i dati Facebook della Casaleggio arrivano in Parlamento

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Interrogazione ed esposto al Garante per la privacy: i dati Facebook della Casaleggio arrivano in Parlamento

I due articoli sulla casa madre del grillismo e le rivelazioni dell’ex dipendente, Marco Canestrari, sui metodi di accesso ai dati di utenti Facebook, sono finiti sotto la lente di ingrandimento delle due Camere. Adesso si attendono risposte dal Governo e dal presidente del Consiglio


Interrogazione ed esposto al Garante per la privacy: i dati Facebook della Casaleggio arrivano in Parlamento - Linkiesta.it

Lo scoop de Linkiesta è arrivato in Parlamento.
E non solo tramite smartphone e device dei vari politici, ma per vie istituzionali: un’interrogazione parlamentare e un esposto al Garante per la privacy sono infatti stati presentati dall’Onorevole di Italia Viva Michele Anzaldi.
Nella lettera si chiede di sapere quali iniziative il Governo e il presidente del Consiglio intendano intraprendere per appurare se davvero in questa vicenda abbia avuto un ruolo «Pietro Dettori, fino a poche settimane fa dipendente di Palazzo Chigi e oggi collaboratore presso il ministero degli Esteri del ministro Luigi Di Maio».
Ma soprattutto, tra le righe del testo si tende a sottolineare il «grave abuso che potrebbe aver colpito non si sa quanti cittadini italiani».

Insomma, le rivelazioni dell’ex dipendente della Casaleggio Associati, Marco Canestrari, sui metodi, utilizzati in occasione degli scontri elettorali, di accesso irregolare ai dati di utenti Facebook, anticipando così un sistema che poi su larga scala sarebbe stato usato da Cambridge Analytica, hanno colpito la macchina quasi perfetta che si nasconde dietro il Movimento 5 Stelle. O se non altro, hanno confermato quanto di sospetto Antonello Soro, Garante per la privacy, ha tentato a più riprese di portare alla luce. «Parliamo di un gruppo che è già stato condannato in passato per situazioni analoghe» spiega Anzaldi. «Questo non è un dettaglio. In forza anche del fatto che le volte precedenti, e si parla di pochi mesi fa, la questione si è conclusa con una multa».

Bombardare gli utenti con messaggi personalizzati può portare a un lavaggio del cervello. Come in qualsiasi commercio o pubblicità: sono scienze commerciali, scienze esatte

Michele Anzaldi
Siamo a fine 2017 quando lo stesso Soro commina una lieve sanzione e indica l’adozione di alcune misure “necessarie e opportune” per rendere il trattamento dei dati degli utenti conforme alla legge. A quasi due anni di distanza, dopo concessioni e proroghe, fin troppo flessibili, le promesse con le quali Casaleggio assicurava la risoluzione definitiva dei “profili di criticità” si rivelano promesse da marinaio E così il 4 aprile 2019 il Garante per la privacy sanziona la casa madre del grillismo con una multa di 50 mila euro.
Il motivo? Non essere in possesso delle “adeguate garanzie di riservatezza agli iscritti” e per non aver assicurato “l’adeguata protezione dei dati personali relativi alle votazioni online”, per aver condiviso “le credenziali di autenticazione” e via dicendo, un sfilza di handicap la cui sintesi è una fabbrica di dati personali pronti all’uso e di conseguenza un archivio di utenti profilati da far invidia alla Cia. In altre parole, quanto di più vero fatto emergere da Nicola Biondo nel suo articolo.

«Bombardare gli utenti con messaggi personalizzati può portare a un lavaggio del cervello. Come in qualsiasi commercio o pubblicità: sono scienze commerciali, scienze esatte. E quello che avete scoperto è doppiamente grave, perché non comprende solo chi aderisce o ha aderito al Movimento 5 Stelle, ma comprende anche me, inteso come amico o collegamento Facebook di quellutente al quale hanno preso e schedato tutto» conclude l’Onorevole di Italia Viva.
Per pura coincidenza, Casaleggio - alla fin fine - della multa dello scorso aprile ha pagato nell’immediato 25mila euro (la metà), sconto concesso a chi dichiara di avere adempiuto alle prescrizioni e si impegna a rinunciare a qualsiasi ricorso o opposizione. Oltre a passare come un’ammissione di colpa, sarà poi lo stesso Casaleggio, tramite i documenti intercorsi con il Garante, a confermare di avere torto. Chissà, quindi, se anche questa volta si consumerà lo stesso epilogo.
 
Casaleggio smentisce lo scoop de Linkiesta, ma in realtà conferma tutto (fate girare!!!)
Dopo che ieri abbiamo svelato come il blog di Grillo nel 2013 raccoglieva dati personali su Facebook anche all’insaputa degli utenti, prima di Cambridge Analytica, l’erede del fondatore del Movimento ha annunciato querela. Ma ecco la prova che la srl accedeva ai dati all’insaputa degli utenti

Casaleggio smentisce lo scoop de Linkiesta, ma in realtà conferma tutto (fate girare!!!) - Linkiesta.it

Davide Casaleggio conferma tutto. Tutto quello che ieri Linkiesta ha rivelato.
Lo fa con una nota stampa che nelle intenzioni avrebbe voluto essere una smentita, ma che in realtà è una piena conferma del nostro articolo.
Ieri Linkiesta, sulla base di una ricerca compiuta da Marco Canestrari, ex braccio destro di Gianroberto Casaleggio, ha raccontato che dal 2013, mediante un’applicazione di Facebook, la Casaleggio Associati ha avuto accesso ai dati degli utenti della piattaforma di Menlo Park.
Il paragone con lo scandalo di Cambridge Analytica è del tutto evidente per almeno due motivi: il primo è che la srl milanese chiedeva a chi usufruiva della app di accedere a tutti i dati consentiti, dall'indirizzo email fino al luogo di nascita, quello di residenza e l’orientamento politico e religioso; il secondo è che Casaleggio accedeva anche alla lista degli amici dell’utente e alle loro informazioni personali, senza il consenso diretto degli amici. Insomma venivano profilati non solo gli “attivisti”, ma anche gli amici degli “attivisti” dei Cinque stelle.

La smentita che conferma la nostra inchiesta recita così: «È stato comparato un caso in cui sono stati utilizzati milioni di dati senza il consenso degli utenti, a un caso profondamente diverso in cui legittimamente un sito chiedeva individualmente alle singole persone di poter utilizzare alcuni dati per verificare la propria classifica di attivismo (es. per aver cambiato la propria immagine di Facebook, o avere tanti amici che utilizzavano l’app)».


Marco Canestrari ha dimostrato il contrario: «Il comunicato mente più volte. Mente quando dice che l’app chiedeva alle singole persone di utilizzare i dati. No, l’app consentiva alla Casaleggio di utilizzare anche i dati personali degli amici di Fb di chi l’aveva utilizzata. E a questi amici nessuno ha mai chiesto il consenso». Continua Canestrari: «Casaleggio conferma di aver raccolto i dati e dice di averli cancellati. Ciò significa che non potremo mai sapere quante persone sono state profilate. Se, come dice, l’app serviva a cambiare l’immagine del profilo Facebook o a vedere quanti amici la utilizzavano, che senso aveva chiedere tutte quelle informazioni, sull’orientamento religioso o sul luogo di nascita e residenza? La risposta è nessuna: Casaleggio profilava anche utenti ignari».

A confermare la tesi di Canestrari è l’informativa privacy allegata all’app dove è la stessa Casaleggio Associati ad ammettere l’accesso ai dati dei soggetti terzi. All’articolo 3 dell’informativa si legge: «Qualora fra i dati conferiti dall’Utente ve ne fossero di pertinenza di soggetti terzi, l’Utente si rende garante nei confronti del sig. Grillo dell’ottenimento del consenso degli stessi per la raccolta ed il trattamento di dati da parte dello stesso sig. Grillo secondo quanto previsto dalle relative Condizioni di Utilizzo». Qui è possibile leggere il testo dell'informativa.

Insomma, chi utilizzava l’app doveva garantire di informare i suoi amici che quell’operazione avrebbe reso visibili alla Casaleggio i loro dati, dall’orientamento politico a quello religioso, al luogo di residenza.

Chi utilizza un’app non può avere nessun obbligo verso terzi. Il legalese usato dal comunicato della Casaleggio è privo di qualsiasi appiglio giuridico, secondo Perri

Secondo il professore Pierluigi Perri dell’Università di Milano, tra i più noti esperti italiani di data protection, «è certamente insolito che un’informativa, nata per l’appunto per “informare” l’interessato in merito al trattamento che verrà effettuato dal titolare, stabilisca poi in una clausola l’obbligo per l’interessato di rendersi garante dell’ottenimento del consenso da parte di terzi. Questo tipo di clausole infatti interviene tipicamente nei contratti tra titolari o tra titolari e responsabili, ma non nelle informative tra titolare e interessato».

Chi utilizza un’app non può avere nessun obbligo verso terzi. Il legalese usato dal comunicato della Casaleggio è privo di qualsiasi appiglio giuridico, secondo Perri: «Non si comprende su che basi i terzi potrebbero essere stati informati previamente del fatto che i loro dati sarebbero stati trasferiti al sig. Grillo. Nemmeno si capisce come il Sig. Grillo possa iniziare a raccogliere i dati dei terzi senza prima aver ottenuto il loro consenso, ma solo basandosi sulla garanzia che un interessato avrebbe, presumibilmente in un secondo momento, ottenuto il consenso».

La smentita che conferma tutto però aumenta gli interrogativi invece di risolverli. Quanti cittadini sono stati profilati anche a loro insaputa?

Davide Casaleggio, il quale ha già ricevuto una pesantissima multa dal Garante della privacy per non aver saputo gestire la messa in sicurezza dei dati di cui era in possesso, sostiene dunque che sarebbe scorretto paragonare la sua raccolta di dati con quella fatta da Cambridge Analytica. Ma, in realtà, è stato esattamente a causa di quello scandalo che poi Facebook ha deciso di non consentire più la possibilità di chiedere agli utenti quelle informazioni, proprio quelle che Casaleggio nel 2013 ha iniziato a ottenere non solo da chi ha utilizzato l’app, ma anche da utenti Facebook che ignoravano la cessione dei loro dati.

Nonostante questa evidenza, la nota del fondatore del Movimento annuncia di aver proceduto «a tutelare la propria reputazione per vie legali già nella giornata di oggi nei confronti de Linkiesta».

La smentita che conferma tutto però aumenta gli interrogativi invece di risolverli. Perché Casaleggio ha deciso di raccogliere tutti quei dati se l’obiettivo era «cambiare l'immagine di Fb o vedere quanti amici di un attivista utilizzavano l’app»?
Ma soprattutto non c’è ancora risposta alla domanda principale: quanti cittadini sono stati profilati anche a loro insaputa?

 

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