L'impresa è possibile
ma manca il coraggio
IL GIRO sta per finire, ma questo Giro non è ancora finito. Tutto resta appeso alla gran bella tappa di domani: da Savigliano al Sestriere si pedala in pianura sino a Pinerolo, poi si sale su al Sestriere una prima volta, tanto per gradire, per poi picchiar giù sino a Cesana e a Susa. Di qui, con punte di pendenza che toccano il 14 per cento si va a Meana da dove comincia la dura ascesa al Colle delle Finestre. I primi dieci chilometri sono asfaltati - in gergo si dovrebbe dire: bitumati - poi gli ultimi 8,5 chilometri sono di "strada bianca", volgarmente detto "sterrato" con pendenze medie del 9,2 per cento. Si ridiscende sino alla località Pourrières per risalire di nuovo al Sestriere: in tutto 190 chilometri all'ultimo pedale.
Il terreno per attaccare e per compiere un'impresa c'è. Ma ci sono i corridori in grado di farlo? Io penso che questi corridori siano frutto di una ideologia (o mentalità, chiamatela come volete) che privilegia la concretezza ed è nemica del rischio. Tradotto: manca il coraggio. Meglio un piazzamento sicuro, un podio quasi certo che la possibilità di mandare tutto all'aria.
Perciò, nonostante un grande Giro 2005, avremo un vincitore che non lo merita. O meglio, avremo un vincitore che questo mediocre ciclismo merita, un ciclismo dai valori appiattiti, un ciclismo da ragionieri. In fondo, l'unico che ci prova è il vecchio Gilberto Simoni, ma i suoi attacchi sono attacchini, i suoi scatti sono piccoli sputi. Ricordate Pantani? perché la gente continua ad invocarlo, sebbene il Pirata sia finito come è finito, sebbene ci siano le inquietanti ombre del doping.
Oggi come oggi ci vorrebbe un corridore capace di osare, di trasformare la tappa del Sestriere del Colle delle Finestre in una ballata epica, un po' come successe quando il ribaldo Chiappucci detto Diablo s'involò un giorno al Tour del 1992 e salutò tutti. Non vinse il Tour, fu secondo dietro Indurain ma tutti ricordano quel Tour per l'avventurosa fuga di 223 chilometri (roba alla Coppi).
Se il ciclismo di oggi fosse ancora ed anche poesia, allora dovremmo tifare per Cunego e immaginarcelo come il remoto Angelo Gremo che incurante del nevischio andò a vincere al Sestriere con quasi 14 minuti di vantaggio. Ma era il 24 maggio del 1914 (l'anno dopo sarebbe stato un altro ben più tragico 24 maggio). Degli 81 partenti ne arrivarono al traguardo solo 37. Il primo degli isolati, tale Marangoni, arrivò a Cuneo solo dopo mezzanotte e bussò a tutte le locande perché i giudici lo classificassero. Nella mitica tappa Cuneo-Pinerolo del 1949 il Sestriere fu la quinta salita del menu, e Coppi pedalò solo al comando per 192 chilometri. Tre anni dopo sempre Coppi vinse al Sestriere con sette minuti e 20 secondi di vantaggio, dopo un'altra fuga solitaria di 72 chilometri, ma era il Tour e il gruppo era partito da Le Bourg d'Oisan.
Purtroppo ricordare questo ciclismo fa male. Eppure la gente vorrebbe tanto assistere ad un miracolo (e allo sforzo, per dirla con Paul Valery) di un "gigante della strada" capace di trionfare in modo eccezionale. Qualunque sia lo svantaggio di partenza.
Matteo, un lettore della rubrica, teme che Rujano paghi il dazio. Dice che se si vuol battere la maglia rosa, non bisognerà aspettare l'ultimo momento, come è successo ieri al Colle di Tenda. Sono d'accordo. Ma ci sono in gruppo uomini che possono e vogliono e hanno il temperamento e il coraggio di attaccare, sapendo che possono anche rimetterci tutto quello che hanno messo in saccoccia fino ad oggi? Vorrei sapere da voi quale potrebbe essere la tattica migliore per vincere in questi 190 chilometri potenzialmente fatali il Giro 2005. (
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