Ho conosciuto ...

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
No. Non ho conosciuto Maurice Rheims (1910-2003), de l'Academie Française, storico dell'arte e banditore d'asta. Però ho tentato di leggere un suo libro (Les fortunes d'Apollon), crollando per noia alla pag. 123 delle 411. Perché non basta aver conosciuto i massimi geni artistici del 900 per ricavarne un discorso interessante. In effetti, Rheims è troppo innamorato di sé, intorcolato nella sua narcisistica flemmaticità per comunicarci altro che i suoi fastidi e il suo rispetto-amore per il denaro.
Pertanto nell'aprire questo thread, questo capitolo, mi auguro che chi vi scriva non lo faccia per sfoggiare conoscenze e contatti, ma soprattutto abbia lo scopo di interessare il lettore.
Ovviamente propongo di narrare ritratti o aneddoti relativi ad artisti visivi, ma anche a galleristi, critici, o persone e personaggi in qualche modo significativi in quell'ambito, e solo se vissuti di persona. Invito tutti, dunque, ad intervenire.
 
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Ho passato un anno alle Beaux-Arts (art sarebbe maschile ...) di Parigi come abusivo: non avevo fatto in tempo ad iscrivermi, ma non c'erano controlli, e presi posto nella classe di Gustave Singier, per cui provavo una certa ammirazione. Però il pittore non c'era mai, al suo posto un assistente si occupava di consigliare, aiutare, indirizzare ... Breve, LUI apparve una sola volta, verso la fine dell'anno accademico, preceduto da giorni di preparazione collettiva, in cui la flemmatica classe divenne come un alveare in attesa della pioggia.
Venne, con la sua aria assolutamente borghese (noi invece avevamo tutti più o meno un look di fricchettoni ribelli), visionò le opere abbastanza in fretta e se ne andò, lasciando qua e là alcuni commenti con cui non si comprometteva più di tanto (e infatti non ricordo nulla di ciò che disse sul mio lavoro).
Quando nelle biografie trovate "Ha studiato con" o "Allievo di ...", beh, sappiate che nelle Accademie è quasi sempre così. L'Artista, se mai lo si vede, entra nel suo studio a lavorare e degli "allievi" non conosce nulla, neanche il nome. Allievo di: significa che è stato da quelle parti, quasi sempre null'altro. Sapevatelo. :)
 
All'epoca dei primi referendum si andava a raccogliere qualche finanziamento dagli artisti, che allora vendevano e guadagnavano. Andai dunque, giovane di belle speranze, a cercare Emilio Vedova nel suo studio in Venezia. Passato il filtro di alcuni segretari o aiutanti fui recato al suo cospetto: stava dipingendo un quadrone con gran pennellate di nero e qualche pennellatuccia di rifinitura.
Per la verità mi squadrò appena, come si guarda ai noiosi mendicanti che nel loro giro passano regolarmente al tuo cancello. Si chinò verso di me, sembravamo Mefistofele (lui) che dialoga con un Faust abbastanza annichilito. Mi chiese che volevo, lo sventurato rispose. Poi disse qualcosa che poté essere un "Va bene" e fece portare da uno di quei valletti, o assistenti, un manifesto arrotolato di una sua mostra: il manifesto rappresentava per intero un suo quadro.
Nemmeno lo firmò. Si pensi che allora era il momento clou della grafica, quando litografia e acquaforte erano termini indicanti preziose tecniche, numerazioni, firme autentiche. E vendite sicure. Ma un manifesto non valeva nulla (adesso poco, comunque). E mi congedò. Quello fu il mio unico incontro con Vedova, tanto si capì che non si sarebbe riuscito a tirargli fuori un ragno dal buco.
 
Non ho mai conosciuto personalmente artisti. Sembra che camminino a un metro da terra, irragiungibili, e se scrivi agli indirizzi che trovi in rete al massimo ti risponde qualche segretaria. Però quando mi sono avvicinato a questo mondo sono entrato in molte gallerie e in molte fiere di arte contemporanea allo scopo di capire come funziona questo mondo. Loro invece di informazioni ne forniscono tante dato che il loro scopo è vendere. Devo dire che salvo casi che si contano su una sola mano ho sempre trovato persone che trattavano le opere d'arte solo come merce da cui trarre un profitto. Purtroppo devo anche dire che spesso più che essere preparati in materia avevano una certa conoscenza del mercato (valori commerciali con riferimento alle correnti). Al momento ricordo una sola galleria di Milano, specializzata nella grafica antica, la cui proprietaria aveva un grande e sincero amore per l'arte, e io la ritenni doppiamente grande dato che se vendi poi ti devi liberare di ciò che ami. Naturalmente non dico che fosse la sola, ce ne saranno sicuramente altre, ma per la gran parte ebbi questa impressione e non fu certo errata. Oggi visito molto meno fiere e gallerie ma non credo che sia cambiato molto.
 
Non ho mai conosciuto personalmente artisti. Sembra che camminino a un metro da terra, irragiungibili, e se scrivi agli indirizzi che trovi in rete al massimo ti risponde qualche segretaria. Però quando mi sono avvicinato a questo mondo sono entrato in molte gallerie e in molte fiere di arte contemporanea allo scopo di capire come funziona questo mondo. Loro invece di informazioni ne forniscono tante dato che il loro scopo è vendere. Devo dire che salvo casi che si contano su una sola mano ho sempre trovato persone che trattavano le opere d'arte solo come merce da cui trarre un profitto. Purtroppo devo anche dire che spesso più che essere preparati in materia avevano una certa conoscenza del mercato (valori commerciali con riferimento alle correnti). Al momento ricordo una sola galleria di Milano, specializzata nella grafica antica, la cui proprietaria aveva un grande e sincero amore per l'arte, e io la ritenni doppiamente grande dato che se vendi poi ti devi liberare di ciò che ami. Naturalmente non dico che fosse la sola, ce ne saranno sicuramente altre, ma per la gran parte ebbi questa impressione e non fu certo errata. Oggi visito molto meno fiere e gallerie ma non credo che sia cambiato molto.
Queste tue osservazioni mi riportano agli inizi della mia avventura parigina. Arrotondavo la paghetta familiare con certi servizi presso le gallerie di grafica, e fu proprio il mio committente ad informarmi a proposito di una prima parte della realtà locale. Mi indicò come ottima fonte due gallerie che come comportamento erano agli antipodi. Una era l'ancor oggi famoso P.Proutè, forse la più importante galleria d'Europa, che aveva davvero di tutto e vendeva con la stessa disinvoltura un Picasso come un Quaquaraquà, quasi sempre comunque a prezzi abbastanza "pieni". Al "grande" Proutè, come detto tuttora sulla cresta dell'onda (oggi vi sono i discendenti), si contrapponeva sul lungo Senna, presso Notre Dame, la piccola galleria R & G Michel, due fratelli figli del fondatore, che fin da piccoli avevano avuto ospiti in casa i vari Matisse Vuillard ecc., in quanto la galleria aveva anche operatività editoriale, ed aveva altresì rilevato l'attività di altri notevoli editori non più attivi.
Vengo al punto: come il mio informatore aveva correttamente anticipato, i due fratelli soffrivano le pene dell'inferno quando dovevano vendere qualche pezzo importante, e preferivano senz'altro guidare il cliente verso opere di media o minima importanza (criteri tutti relativi, visto che da loro comprai per 2/3 mila lire - come oggi sarebbe 15/20 euro - ottime piccole grafiche di Félicien Rops, per esempio.)
Questa loro "fobia" andava rispettata, e, comprando da loro, era opportuno avere la delicatezza di non privarli, se non eccezionalmente, di pezzi aventi gran peso. Peraltro, si difendevano anche spazialmente, visto che i grossi calibri li tenevano in una oscura stanza posteriore, dove, per avere in visione qualcosa, occorreva farne esplicita richiesta - invece nella zona anteriore le cartelle erano tenute a vista.
Certo, il braccino corto aveva in loro origini commerciali (la difficoltà a procurarsi pezzi storici con l'abbondanza di un tempo), però chi può escludere anche una forma di gelosia amorosa verso questi capolavori, che io stesso vidi solo in minima parte, non essendo pronto per acquisti così sostanziosi?
Per chi fosse interessato, avendo i due fratelli lasciato questo povero mondo da mo', ed essendo subentrata la loro pignolissima figlia col suo flemmatico marito, cui di tutto questo sembra non importi proprio nulla ( se sono ancora lì) la galleria Michel è tuttora attiva, e vende rari pezzi miracolosi insieme a miserevoli economicissime riproduzioni, che però i turisti acquistano col sorriso sulle labbra convinti di aver strappato l'affarone. Non ne faccio loro una colpa, se convinti che per comprare una cosa bbbuona occorre meritarsela ... :) Una volta a Parigi, vanno comunque visitati.
 
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Con Mario de Micheli, che era critico di sinistra assai conosciuto, abbiamo cenato una volta a Venezia, introdotti dal comune amico pittore Anselmo Francesconi ("Anselmo") Gianfranco Quaresimin ed io. De Micheli non rinunciava a darsi importanza, e soprattutto quando parlava si volgeva verso l'alto come a trarre ispirazione da qualche aiutante celeste, pur essendo lui un comunista giurato. Noi lo si prendeva silenziosamente in giro per questo, in quanto eravamo in pieno post-sessantotto, e secondo noi i miti e la falsa cultura erano da distruggere. Glielo dicemmo, anche, e il brav'uomo inorridì, non potendo ammettere per un momento che tutto il patrimonio della cultura dominante potesse venire messo spietatamente in discussione, se non eliminato proprio. Gli parlammo di quadri distrutti e mostre senza importanza, e non riusciva a raccapezzarsi che i giovani potessero negare tutta quella che per lui era cultura, per noi solo fuffa vuota.
Ovviamente aveva ragione lui e avevamo ragione anche noi, e in questo sta la drammaticità nel susseguirsi delle generazioni. Non lo rividi mai più.
 

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