tontolina
Forumer storico
G20 di Shanghai, un summit con piccole soluzioni
di Roberta Carlini*
G20 di Shanghai, un summit con piccole soluzioni - Pagina Nazionale - il Tirreno
Grandi problemi, grandi Paesi, piccole soluzioni. Il vertice del G20 di Shanghai si è chiuso ieri con un nuovo indice dei guai che tempestano l’economia dei Paesi più industrializzati. A quelli ormai noti -
l’instabilità finanziaria,
gli effetti del calo brusco del prezzo del petrolio
e il rallentamento delle economie emergenti -
si sono aggiunti due titoli di nuovo conio: Brexit e rifugiati.
Ossia il timore dei contraccolpi di un’eventuale vittoria dei “sì” al referendum inglese sull’uscita dalla Ue, nel voto di giugno, e le previsioni sugli effetti della crisi dei profughi già arrivati e in arrivo nella stessa Ue.
Le due crisi, sia pure così diverse tra loro, hanno una radice comune. E ancora una volta, è l’Europa che fa paura al mondo. Confrontare una crisi umanitaria di proporzioni enormi, come quella delle persone in fuga dalla guerra che stiamo respingendo ai confini del nostro mondo, con un evento tutto politico-istituzionale può sembrare sbagliato, e anche un po’ cinico. Ma se l’Unione traballa è perché non ha e non trova gli strumenti per rispondere in modo coordinato e solidale all’emergenza: esattamente lo stesso motivo per cui ciascuno pensa di salvarsi per sé, e i britannici, dall’alto della loro storia, della loro “specialità” dentro l’Unione, e dei loro miti lo pensano ancora più fortemente degli altri.
Come può ben ricordare ciascuno di noi è illusorio pensare di fermare chi scappa da un pericolo di morte, o dalla fame. Eppure, uno dopo l’altro tanti Paesi, anche quelli che all’inizio avevano aperto le porte, alzano i loro muretti. E la Gran Bretagna tenta di alzare quello più alto, in mezzo al Canale della Manica. Se non per compassione, lo si potrebbe evitare per orgoglio della prima superpotenza mondiale: tale è l’Unione europea, almeno per le grandezze economiche. Dividersi l’emergenza e gestirla in modo coordinato sarebbe possibile. Ma non ci sono le sedi, le istituzioni, né tantomeno la volontà politica per farlo. Così come non c’è stata la volontà politica comune di rispondere in modo solidale e coordinato alla crisi che otto anni fa ci è piombata addosso da oltre Atlantico.
Questa nuova fase è chiamata da qualcuno “stagnazione secolare”, da altri una cronica crisi da sotto-occupazione; ma anche senza ricorrere a profezie cupe o a definizioni da manuale, la vediamo tutti nel paradosso che troviamo entrando in una banca non per chiedere ma per depositare: se portiamo dei soldi, non siamo graditi, quei soldi sono più un peso che altro. Non rendono niente. Nessuno li vuole, perché si investe poco. Siamo nella trappola profetizzata tanti anni fa da Keynes, quella per cui l’economia è caduta in una spirale così profonda che la politica monetaria più lasca possibile non fa il minimo effetto.
Lo hanno detto anche i G20, nel fumoso comunicato che ha chiuso i lavori: servono politiche per la crescita, poiché la politica monetaria . da sola può non bastare. Ma chi deve farle queste politiche per la crescita? I Paesi dove “c’è spazio fiscale”: un modo per dare un colpo al cerchio (le politiche fiscali, cioè riduzione delle tasse o aumento della spesa, servono) e uno alla botte (ma non le devono fare i Paesi che sono già in deficit, per esempio noi). Senza però poter far niente per imporre a quei Paesi in attivo sul bilancio pubblico e commerciale - la Germania innanzitutto, che con il suo ministro Schaeuble ha puntato i piedi a Shanghai contro ogni svolta “espansionista” - di voltare pagina.
Così, restiamo ancora una volta appesi all’attesa del coniglio che tirerà fuori dal cappello “superMario”, il governatore della Bce, che il 10 marzo dovrà annunciare la continuazione o il rafforzamento di quella politica monetaria che i falchi tedeschi contestano perché è troppo espansionista e che però, a detta di tutti, non basta. Un paradosso.
Così come lo è la formula usata dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, a commento del G20: c’è stata «una revisione del pessimismo». Correggere il proprio pessimismo non vuol dire ancora diventare ottimisti.
di Roberta Carlini*
G20 di Shanghai, un summit con piccole soluzioni - Pagina Nazionale - il Tirreno
Grandi problemi, grandi Paesi, piccole soluzioni. Il vertice del G20 di Shanghai si è chiuso ieri con un nuovo indice dei guai che tempestano l’economia dei Paesi più industrializzati. A quelli ormai noti -
l’instabilità finanziaria,
gli effetti del calo brusco del prezzo del petrolio
e il rallentamento delle economie emergenti -
si sono aggiunti due titoli di nuovo conio: Brexit e rifugiati.
Ossia il timore dei contraccolpi di un’eventuale vittoria dei “sì” al referendum inglese sull’uscita dalla Ue, nel voto di giugno, e le previsioni sugli effetti della crisi dei profughi già arrivati e in arrivo nella stessa Ue.
Le due crisi, sia pure così diverse tra loro, hanno una radice comune. E ancora una volta, è l’Europa che fa paura al mondo. Confrontare una crisi umanitaria di proporzioni enormi, come quella delle persone in fuga dalla guerra che stiamo respingendo ai confini del nostro mondo, con un evento tutto politico-istituzionale può sembrare sbagliato, e anche un po’ cinico. Ma se l’Unione traballa è perché non ha e non trova gli strumenti per rispondere in modo coordinato e solidale all’emergenza: esattamente lo stesso motivo per cui ciascuno pensa di salvarsi per sé, e i britannici, dall’alto della loro storia, della loro “specialità” dentro l’Unione, e dei loro miti lo pensano ancora più fortemente degli altri.
Come può ben ricordare ciascuno di noi è illusorio pensare di fermare chi scappa da un pericolo di morte, o dalla fame. Eppure, uno dopo l’altro tanti Paesi, anche quelli che all’inizio avevano aperto le porte, alzano i loro muretti. E la Gran Bretagna tenta di alzare quello più alto, in mezzo al Canale della Manica. Se non per compassione, lo si potrebbe evitare per orgoglio della prima superpotenza mondiale: tale è l’Unione europea, almeno per le grandezze economiche. Dividersi l’emergenza e gestirla in modo coordinato sarebbe possibile. Ma non ci sono le sedi, le istituzioni, né tantomeno la volontà politica per farlo. Così come non c’è stata la volontà politica comune di rispondere in modo solidale e coordinato alla crisi che otto anni fa ci è piombata addosso da oltre Atlantico.
Questa nuova fase è chiamata da qualcuno “stagnazione secolare”, da altri una cronica crisi da sotto-occupazione; ma anche senza ricorrere a profezie cupe o a definizioni da manuale, la vediamo tutti nel paradosso che troviamo entrando in una banca non per chiedere ma per depositare: se portiamo dei soldi, non siamo graditi, quei soldi sono più un peso che altro. Non rendono niente. Nessuno li vuole, perché si investe poco. Siamo nella trappola profetizzata tanti anni fa da Keynes, quella per cui l’economia è caduta in una spirale così profonda che la politica monetaria più lasca possibile non fa il minimo effetto.
Lo hanno detto anche i G20, nel fumoso comunicato che ha chiuso i lavori: servono politiche per la crescita, poiché la politica monetaria . da sola può non bastare. Ma chi deve farle queste politiche per la crescita? I Paesi dove “c’è spazio fiscale”: un modo per dare un colpo al cerchio (le politiche fiscali, cioè riduzione delle tasse o aumento della spesa, servono) e uno alla botte (ma non le devono fare i Paesi che sono già in deficit, per esempio noi). Senza però poter far niente per imporre a quei Paesi in attivo sul bilancio pubblico e commerciale - la Germania innanzitutto, che con il suo ministro Schaeuble ha puntato i piedi a Shanghai contro ogni svolta “espansionista” - di voltare pagina.
Così, restiamo ancora una volta appesi all’attesa del coniglio che tirerà fuori dal cappello “superMario”, il governatore della Bce, che il 10 marzo dovrà annunciare la continuazione o il rafforzamento di quella politica monetaria che i falchi tedeschi contestano perché è troppo espansionista e che però, a detta di tutti, non basta. Un paradosso.
Così come lo è la formula usata dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, a commento del G20: c’è stata «una revisione del pessimismo». Correggere il proprio pessimismo non vuol dire ancora diventare ottimisti.