Grexit la colpa di Germania e Francia

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mod sanguinario
19/05/2012 TONIA MASTROBUONI
Al di là della querelle che ha contrapposto Angela Merkel e il presidente greco Karolos Papoulias, non è la prima volta che si affaccia in Europa l’idea di un referendum da sottoporre ai greci. Ma a inizio novembre del 2011, quando lo suggerì al G20 di Cannes il premier George Papandreou, l’Europa reagì con estrema durezza. E anche nel suo partito partì la rivolta che lo costrinse alle dimissioni da primo ministro e, mesi dopo, da leader del Pasok. Quello che non si sa, sono alcuni retroscena che gettano una luce inquietante su Merkel, ma anche sul partito di Papandreou. Anzitutto, la cancelliera disse segretamente di sì all’idea del premier socialista del summit di Cannes. E propose addirittura una data, il 4 dicembre. Durante un incontro a tre con Nicolas Sarkozy, a margine del summit del 3 novembre, la cancelliera suggerì addirittura a Papandreou il quesito, come racconta una fonte autorevole presente alla riunione. Suonava così, più o meno: «Accetti l’accordo del 26 ottobre che garantisce la nostra permanenza dell’euro?». Merkel si era resa conto che era arrivato il momento di restituire la parola ai greci, stremati dall’austerity «alla tedesca». E che il quesito sarebbe stato sufficientemente furbo da non mettere a rischio il risanamento: l’intesa del 26 ottobre prevedeva nuovi sacrifici, certo, ma il cuore era la cancellazione di 100 miliardi di debito ellenico. Del resto, Papandreou aveva raccontato ai suoi interlocutori che riservatamente aveva già fatto fare quattro sondaggi e la risposta era stata sempre una stragrande maggioranza di sì, «almeno il 65%», ricorda la fonte. Il problema fu la reazione di Sarkozy. Violentissima. Quando Papandreou annunciò il suo intendimento pubblicamente, il Presidente francese e ospite del summit andò su tutte le furie perché il premier greco aveva monopolizzato l’attenzione del «suo» G20 e compattò l’Europa – compresa la Merkel – attorno a uno sdegnato rifiuto. Ma al ritorno da Cannes, in aereo, Papandreou parlò a lungo con il suo ministro delle Finanze, Evangelos Venizelos e si convinse definitivamente del fatto che il referendum andava fatto. Che sarebbe stato un modo per regalare una valvola di sfogo ai greci e frenare l’emorragia di deputati del Pasok che stava prosciugando pericolosamente la sua maggioranza in Parlamento. Venizelos annuì, assentì, sembrò d’accordo. Ma ad un certo punto Papandreou si addormentò, mentre l’aereo aveva cominciato già la sua discesa per Atene. E in quei venti minuti, seduto gomito a gomito con il suo rivale di sempre, Venizelos cominciò a scrivere. Ne firmò la condanna. E cambiò il destino della Grecia. Appena atterrato, il ministro delle Finanze fece diffondere un comunicato in cui prendeva nettamente le distanze dal referendum e fece capire a Papandreou che la sua ventina di deputati avrebbero votato contro (in Grecia il referendum deve passare per il Parlamento). Il premier capì, si dimise prima dal ruolo di primo ministro e poi dal partito. Il resto è storia. Ma forse se Merkel avesse avuto il coraggio di ascoltare e appoggiare Papandreou allora, le cose non sarebbero precipitate. twitter@mastrobradipo
La Stampa.it
 
[FONT=&quot]3). 340,75.[/FONT]
[FONT=&quot]Questo è il numero.[/FONT]
[FONT=&quot]Ma non è un numero qualunque.[/FONT]
[FONT=&quot]E’ la cifra che la BCE ha stabilito sarà il controvalore della dracma contro euro a partire dal prossimo 2 luglio 2012. Durerà dieci giorni. La moneta, infatti, verrà immediatamente svalutata e ai primi di agosto il cambio sarà 600. Si stanno già costituendo diverse società immobiliari che già pregustano il fatto di presentarsi quest’estate in Grecia, da veri cannibali signorilmente attrezzati, per acquistare case, ville, interi palazzi in luoghi ameni a quattro lire quattro vere, tenerli chiusi sbarrati per una ventina di mesi e poi rivenderli a un prezzo maggiorato del 400, 500% quando i pochi greci sopravvissuti si saranno ripresi.[/FONT]
[FONT=&quot]Perché proprio il 2 luglio?[/FONT]
[FONT=&quot]C’è un motivo specifico e tecnico.




[/FONT][FONT=&quot]quando Alexis Tsipras, il leader della sinistra radicale aveva gettato la spugna dichiarando “non vogliono semplicemente che siamo d’accordo, ma vogliono addirittura che siamo complici: questo proprio no”. La frase era stata pubblicata su tutti i media del mondo. A me, questa frase mi aveva posto dei seri interrogativi., perché non mi convinceva. L’uomo (che non conoscevo) non mi sembrava un piatto demagogo, né tantomeno uno in cerca di visibilità. “complice” di che? Di chi? Seguitavo a chiedermi che cosa intendesse dire con quella frase, perché era chiaro che non si riferiva alla finanza, a Goldman Sachs, ecc. era come se stesse cercando di dirci che c’era qualcosa di più, veramente inaccettabile. Ho cercato di informarmi, per quanto potessi, e avevo messo insieme dei frammenti sparsi, pezzetti di un puzzle di cui non riuscivo a intravedere la figura. Poi, ieri, poco a poco, tutto è andato a posto. E le informazioni finali sono venute in parte dal nostro antisemita-razzista-anti-palestinese-colonialista de Gucht, da diversi bloggers olandesi e scozzesi, da Giulio Tremonti, da David Cameron, da El Mundo, dal sudamerica e dall’articolo che apre il numero speciale di The Economist, con la emblematica copertina che vedete qui in bacheca.[/FONT]




[FONT=&quot]Se l’11 gennaio la BCE avesse scelto di dare alle banche franco-tedesche-italiane a tasso zero la cifra di 130 miliardi da dare alla Grecia, magari al tasso dell’1% restituibili in venti anni, si poteva, forse, ancora salvarli. E’ una cifra esigua a livello macro-economico. E invece no. Scelgono di non darglieli[/FONT]




[FONT=&quot]Nel frattempo, la Germania (in questi quattro mesi) si disfa di ben 40 miliardi di bpt greci –con la suicida complicità francese- e salva il proprio sistema bancario, impedendo a Francia e Italia di vendere i loro. [/FONT]
[FONT=&quot]
da Libero Pensiero: la casa degli italiani esuli in patria: 340,75. Gli europeisti lo considerano il n. dell'infamia. Mentre The economist lancia un allarme generale, smentendo Mario Monti.
[/FONT]
 
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euro alla deriva
L'euro è una barzelletta, ma i fondi d'investimento non ridono

La percezione del mercato è ben diversa da quella che i politici si affannano (inutilmente) a far credere. Ecco allora che i fondi d'investimento si dirigono verso il dollaro, ma l'euro potrebbe tornare come moneta svalutata e perciò concorrenziale?




Alcuni dei principali gestori europei di fondi hanno confermato che la loro intenzione di abbandonare la moneta unica tra gli investimenti in programma a causa dei timori crescenti su una possibile uscita greca dalla zona euro e da un conseguente crollo. Non solo, ma la svalutazione della moneta unica è un elemento che ha preso di sorpresa gli stessi operatori finanziari soprattutto per la velocità delle perdite (1,2514 contro il dollaro, ben il 5% in meno).
Tra i grandi “disinteressati”, Amundi,nato dal matrimonio tra Crèdit Agricole Asset Management e Société Générale Asset Management tre anni fa, che è stato tra i primi ad abbandonare i bond in euro e a puntare sugli asset in dollari. Ebbene, secondo i suoi analisti i rischi di un'espansione della crisi provenienti da Spagna e Italia sono in aumento, soprattutto a causa dell’incapacità dii misure cautelative e di rassicurazione da parte dei politici che non sono riusciti ad andare oltre i proclami (tanti) e le iniziative teoriche (poche) della creazione di un firewall.
Ma c’è anche chi va contro corrente: Eric Brard, responsabile globale del reddito fisso sempre di Amundi, ha dichiarato: "Anche se abbiamo ridotto la nostra esposizione verso l'euro, non lo abbiamo comunque escluso perchè un euro più debole potrebbe essere una buona notizia per l'Europa e le aziende esportatrici della regione." Ha poi aggiunto: "Il nostro scenario di base è che la zona euro non si romperà e la Grecia rimarranno nell'unione monetaria. Tuttavia, adottando una visione pragmatica, nelle ultime settimane la percezione del mercato, dei rischi di una zona euro sono aumentati. "
Ma il Grexit è ormai dato come evento certo, soprattutto dalla scorsa settimana, dopo le numerose indiscrezioni di avvertimenti ai Paesi dell’euro di preparare piani d’emergenza in caso di crack di Atene, di varie Ela tacitamente ammesse dalla Bce verso la ricapitalizzazione delle banche greche e la crescente popolarità di una sinistra estrema e antieuropeista data per vincente alle prossime elezioni.
E su tutto questo campeggia la continua procrastinazione dei politici europei che continuano a temporeggiare aspettando chissà cosa. Infatti i sospetti che iniziano a insinuarsi riguardano la pianificazione di un’uscita controllata: in questo caso, le evidenti perdite delle banche potrebbero essere attutite, almeno secondo quanto affermano gli analisti di Citi.
Tra i pessimisti anche Richard Batty, direttore investimenti di Standard Life Investments,secondo cui è una crisi che si sta aggravando a vista d’occhio e l’euro è a una pressione ormai insostenibile. Gli fa eco Neil Williams, capo economista di Hermes, anche lui n fuga dall’euro: "C'è un errore da parte dei politici nel convincere i mercati che stanno per affrontare i problemi della zona euro. Non lo stanno facendo nè ne sono capaci"
 
Grecia verso l'addio all'euro
Grecia fuori dall’euro nel 2013. Gli scenari attesi da Citigroup

Mentre i leader europei hanno ribadito la volontà di evitare un abbandono dell’euro da parte della Grecia, gli esperti di Citigroup ritengono che un simile scenario si concretizzerà all’inizio del prossimo anno. Le conseguenze e i possibili rimedi.
Alberto Susic 24 maggio 18:05

Grecia fuori dall
 
Cosa accadra?
da Gli eurobond possono risolvere i problemi dell

Sembra impossibile che la Grecia resti nell’euro se rifiuta le condizioni del salvataggio, ma i leader politici temono che la sua uscita provochi un tracollo del sistema. Quindi gli eurobond sono presentati come il rimedio, ma in realtà sembra improbabile che possano risolvere tutti i problemi. A parte il fatto che sarebbero illegali in base al Trattato di Lisbona e che dovrebbero essere approvati da tutti gli stati membri, Bruxelles correttamente insisterebbe per avere la supervisione sulle politiche di bilancio dei paesi e questo sarebbe un anatema politico in molti stati, inclusa la Gran Bretagna. Inoltre il calo del costo del denaro non porterebbe alla soluzione dei problemi europei, dovuti alle differenti condizioni del mercato del lavoro e agli squilibri tra nord e sud. La Germania dovrebbe permettere l’aumento dell’inflazione e della disoccupazione e diventare meno competitiva. Bisogna chiedersi quanto sia probabile che i tedeschi accettino questo. La risposta a questa domanda e la disponibilità del resto dell’Europa alle riforme saranno alla fine determinanti per la sopravivenza dell’euro.
 

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