melodia
Forumer storico
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"E' sbagliato che un animale da fattoria viva bene, che la sua esistenza si concluda con una morte indolore e che venga poi usato per nutrire degli esseri umani? Molte persone risponderebbero che non lo e'. Io invece ritengo che valga la pena di chiedersi, per prima cosa, con che criterio si stabilisce che cosa significhi vivere bene per un animale da fattoria. Naturalmente abbiamo tutti una certa idea di che cosa potrebbe significare. Tuttavia, a parte i difensori dell'industria, pochi sarebbero pronti a sostenere che una comune mucca da latte conduca una vita felice. Pensiamo a una mucca a cui sono sotratti i vitelli alla nascita, e che poi viene munta intensivamente per alcuni anni. E' mantenuta costantemente gravida per garantire una produzione continua di latte, ma non le viene permesso di tenere il suo vitellino. Alla fine, invecchiata prima del tempo, quando la sua utilita' e' in declino, viene uccisa, ben prima di aver raggiunto il termine naturale della sua esistenza.
Si puo' dire che questa mucca ha condotto una vita felice?"
"Se credete che una mucca non ripensi mai al proprio vitello, chiedete a qualsiasi allevatore per quanto tempo un vitellino appena nato e sua madre si chiamano a vicenda. Un allevatore mi ha detto che finche' possono vedersi gridano fino a perdere la voce, senza sosta."
"Sono convinto che sia sbagliato allevare animali per mangiarli. Credo che non interessi a nessuno far "vivere bene" un animale se l'obiettivo finale e' farlo finire in tavola come pietanza. E' troppo facile barare, e' troppo invitante fingere di ignorare che cosa determini il benessere di ciascun animale."
"Ho constatato che, a tavola, quando dico che sto scrivendo un libro sulla vita emotiva degli animali d'allevamento, i miei commensali mi guardano con un sorriso strano, come se avessi detto qualcosa di ridicolo. [...] La questione non e' "che cosa", ma "chi" state mangiando. Una sofferenza su cosi' vasta scala puo' essere forse considerata un argomento ridicolo? [...] Perche' in genere si considera ridicolo sottolineare che ognuno di questi animali uccisi ha avuto una madre, presumibilmente dei fratelli e, di certo, alcuni sono stati compianti da un genitore, oppure un amico che ne ha sentito la mancanza? Anche se erano stati allevati per essere uccisi, questo non ha modificato la loro capacita' emotiva. Avevano ricordi, soffrivano e provavano dolore. Non ha alcun senso fare una graduatoria comparata della sofferenza dando molto peso all'"essere umano" e poco agli animali. Preoccuparsi di un tipo di sofferenza non significa che non si debba avere alcun interesse per le altre,
o che una sia piu' significativa e terribile di un'altra."
"E' opinione comune che gli animali da fattoria non esisterebbero neppure, se noi non li allevassimo: quindi per loro e' meglio condurre una vita da reclusi piuttosto che non vivere affatto. Spesso si afferma che animali come mucche, maiali, pecore, capre, polli, anatre e oche traggono vantaggio dal semplice fatto che gli e' permesso di esistere. Roger Scruton, filosofo britannico e appassionato di caccia alla volpe, fa, per esempio, una curiosa constatazione: -Gli animali giovani vengono macellati senza alcun rimorso fin dalle origini della storia-, come se la schiavitu', il razzismo e i maltrattamenti sulle donne non risalissero anch'essi alle origini della storia. Da quando il protrarsi nel tempo di una pratica le conferisce dignita' morale? -Gran parte degli animali che pascolano nei nostri campi- prosegue Scruton -sono li' perche' noi li mangiamo-. Potrebbero essere li' comunque, a pascolare nei campi di un rifugio, se non li mangiassimo; soltanto, sarebbero molti meno. Da un punto di vista filosofico, non puo' essere valido affermare che qualcuno o qualcosa deve la propria esistenza alla nostra brama di sfruttamento, come se questo ci conferisse uno speciale diritto morale".
"Quando pensiamo agli animali da fattoria, e' importante ricordare che lo scopo della loro esistenza e' quasi interamente determinato dalla loro morte o dallo sfruttamento. Esistono per morire o per essere usati. Li alleviamo per ucciderli o per trarne vantaggio, non per dargli la possibilita' di condurre la vita felice cui sarebbero destinati. Nessuna chiacchiera filosofica puo' fraci superare questo scoglio inamovibile: possiamo chiamarla slealta' umana?"[/center:ed96f2202e]
![il%20maiale.jpg](http://shop.vegetariani.it/images/il%20maiale.jpg)
"E' sbagliato che un animale da fattoria viva bene, che la sua esistenza si concluda con una morte indolore e che venga poi usato per nutrire degli esseri umani? Molte persone risponderebbero che non lo e'. Io invece ritengo che valga la pena di chiedersi, per prima cosa, con che criterio si stabilisce che cosa significhi vivere bene per un animale da fattoria. Naturalmente abbiamo tutti una certa idea di che cosa potrebbe significare. Tuttavia, a parte i difensori dell'industria, pochi sarebbero pronti a sostenere che una comune mucca da latte conduca una vita felice. Pensiamo a una mucca a cui sono sotratti i vitelli alla nascita, e che poi viene munta intensivamente per alcuni anni. E' mantenuta costantemente gravida per garantire una produzione continua di latte, ma non le viene permesso di tenere il suo vitellino. Alla fine, invecchiata prima del tempo, quando la sua utilita' e' in declino, viene uccisa, ben prima di aver raggiunto il termine naturale della sua esistenza.
Si puo' dire che questa mucca ha condotto una vita felice?"
"Se credete che una mucca non ripensi mai al proprio vitello, chiedete a qualsiasi allevatore per quanto tempo un vitellino appena nato e sua madre si chiamano a vicenda. Un allevatore mi ha detto che finche' possono vedersi gridano fino a perdere la voce, senza sosta."
"Sono convinto che sia sbagliato allevare animali per mangiarli. Credo che non interessi a nessuno far "vivere bene" un animale se l'obiettivo finale e' farlo finire in tavola come pietanza. E' troppo facile barare, e' troppo invitante fingere di ignorare che cosa determini il benessere di ciascun animale."
"Ho constatato che, a tavola, quando dico che sto scrivendo un libro sulla vita emotiva degli animali d'allevamento, i miei commensali mi guardano con un sorriso strano, come se avessi detto qualcosa di ridicolo. [...] La questione non e' "che cosa", ma "chi" state mangiando. Una sofferenza su cosi' vasta scala puo' essere forse considerata un argomento ridicolo? [...] Perche' in genere si considera ridicolo sottolineare che ognuno di questi animali uccisi ha avuto una madre, presumibilmente dei fratelli e, di certo, alcuni sono stati compianti da un genitore, oppure un amico che ne ha sentito la mancanza? Anche se erano stati allevati per essere uccisi, questo non ha modificato la loro capacita' emotiva. Avevano ricordi, soffrivano e provavano dolore. Non ha alcun senso fare una graduatoria comparata della sofferenza dando molto peso all'"essere umano" e poco agli animali. Preoccuparsi di un tipo di sofferenza non significa che non si debba avere alcun interesse per le altre,
o che una sia piu' significativa e terribile di un'altra."
"E' opinione comune che gli animali da fattoria non esisterebbero neppure, se noi non li allevassimo: quindi per loro e' meglio condurre una vita da reclusi piuttosto che non vivere affatto. Spesso si afferma che animali come mucche, maiali, pecore, capre, polli, anatre e oche traggono vantaggio dal semplice fatto che gli e' permesso di esistere. Roger Scruton, filosofo britannico e appassionato di caccia alla volpe, fa, per esempio, una curiosa constatazione: -Gli animali giovani vengono macellati senza alcun rimorso fin dalle origini della storia-, come se la schiavitu', il razzismo e i maltrattamenti sulle donne non risalissero anch'essi alle origini della storia. Da quando il protrarsi nel tempo di una pratica le conferisce dignita' morale? -Gran parte degli animali che pascolano nei nostri campi- prosegue Scruton -sono li' perche' noi li mangiamo-. Potrebbero essere li' comunque, a pascolare nei campi di un rifugio, se non li mangiassimo; soltanto, sarebbero molti meno. Da un punto di vista filosofico, non puo' essere valido affermare che qualcuno o qualcosa deve la propria esistenza alla nostra brama di sfruttamento, come se questo ci conferisse uno speciale diritto morale".
"Quando pensiamo agli animali da fattoria, e' importante ricordare che lo scopo della loro esistenza e' quasi interamente determinato dalla loro morte o dallo sfruttamento. Esistono per morire o per essere usati. Li alleviamo per ucciderli o per trarne vantaggio, non per dargli la possibilita' di condurre la vita felice cui sarebbero destinati. Nessuna chiacchiera filosofica puo' fraci superare questo scoglio inamovibile: possiamo chiamarla slealta' umana?"[/center:ed96f2202e]