Il conto salato di scommesse avventate

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Il conto salato di scommesse avventate
Alfonso Tuor

Si potrebbe definire la cronaca di una notizia annunciata la comunicazione che il Credit Suisse prevede una perdita netta di almeno 3 miliardi di franchi nell’ultimo trimestre di quest’anno e che sopprimerà 5.300 posti di lavoro, dei quali 650 in Svizzera. Non vi è sorpresa per due motivi. In primo luogo, era noto che le posizioni a rischio del CS non riguardavano le attività collegate con il segmento residenziale del mercato immobiliare americano, che sono state le prime risucchiate dal vortice della crisi, ma il segmento commerciale e soprattutto le operazioni collegate con i fondi Private Equity, ossia il finanziamento e la successiva cartolarizzazione delle scalate societarie di questi fondi.
Nella prima fase della crisi, iniziata l’estate dell’anno scorso, il Credit Suisse ha potuto quindi limitare le perdite ed evitare di essere al centro dell’attenzione, che era invece occupata stabilmente dalle perdite miliardarie di UBS.
Ora la tormenta ha investito in pieno l’economia reale e quindi tocca sia il segmento dell’immobiliare commerciale sia soprattutto i «fantasiosi» piani finanziari e industriali, sulla base dei quali i fondi Private Equity (Cerberus, Carlyle, Blackstone, ecc.), da alcuni definiti i nuovi «padroni dell’universo», disponevano di enormi linee di credito con le quali scalare società anche di grandi dimensioni. La chiusura di fatto del mercato dei capitali ha impedito al CS di cartolarizzare ingenti crediti (ossia di impacchettarli in obbligazioni e di venderli) e, d’altro canto, la recessione americana ha aumentato esponenzialmente il rischio di alcuni di questi prestiti.
In secondo luogo, non è un segreto che nel terzo trimestre di quest’anno la seconda banca svizzera ha perso alcuni miliardi in operazioni di trading condotte con il capitale proprio e che altri miliardi sono stati persi in ottobre e in novembre.
Anche il CS è un enorme Hedge Funds, che usa i mezzi propri per giocare sui mercati finanziari, fino a poco tempo fa con una leva di 30. Ciò vuol dire che per ogni franco di capitale proprio ne prendeva a prestito 30 da terzi per moltiplicare l’entità delle proprie scommesse. Quando le scommesse si rivelano azzeccate, i guadagni vengono moltiplicati, quando però si rivelano sbagliate, le perdite a venir moltiplicate. È capitato al CS, che ieri si è affrettato a comunicare di aver diminuito del 34% da inizio trimestre e del 60% da inizio anno il «valore a rischio» (VaR) sottostante a un giorno delle operazioni di trading con i mezzi propri. La banca non ha voluto fornire cifre sull’entità dei mezzi propri utilizzati quotidianamente per le operazioni di trading. Ha invece comunicato di voler ridurre entro la fine di quest’anno le attività ponderate per il rischio a 170 miliardi di dollari. Tra queste figurano linee di credito ad Hedge Funds, finanziamenti a fondi Private Equity e così via.
Queste attività a forte rischio, soprattutto nel contesto attuale, potrebbero creare ulteriori problemi al Credit Suisse. Vi è da augurarsi che ciò non accada e soprattutto che il CS non sia costretto a chiedere l’intervento dello Stato come ha fatto UBS. Il presidente del Consiglio di Amministrazione ieri ha voluto rassicurare in merito: vedremo se l’evoluzione dei prossimi mesi confermerà questa previsione.
Proprio ieri il consigliere federale Hans-Rudolf Merz ha dichiarato che c’è un limite ai pacchetti federali di aiuto alle banche e che la Svizzera non può contribuire molto più di quanto sta già facendo. Questa è la realtà, anche se non piace.
Le perdite accusate dal Credit Suisse nelle operazioni di trading indicano che il top management della banca (come quello di altri istituti) ha sbagliato nel prevedere una rapida fine di questa crisi. Questa difficoltà di leggere la realtà, oltre le contingenze di breve termine alla base della politica dei bonus milionari, è preoccupante. Questa interpretazione è confortata dal fuoco di sbarramento messo in campo in un primo momento dalle due grandi banche contro la proposta delle autorità svizzere di aumentare il rapporto tra mezzi propri e somma di bilancio (il «leverage ratio»). Ieri UBS e CS hanno finalmente accettato di portarlo al 3% entro il 2013. Questo accordo, che migliorerà la capitalizzazione dei due istituti, ne ridurrà però la redditività, già messa a dura prova dagli effetti della crisi e da un contesto di mercato completamente diverso da quello di alcuni anni fa. Anche per questi motivi è purtroppo prevedibile che i tagli dei posti di lavoro annunciati ieri dal Credit Suisse non rimarranno isolati.

05.12.08 07:48:45
 

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