Grexit e la paura dell'Europa

tontolina

Forumer storico
KRUGMAN: IL GIORNO DOPO CHE LA GRECIA ESCE DALL’EURO


Paul Krugman sul New York Times, con ancora fresca la notizia della vittoria di Podemos nelle maggiori città spagnole, torna brevemente sul tema della Grecia e della sua possibile uscita dalla moneta unica.
La grande paura dell’ormai screditato establishment europeo,
ragiona il premio Nobel,
non è che la Grecia fallisca, ma che possa riprendersi a seguito dell’uscita dall’euro, diventando così un esempio per tutti gli altri.


Vocidallestero » Krugman: Il Giorno Dopo Che La Grecia Esce dall?Euro
 
dovrebbe far pensare che un po di tempo fa hanno spalmato un po di debito greco negli stati europei
per esempio i 40 miliardi dati da Monti

ma vuoi mettere noi italiani "siamo dei perfidi evasori" mentre loro cercano solo di "salvarci"
 
dovrebbe far pensare che un po di tempo fa hanno spalmato un po di debito greco negli stati europei
per esempio i 40 miliardi dati da Monti

ma vuoi mettere noi italiani "siamo dei perfidi evasori" mentre loro cercano solo di "salvarci"

il problema è che Mario Monti, come Napolitano, è un Massone associato all'ubbedienza neo-aristocratica che ha una scarsa considerazione dei popoli che sono ritenuti servitori della gleba ...
 
il problema è che Mario Monti, come Napolitano, è un Massone associato all'ubbedienza neo-aristocratica che ha una scarsa considerazione dei popoli che sono ritenuti servitori della gleba ...

hanno ragione visto che votati e sostenuti dalla gleba

ma molti come me non sono "la gleba"
 
Ultima modifica:
La Grecia nei Brics: la proposta di Putin che fa tremare l’UE

DI MATTEO PERSICO –
La Russia chiede formalmente alla Grecia di entrare a far parte della Banca dei BRICS. Una mossa che ha spiazzato sia Bruxelles che Washington.
Ogni grande colosso, ogni grande istituzione ha sempre un punto debole, un “tallone d’Achille”. Quello dell’Unione Europea è certamente la Grecia.

Ma non solo, essa potrebbe risultare il punto debole del Fondo monetario internazionale (Fmi), della Banca mondiale e dell’ormai decennale egemonia Statunitense sull’economia mondiale. Insomma, la Grecia potrebbe rivelarsi un’arma più pericolosa del previsto e questo, Putin sembra averlo capito benissimo (a differenza della Merkel e degli esponenti del Fmi).
E’ di oggi infatti la notizia che Putin avrebbe proposto a Tsipras un’offerta molto allettante: entrare nella “Nuova banca di Sviluppo” dei Brics.
Cosa sono i “Brics” e cos’è la“New Development Bank” e per quale motivo risulta così allettante alla Grecia? “Brics” è l’acronimo che indica cinque paesi che hanno forti economie in via di sviluppo, una grande popolazione ed un territorio con innumerevoli risorse. Questi paesi sono Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Fino al 15 luglio 2014 questo acronimo era solo una delle tante parole puramente teoriche usate in economia internazionale. Ma, durante il sesto summit dei Brics, svoltosi appunto il 14 luglio, questa parola ha assunto un significato molto più ampio. I cinque paesi infatti hanno deciso di fondare una vera e propria entità politica, la già citata New Development Bank (Ndb). In essa ogni stato fondatore capitalizzerà una cifra già definita in partenza, proporzionale al proprio PIL (la Cina sarà il paese che metterà le maggiori riserve, ossia 41 miliardi, il Sudafrica le minori, appena 5 miliardi). L’obiettivo di questo progetto è di fungere da alternativa al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale, ridimensionando così lo strapotere della moneta maggiormente favorita da questo sistema, il Dollaro. La scelta di questi cinque colossi di formare un’alternativa al sistema vigente nasce dalla ormai palese cecità ed egoismo degli Stati Uniti e dell’Europa: l’economia dei Brics rappresenta da sola il 25% dell’economia mondiale, ma questo peso ed importanza non è stato ancora riconosciuto all’interno dell’Fmi, dove i paesi appartenenti al Brics detengono solo il 10,3% dei voti. Perciò, stanchi della mancanza di attenzione alle richieste di avere un ruolo maggiore all’interno del Fmi e della Banca Mondiale e dell’inerzia dei Paesi dominanti e accortisi di avere i mezzi economici necessari, hanno deciso di rivoluzionare l’economia mondiale. Da oggi in poi le decisioni non si prenderanno solo a Washington (sede sia del Fmi che della Banca mondiale) ma anche a Shanghai (sede della Ndb). Terminata questa breve descrizione dei fatti, è necessario capire cosa c’entri la piccola ed economicamente dilaniata Grecia in tutto questo discorso. Come ormai tutti sanno, la Grecia è da qualche anno sull’orlo del baratro e la sua fine ormai, agli occhi di molti, sembra segnata. Il governo Tsipras, da poco eletto, sta facendo di tutto per salvare il paese in difficoltà, ma la strada è in salita.

Le casse dello stato greco sono vuote e i creditori, capeggiati dalla Fmi che ha prestato ingenti quantità di denaro alla Grecia, stanno bussando alla porta di Tsipras.

Inoltre, come se non bastasse, lo stesso Fmi si è detto restio ad un eventuale terzo salvataggio nel prossimo futuro.

Ormai non sembra ci siano più strade percorribili, vie di fuga sembrano non essercene più.

E invece no.

La via di fuga per la Grecia è proprio la proposta di Putin, di cui parlavamo prima, arrivata ieri sera sulla scrivania del disperato Tsipras. Quest’ultimo, comprensibilmente, sembra aver gradito la gentile offerta del Cremlino e ha dichiarato che un’eventuale adesione verrà discussa a giungo a San Pietroburgo.

Sembra però a questo punto piuttosto probabile l’addio della Grecia dall’Fmi soprattutto perché la New Development Bank ha i fondi necessari a salvare la Grecia e non sembra farsi troppi problemi ad investirli per questa causa.
 
ho cambiato la bandiera(isis prima)......rende quasi di +
 

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Costantinopoli 398 d.C. Il giovane neoplatonico Sinesio da Cirene, esponente della corrente nazionalista greca, tiene un discorso davanti all’imperatore Arcadio, un ventenne sulle cui spalle grava il peso di difendere la Romània dalle tribù germaniche che l’assediano. Non illudiamoci, dice Sinesio, di potere assimilare questi barbari. Li abbiamo fatti entrare dentro le nostre frontiere, li abbiamo presi nelle nostre case e tutti, ormai, me compreso, abbiamo almeno uno schiavo con i capelli biondi e gli occhi azzurri dal quale dipendiamo dalla mattina alla sera per tutti i nostri bisogni. Ad alcuni di loro abbiamo anche permesso di entrare nell’esercito e nella pubblica amministrazione. Non fidiamoci di loro, non sono mai fedeli alla parola data. Appena ne avranno la forza ci sgozzeranno come agnelli nelle nostre case.

La paura di cui si fa interprete Sinesio è così diffusa che due anni dopo, in seguito a manifestazioni e disordini animati dai nazionalisti, tutti i biondi con gli occhi azzurri sono espulsi da Costantinopoli.Italia 535-553 d.C. Trent’anni di guerra durissima tra Greci e Goti sconvolgono e distruggono quello che resta dell’Italia dopo le invasioni del secolo precedente. La corte di Bisanzio, che aveva allevato il nobile germanico Teodorico e lo considerava assimilato, manda lui e i suoi 125mila ingombranti Ostrogoti a riconquistare l’Italia, ma Teodorico e i suoi successori rompono presto con Costantinopoli e si tengono l’Italia per sé. L’imperatore Giustiniano manda allora i suoi migliori generali a punire i barbari.
Nel corso di questa guerra infinita gli Ostrogoti assediano e radono al suolo la filobizantina Milano, uccidono 30mila uomini e prendono schiave altrettante donne. Alla fine i generali bizantini riescono a prevalere. Nel corso della pulizia etnica che ne segue gli Ostrogoti, la più sofisticata e forte tra le etnie germaniche europee, vengono cancellati completamente dalla faccia della terra. Ancora una volta, tuttavia, la vittoria dei Greci è di breve durata. Quindici anni più tardi, infatti, un altro popolo germanico, i Longobardi, caccerà definitivamente i Greci da quasi tutta l’Italia.


Perché l?euro non ritornerà forte per molto tempo | Trend Online

Come si vede, il rapporto tra Grecia e Germania non ha iniziato a deteriorarsi con l’invasione della Wehrmacht del 1941. Anche nell’Ottocento e nella Grande Guerra l’impero germanico era stato vicino agli Ottomani, odiati dai Greci come storici oppressori.
Il nazionalismo greco, forgiato durante la Turcocrazia (1453-1821), è del resto stato sempre duro come l’acciaio. Al contrario dell’Albania e della Bosnia (che passò direttamente dal catarismo all’Islam), la Grecia rimase sempre raccolta fieramente intorno all’Ortodossia autocefala e nessun greco si convertì. Il comunismo greco, dal canto suo, arrivò al punto di sfidare Stalin, che a Yalta aveva ceduto la Grecia all’Occidente, e combattere in completa solitudine una guerra civile dal 1946 al 1949 contro i partiti appoggiati da Stati Uniti e Gran Bretagna.
Syriza, che riassume in sé la tradizione nazionalista e quella comunista, viene dunque da lontano e sottovalutarne la radicalità è stato un errore. La fine vera o presunta delle ideologie ha portato molti a pensare che Tsipras, una volta vinte le elezioni, avrebbe fatto come tutti i politici e si sarebbe rimangiato quasi tutto. Syriza è però fortemente dottrinaria e ideologica e unisce a una notevole spregiudicatezza nella tattica una rigidità strategica speculare a quella tedesca.
Fa parte della tattica il continuo annuncio da parte greca di una soluzione imminente nei negoziati in corso con i creditori. Tutto è pronto, ci viene detto da mesi. In questo modo, a livello quasi subliminale, la Grecia cerca di spiazzare gli interlocutori e di fare passare l’idea che i cattivi sono gli altri. Nelle ultime ore questo messaggio è stato di nuovo ripetuto e rilanciato e i mercati, ancora una volta, hanno ripreso a sperare.
Noi naturalmente non sappiamo se le cose stiano davvero per sbloccarsi o no. Avanziamo però l’ipotesi per cui, se si risolveranno, saranno le borse e i crediti a trarne il beneficio maggiore, mentre l’euro, al di là delle ricoperture iniziali che potranno spingerlo brevemente di nuovo verso 1.15, rimarrà strutturalmente debole.
Infatti, anche nel caso di un compromesso accettabile, la crisi greca avrà comunque dimostrato varie cose, tutte negative per l’euro.

La prima è che la moneta unica è un accordo tra governi, non tra stati. Per cambiare una virgola in una costituzione occorrono anni e maggioranze schiaccianti, per uscire dall’euro bastano un decreto nel cuore della notte e una rotativa che stampi nuove banconote.
Anche gli Stati Uniti, si sa, hanno la loro Grecia. Puerto Rico è un territorio dell’Unione, un pre-stato esattamente come erano i territori del West nell’Ottocento. I portoricani hanno il passaporto americano, pagano alcune tasse a Washington e hanno in tasca dollari americani. L’isola è cronicamente depressa e male amministrata. Per aiutarla, il Congresso ha sempre concesso una tripla esenzione fiscale (federale, statale e locale) sui redditi e i capital gain derivanti dai bond emessi dal governo di Puerto Rico. Il risultato è che tutti i ricchi americani hanno nel loro portafoglio i municipal bond dell’isola. L’altro risultato è che l’isola si è indebitata fino al collo e ora è sull’orlo della bancarotta (che verrà probabilmente evitata anche questa volta). I suoi bond rendono ormai il 10 per cento esentasse, ma a nessuno è mai venuto in mente, né a Washington né a San Juan, di sganciare l’isola dal dollaro e creare un peso portoricano svalutato.
L’euro, d’altra parte, è una valuta in balia di 19 governi sempre più instabili. La frammentazione crescente del paesaggio politico europeo è considerata da politologi come George Friedman di Stratfor o Ian Bremmer di Eurasia come uno dei principali pericoli per la stabilità globale.
I toni chavisti di Podemos,
la Gran Bretagna che vuole uscire dall’Unione Europea,
il nazionalismo rampante nell’est del continente,
il lepenismo,
la disaffezione nell’opinione pubblica verso un’Europa che fa l’impossibile per non farsi amare, tutto converge verso un euro debole come lubrificante che possa dare un po’ di colore a un’economia ossificata e permettere in questo modo di recuperare almeno una parte del consenso perduto.
La Germania, molto preoccupata per l’ingovernabilità crescente dell’Unione, se ne rende conto benissimo e non è un caso che nessuno, al contrario che in passato, si lamenti dell’euro debole.
Anche gli Stati Uniti lo accettano come male minore rispetto a un’Europa in pezzi.
In caso di accordo tra Grecia e creditori saremo dunque compratori di borse europee e di bond della periferia, ma saremo venditori di euro in caso di recupero verso 1.15.
 
La Grecia è un incidente annunciato – Innescherà la dipartita della BCE e del settore bancario centrale

di David Stockman
Non c’è da sorprendersi se in pochi mesi Yanis Varoufakis abbia dimostrato di essere l’ennesimo statalista keynesiano. Dopo tutto, che cosa ci si poteva aspettare da un laureato in economia che ha scritto libri insieme a Jamie Galbraith? Quest’ultimo non ha mai visto una malattia economica che non potesse essere curata con deficit più grandi, prodigiosi “stimoli” monetari e interventi statali sempre più invadenti.
In quella che ormai sembra una teoria dei giochi disperata, Varoufakis ha fatto un favore ai suoi connazionali, all’Europa e al mondo. Dopo aver informato i suoi finanziatori a Bruxelles che dovranno continuare a sovvenzionare il suo stato greco in bancarotta, perché è l’unico modo per preservare il progetto europeo e l’euro, il ministro delle finanze greco ha sbottato la verità sulla questione, anche se forse non intenzionalmente:
“Sarebbe un disastro per tutti i soggetti coinvolti, sarebbe un disastro in primo luogo per l’economia sociale greca, ma sarebbe anche l’inizio della fine per il progetto della moneta comune in Europa,” ha detto.
“Qualunque cosa gli analisti dicano sui firewall, non dureranno a lungo una volta che le persone e gli investitori capiranno che la zona Euro non è indivisibile”, ha aggiunto.
Di sicuro ha ragione. Le persone che credono nella democrazia e nella libertà economica dovrebbero pregare per un default della Grecia. Nel corso delle prossime settimane, quando $1.8 miliardi di prestiti del FMI andranno in scadenza e la Grecia non riuscirà a ripagarli, Syriza si ritroverà in una situazione davvero ironica.
Se vorrà restare fedele alla sua agenda statalista di sinistra e vorrà ridare la democrazia alla Grecia strappandola dalle grinfie dei burocrati dell’accoppiata UE/FMI, Syriza dovrà spezzare una lancia a favore della democrazia e del capitalismo. Vale a dire, sfidare i tedeschi e la troika equivarrebbe ad una nuova Maratona; innescherebbe un crollo della BCE e del superstato canceroso costruito su di essa a Francoforte e Bruxelles — infliggendo un colpo mortale al sistema bancario centrale in tutto il mondo.
In pochi anni Draghi, nel contesto di un indebolimento fiscale ed economico in Europa, ha trasformato la BCE in un Robin Hood al contrario. Così facendo, ha donato ai giocatori d’azzardo finanziari e ai front-runner centinaia di miliardi di guadagni immeritati mediante i mercati del debito europei.
Nei giorni poco prima l’ukase di Draghi, per esempio, il decennale italiano era scambiato al 7.1%. Così gli speculatori che l’hanno acquistato in quel periodo hanno raccolto un guadagno del 350%. E adesso le loro risate riecheggiano dalle loro proprietà nel sud della Francia, soprattutto se i loro broker hanno impegnato questi titoli italiani nel mercato dei pronti contro termine prima che scadessero. In tal caso, i front-runner dello zio Mario sono entrati a far parte del club del 1000%.
Mentre è estremamente difficile pensare ad una ragione che giustifichi tale ridistribuzione sfrenata a favore dei giocatori d’azzardo finanziari, la logica della BCE è così incredibilmente trita e ritrita da essere ridicola. In una parola, Draghi e i suoi seguaci sostengono che il torpore economico dell’Europa derivi da una bassa inflazione e da un basso indebitamento delle famiglie e delle imprese. Quindi non hanno altra scelta: falsificare i prezzi nel mercato obbligazionario europeo per riaccendere il 2% d’inflazione e ravvivare la linea piatta della crescita economica.
Oh, per favore! Le economie della zona Euro non hanno avuto nessun problema nel creare un ampio quoziente d’inflazione sin dalla nascita della moneta unica — come se questo abbia qualcosa a che fare con la crescita della produzione e della ricchezza reale.
In realtà, l’ICP europeo è salito ad una media del 2.1% l’anno negli ultimi dieci anni e mezzo. L’appiattimento temporaneo della curva dell’inflazione negli ultimi anni è una conseguenza del tonfo del petrolio e di altre materie prime, nulla che possa spiegare il tasso di crescita depresso in Europa.
In realtà, l’IPC core della zona Euro è aumentato di quasi l’1% nel corso dell’ultimo anno ed è salito di circa l’1.5% all’anno nel corso degli ultimi otto anni (durante i quali il prezzo del petrolio è salito alle stelle ed è crollato due volte). Detto in modo semplice, la low-flation è solo un mito inventato dagli stampatori keynesiani per giustificare l’enorme monetizzazione del debito pubblico.
Quindi non c’è assolutamente niente dietro il mantra della low-flation, tranne la tesi spuria secondo cui i consumatori stanno rimandando gli acquisti fino a quando non saranno sicuri che i prezzi aumenteranno di nuovo.
No, caro zio Mario, i consumatori europei non stanno spendendo perché i loro redditi non crescono. La “domanda” delle famiglie è tiepida perché nell’Eurozona lo stipendio portato a casa viene eroso dalle tasse; e i consumatori non stanno prendendo in prestito perchè i loro bilanci sono già saturi di debiti, pertanto non ne possono sostenere altri.
In effetti, l’indebitamento del settore privato è quasi triplicato se pensiamo al decennio antecedente la crisi finanziaria. Che sia rimasto piatto sin da allora significa solo che l’offerta di credito a mutuatari meritevoli si è semplicemente esaurita, e non che esiste una qualche misteriosa malattia economica che può essere curata mediante la stampa monetaria della BCE.
Detto in altro modo, sin dal 1997 i prestiti al settore privato sono cresciuti di circa il 6.0% annuo, anche se teniamo conto della stagnazione in tale settore degli ultimi anni. Ora accostate questa cifra alla crescita media del PIL nominale europeo, la quale ha fatto registrare un 3.3% annuo. Ad un certo punto, ogni economia dipendente dal debito esaurisce la capacità di ingozzare i suoi bilanci — una condizione che l’Europa ha raggiunto molto tempo fa.
La cosa buona è che l’intero progetto dell’euro non sopravviverà al default della Grecia. La BCE è ora alle strette per $138 miliardi di passività greche — un ammontare pari ai depositi rimanenti in tutto il suo sistema bancario. Inutile dire che quando il cataclisma finanziario greco finirà sulle prime pagine dei giornali, ci sarà un pandemonio presso la BCE, a Bruxelles e nelle capitali di tutta la zona Euro.
I politici e gli elettori tedeschi riescono a capire che i rappresentanti della Bundesbank a Francoforte non sono stati affatto dei cani da guardia per la rettitudine monetaria? E che hanno assecondato la loro banca centrale nazionale mentre sprofondava in $35 miliardi di passività — debiti a carico di un sistema bancario greco e della relativa banca centrale irrimediabilmente insolventi?
No, il sistema bancario greco è in realtà uno zombie finanziario e la maggior parte dei suoi attivi è costituita da imposte differite; e la garanzia fornita per i prestiti ELA da $87 miliardi è composta da titoli di debito di un governo greco ormai insolvente.
Mai le istituzioni pubbliche avevano sostenuto una truffa simile in così bella vista. Mai una banca centrale aveva accettato tale spazzatura finanziaria come collaterale per gli enormi prestiti alle sue banche aderenti.
Ma settimana dopo settimana i burocrati incompetenti a Francoforte hanno sganciato miliardi di finanziamenti ELA per mantenere vivo lo zombie bancario greco. Quando la truffa infine salterà in aria, ci sarà una caccia alle streghe nei padiglioni del nuovo palazzo da $2 miliardi della BCE.
Il fatto è che nemmeno la BCE riuscirà a sopravvivere al default greco. Non solo risulterà tecnicamente insolvente, ma sarà anche spogliata da ogni traccia di credibilità. Ci si domanderà: come diavolo è possibile che Draghi e la sua combriccola di tirapiedi abbiano prestato $138 miliardi ad un sistema bancario insolvente e in palese bancarotta?
Inoltre, risulterà chiaro che non c’è mai stato alcun miracolo di Draghi — solo una gigantesca truffa. Di conseguenza, la sfilata di front-runner degli ultimi tre anni si trasformerà in una cascata di vendite in preda al panico. Saranno coinvolti i giocatori fast money (che si sono letteralmente ingozzati di bond statali), gli ottusi bond manager e gli investitori europei (che si sono fatti avanti per fare un giro sull’ottovolante della BCE).
La verità è che l’Europa è una bomba ad orologeria fiscale pronta ad esplodere. Ormai non c’è più uno straccio di onestà nei prezzi del mercato obbligazionario europeo, inclusi i decennali tedeschi tradati a 58 bps. E’ stata tutta un’illusione evocata da Mario Draghi per la quale ha preso scrosciate di applausi, ignaro di come gli speculatori altamente indebitati non stavano facendo altro che affittare i bond statali tossici per poi rivenderglieli più avanti.
In breve, quando i contribuenti europei capiranno che a nome loro sono stati prestati $350 miliardi ad uno stato in bancarotta come la Grecia, e quando i politici inetti di Spagna, Italia, Portogallo, Francia e gran parte dell’Europa centrale scopriranno che non potranno più finanziare i loro bilanci mastodontici (nonostante un tasso d’interesse monetario all’1%), le furie finanziarie verranno sguinzagliate in tutto il continente.
Né vi è alcuna speranza di fuga. Ormai la zona Euro è vicina ad avere un rapporto debito/PIL al 100% e le eccedenze tedesche si stanno affievolendo a causa del rapido raffreddamento del suo boom delle esportazioni. Non solo, ma per qualche trimestre la stampante dello zio Mario ha messo una pezza sui conti disastrati degli stati europei, aiutandoli dal punto di vista dei tassi d’interesse; ora anche questo effetto sta scemando.
Il default della Grecia spazzerà via tutte queste illusioni, scaraventando la maggior parte dell’Europa in una crisi fiscale acuta e in sconvolgimenti politici (come quelli che abbiamo già visto in Grecia e in Spagna). Le probabilità che il superstato europeo e il sistema monetario keynesiano della BCE sopravviveranno allo sconvolgimento conseguente sono, per fortuna, esigue.
E c’è anche un risvolto positivo in tutta questa storia. Un giorno gli storici punteranno il dito sull’immagine qui sotto e diranno che la fine delle banche centrali è iniziata qui.

[*]
traduzione di Francesco Simoncelli: Francesco Simoncelli's Freedonia
 

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