto o tardi.

I leader non riescono a concepire un modo per ottenere voti dicendo la verità. E quindi ripetono giaculatorie di bugie.

La verità è che senza intaccare la spesa pubblica corrente, largamente inefficiente, osando rivoluzionare alcuni luoghi e metodi comuni, non sarà la debolissima crescita economica e la pallidissima lotta all’evasione fiscale a farci recuperare le risorse che sarebbero necessarie per ridurre il debito pubblico e quindi riconquistare uno straccio di credibilità sui mercati e in Europa e, magari, finanziare anche quel miliardo in più che Fioramonti chiedeva per l’istruzione.

Già: e chi ci si mette, a fare la spending review. La pubblica amministrazione chiude il 2019 con almeno 70 miliardi di euro di debiti commerciali verso i privati. Non sono conteggiati nel debito pubblico – si sa – ma pesano sulla nostra economia.

Qualche testa calda, ed è un complimento, ha fatto ridere mezza Europa e tremare l’altra metà ipotizzando i mini-Bot per pagarli.
In realtà se lo Stato riuscisse in tre mesi a verificare quali di quei debiti siano “liquidi, certi ed esigibili” e offrire ai suoi creditori la scelta se incassarli nei tempi lunghissimi consueti oppure subito, pagandoglieli con il denaro raccolto emettendo nuovo debito pubblico, ma in tal caso rinunciando per le future forniture già contrattualizzate ad un 10% del prezzo pattuito in gara per le precedenti, lo Stato farebbe quel che fa ogni impresa privata, anche grande, per uscire dalla crisi: scambiare tempo con denaro. Ma ci vorrebbe una legge creativa, che verrebbe impugnata per incostituzionalità (ogni cosa è impugnabile per questo) e creerebbe scossoni politici a una maggioranza tenuta insieme con lo sputo.

Un altro esempio: l’uso del contante. Che ridurlo sia efficace contro la malavita è pacifico. Malavita significa economia sommersa, e quindi evasione fiscale; malavita significa narcotraffico. Ma nessuno ci riesce, impotente contro la pressione delle lobby contrarie. Basterebbe una soglia di 100 euro al singolo acquisto contabilizzabile in contanti da pubblici esercizi, artigiani e negozianti e sicuramente qualche beneficio ci sarebbe. Niente.

E ancora: il caso Autostrade. Visto che la magistratura deciderà, come sempre, quando la sua sentenza sarà inutile all’amministrazione della giustizia, il governo dovrebbe chiedere il commissariamento giudiziale dell’azienda, cosa che tra l’altro la Procura stessa avrebbe dovuto già imporre per prevenire l’inquinamento delle prove che, se vi sono eventuali colpevoli annidati negli uffici, sarà a quest’ora già stato perpetrato. E invece niente, troppo occupate come sono le forze politiche a beccarsi reciprocamente per nulla.

Insomma: dietro quel gesto così atipico di Fioramonti – e a meno di dietrofront che lo ridurrebbero a una sceneggiata di quart’ordine – c’è una denuncia: il re è nudo. La politica è debole, il governo imbelle, lo Stato non ha soldi e non può usare i sistemi che gli permetterebbero di trovarne. Il resto è una propaganda che smercia come importanti provvedimenticchi dall’impatto modestissimo.
 
FURBETTI PENTASTELLATI: FIORAMONTI SE NE VA PER FARE L’ENNESIMO GRUPPUSCOLO ANTISALVINIANO. La cultura festeggia…






Il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti lascia la carica. Il politico pentastellato, filosofo prestato all’economia, autore su Opendemocracy (sito finanziato dalle fondazioni Ford e Rockfeller..) ha deciso che il suo apporto come ministro al governo deve finire, ma non il suo impegno politico.

Per la storia il Ministro rimarrà noto per le sue idee economiche,diciamo così, eccentriche, come quella di finanziare gli stipendi dei docenti conla tassa sulle merendine, poi trasformata in
FURBETTI PENTASTELLATI: FIORAMONTI SE NE VA PER FARE L’ENNESIMO GRUPPUSCOLO ANTISALVINIANO. La cultura festeggia…








Il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti lascia la carica. Il politico pentastellato, filosofo prestato all’economia, autore su Opendemocracy (sito finanziato dalle fondazioni Ford e Rockfeller..) ha deciso che il suo apporto come ministro al governo deve finire, ma non il suo impegno politico.

Per la storia il Ministro rimarrà noto per le sue idee economiche,diciamo così, eccentriche, come quella di finanziare gli stipendi dei docenti conla tassa sulle merendine, poi trasformata in sugar tax, cosa che avrebbe esposto i professori ai gusti culinari degli studenti. Per non parlare delle sua amicizie, come quella con Jeffrey Sachs, il pro-abortista ultraliberista distruttore delle economie dell’Est post-comunismo, o Vandana Shiva, abbracciatrice di alberi indiana fatta entrare nel comitato scientifico del MIUR.
Non dimentichiamo il suo record per essere riuscito a prendersi l’accusa di antisemitismo da parte del PD, per aver rifiutato di partecipare ad una conferenza a cui partecipava l’ambasciatore di Israele. Il grillino perfetto per essere giunto alla sua posizione in virtù di una serie di fattori che nulla hanno a che fare con la sua preparazione o con la sua attività didattica o scientifica. Oggi lascia il proprio posto al MIUR, compiendo con questo gesto l’atto più significativo a favore della Cultura e dell’Università.

La scusa, realistica, è quella del mancato aumento dei fondi destinati all’Istruzione. In un governo che toglie i soldi per la lotta alla Xylella per assegnarli all’amico del ministro renziano non si poteva attende nulla di buono, e se Fioramonti si aspettava un cambio di registro era uno sciocco.
In realtà la sua finalità è diversa: come spiega nelle sue parole non ci si è differenziati sufficientemente da Salvini durante il governo gialloverde, per cui il suo futuro sarà alla guida di un gruppuscolo anti-salviniano pentastellato.
L’ennesima sardina che blatererà i soliti triti slogan globalisti con tro i cattivo Salvini, la malvagia Meloni, e si accoderà ai vari pseudo partitini di sinistra. Tempo qualche mese scomparirà dalla scena politica, lasciando un divertente ricordo di stramberie che resterà negli anni.
 
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Convivere con il bradisismo è una necessità che Conte prova a spacciare per virtù. Ogni giorno il suo governo si trova costretto a fronteggiare un' emergenza che non è provocata dagli avversari ma dalle forze che lo sorreggono, in particolare dai grillini. Lo scrive Francesco Verderami sul Corriere della sera di sabato 28 dicembre. Il caso Fioramonti, per esempio, testimonia il livello dello scontro nel Movimento, se è vero che Conte avrebbe evitato che l' ormai ex ministro (a lui molto caro) si dimettesse: "Volevo impedirlo - ha confidato - ma mi è stata chiesta la sua testa". Perché è vero che Fioramonti gli aveva inviato la lettera d' addio, tuttavia la road map riservatamente concordata prevedeva che il presidente del Consiglio la respingesse e con un gesto pubblico rassicurasse sui futuri finanziamenti alla scuola. Chi si sia opposto al lieto fine, lo si intuisce dalle parole usate da Fioramonti con un ministro del Pd: "Di Maio è un incapace. È colpa sua se il Movimento è in fase di decomposizione. Ma io mi muoverò a sostegno di Conte perché il suo governo arrivi a fine legislatura".
 
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27 Dicembre 2019
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Un gruppo autonomo in Parlamento, grillini "contiani" guidati da Lorenzo Fioramonti e, soprattutto, dal rancore nei confronti di Luigi Di Maio. "Mi ha mandato al massacro", si sfogava al telefono l'ormai ex ministro dell'Istruzione riguardo al capo del M5s, secondo un retroscena del Messaggero. Dopo lo strappo nel governo, ora potrebbe però essere la volta della scissione nel Movimento.

"Il grande salto - spiega il quotidiano romano - il docente universitario lo coltivava da tempo. All'inizio doveva essere coordinato anche con una decina di senatori ribelli, ma questo addio così repentino ha scombinato i piani. Anche se a gennaio non è esclusa affatto una mossa dei rivoltosi di Palazzo Madama, sotto forma di un documento". Sul tavolo ci sarebbero già i nomi dei deputati pronti a lasciare Di Maio: "Massimiliano De Toma, Rachele Silvestri, Roberto Rossini, Roberto Cataldi, Nadia Aprile, Gianluca Rospi, Nunzio Angiola, Andrea Vallascas e altri parlamentari alla prima legislatura".
Molti di loro, peraltro, proprio come Fioramonti non risulterebbero in regola con le restituzioni dovute al Movimento e finiranno presto sotto schiaffo dei probiviri.
All'appello però ne mancano 5 per arrivare a quota 20, numero minimo per creare un nuovo gruppo. Anche qui, filtrano identità: Andrea Cecconi, Sara Cunial, Gloria Vizzini e Veronica Giannone.
E l'idea, continua sempre il Messaggero, "potrebbe attrarre anche gli eletti con Centro democratico +Europa come Alessandro Fusacchia. I contatti sono in corso, anche in queste ore di festa".
E per i turbo-contiani non si esclude qualche poltrona nel governo.



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