86.
Il comitato dei Meli emise questo verdetto: «La correttezza leale della vostra offerta, di chiarire serenamente
tra noi le varie posizioni, non si discute: ma stride, a nostro giudizio, con l'apparato bellico che già ci minaccia, pronto a
mettersi in moto. Voi v'imponete ai nostri occhi in aspetto di arbitri del dibattito non ancora avviato. E ci prefiguriamo
il suo esito, com'è facile del resto: se trionferanno le nostre ragioni di giustizia, ispirandoci fermezza, ci toccherà la
guerra. Cedendo, la schiavitù.»
87.
Ateniesi: «Attenti a voi. Se organizzate il convegno per scrutare con sospettosi ragionamenti l'avvenire o con
altri intenti, non per vagliare alla concreta luce dei casi attuali il vostro stato, e risolvervi a destinare la vostra città ad un
sereno futuro, possiamo anche tagliare corto. Ma se la salvezza della vostra gente vi sta a cuore, apriamo pure il
dibattito.»
88.
Meli: «Usateci comprensione: è umano che chi posa così sulle spine, orienti e sbrigli in mille direzioni le sue
fantasie e le sue ansie. Ma statene certi: ci si raccoglie per provvedere alla vita del nostro stato, e si proceda pure a
discutere, con le regole che avete indicato.»
89.
Ateniesi: «D'accordo. Dal canto nostro rinunciamo all'armamentario fastoso dell'eloquenza, alla retorica
interminabile di quei discorsi celebrativi che non danno frutto. Sicché non ribadiremo che per avere demolito la
prepotenza persiana, rifulge per noi il diritto all'impero, o che la nostra attuale campagna è la replica a un attentato
inferto al nostro onore. Ma si pretende qui che neppure voi tentiate di piegarci giustificando il vostro rifiuto di fornire
leve all'armata con la circostanza che siete coloni di Sparta, o soggiungendo che nei nostri riguardi siete innocenti e
puri. Sentite: sforziamoci di restringere le ipotesi di compromesso nei confini del realizzabile, attingendole ciascuno ai
principi più autentici cui ispira, di norma, la sua condotta. Siete consapevoli quanto noi che i concetti della giustizia
affiorano e assumono corpo nel linguaggio degli uomini quando la bilancia della necessità sta sospesa in equilibrio tra
due forze pari. Se no, a seconda; i più potenti agiscono, i deboli si flettono.»
90.
Meli: «È nostro avviso, almeno che a proposito d'interesse (già ormai è questa l'espressione da usarsi, poiché
voi avete subito accordato il dibattito su questo tono dell'utile ignorando quello di giustizia) non vi convenga annullare
le riflessioni che concernono il vantaggio comune, e che sia ragionevole concedere a chiunque, quando si dibatta in un
rischioso frangente, i diritti che gli spettano se non altro in quanto creatura umana: tra l'altro, che possa perlomeno
aspirare alla salvezza, avvalendosi, pur senza perfetto ossequio alle severe regole del ragionare, degli argomenti che
meglio crede. Considerazione che vi tocca più da vicino di chiunque altro, poiché nell'eventualità di una disfatta vi
scolpireste esempio eterno nella memoria dei popoli, per l'atrocità sanguinosa della vostra pena.»
91.
Ateniesi: «Piano. Non ci sgomenta la decadenza della nostra signoria, se mai tramonterà. Non è chi domina su
altre genti, come ad esempio Sparta, la sorgente più viva di terrore per i vinti (e noi, tra l'altro, non siamo in conflitto
con Sparta); i soggetti piuttosto devono incutere l'angoscia quando se mai con spontaneo slancio rovesciano il potere di
chi li tiene a freno. Ma conviene che è affar nostro vedercela con questo rischio. Per ora siamo qui a documentare due
circostanze: primo, che il nostro intervento si ripromette un utile per il nostro dominio; secondo che con le offerte sul
tappeto mostreremo la volontà politica di salvaguardare la sicurezza del vostro stato. Intendiamo praticare su di voi un
governo libero da ansie e da rischi, e impiegare integre le vostre forze per un comune profitto.»
92.
Meli: «E come potrebbero collimare i nostri interessi, noi fatti schiavi, voi a dominarci?»
93.
Ateniesi: «A voi toccherebbe la fortuna di vivere sudditi, prima di soffrire il castigo più crudele: e per noi
sarebbe un guadagno non avervi annientati.»
94.
Meli: «Non sareste paghi della nostra neutralità, se invece di brandire le armi resteremo amici?»
95.
Ateniesi: «No. Per noi è minaccia più pericolosa la vostra amicizia che il vostro odio aperto: la prima
proporrebbe agli occhi degli altri sudditi un esempio di fiacchezza da parte nostra, il rancore invece rammenterà sempre
viva la nostra potenza.»
138
96.
Meli: «Sicché i vostri sudditi possiedono un tale concetto di equità, da assegnare senza discrezione l'identico
ruolo nel mondo a chi non ha legami di sudditanza con voi, e ai molti su cui pesa il vostro pugno, tra i quali i più sono
coloni e altri son quelli che tentarono la rivolta?»
97.
Ateniesi: «Sono anzi convinti che né agli uni né agli altri facciano difetto le ragioni per sostenere la propria
causa, e che alcuni appunto si garantiscono questo diritto di libertà con la potenza, mentre noi intimiditi da essa
scegliamo di non aggredirli. Dunque lasciamo stare che la vostra conquista ci assicurerà una signoria più estesa:
renderete più solida la nostra posizione considerando il fatto che non riuscireste mai voi, forza isolana non certo tra le
più potenti, a soverchiare i dominatori del mare.»
98.
Meli: «E non vedete che per voi la sicurezza è là, in quell'altra politica? È per noi pure urgente, ancora una
volta, prendere a modello il contegno vostro, la costrizione cioè a scartare i temi del diritto per farci curvare a forza la
fronte davanti all'idolo della vostra convenienza, e illustrarvi quale sarebbe l'utile per noi, nell'intento, se mai la fortuna
sceglie che coincida con il vostro sperato guadagno, d'indurvi ad accettarlo. Tutti gli stati che attualmente non sono
iscritti a nessuna lega, credete voi che non prepareranno ostili le armi, quando riflettendo sul nostro destino temeranno
di ora in ora che vibriate loro il primo assalto? E non sarà un accrescere, con le vostre mani, le potenze che già vi
sfidano? E un colpo di sproni a giurarvi odio, in chi ancora se ne vive in disparte, e vuol star tranquillo?»
99.
Ateniesi: «Non ci pare che la minaccia di costoro incomba tanto grave. È gente di terra, sparsa per il
continente: vivono liberi, e correrà gran tempo prima che avvertano seriamente l'obbligo di mettersi in guardia contro di
noi! Gli isolani, piuttosto, ci fanno tremare, quelli sì! Non solo quelli che, come voi, chi su un'isola, chi su un'altra, non
soffrono nessun giogo, ma quelli che, esacerbati, già mordono il freno del nostro impero. Poiché costoro, in uno scatto
folle e senza speranza, potrebbero coinvolgerci in una caduta verso ben prevedibili abissi.»
100.
Meli: «Ebbene, come voi per non vedervi strappata la vostra sovranità, così gli altri che già servono si
affacciano a un così cieco precipizio pur d'abbatterla, non sarebbe prova di spirito vile se noi che godiamo ancora
l'indipendenza non ci studiassimo con ogni sforzo di tenercela stretta, di non cambiarla con i ceppi?»
101.
Ateniesi: «Nessun indizio di bassezza, se almeno vi ispirate alla ragione. Non è una contesa questa, per voi, in
cui confrontarsi a parità di forze e farsi onore. Lo scotto da pagare non è qui la fama di viltà. Urge piuttosto provvedere
con prudenza alla vita, senza provocare un nemico troppo più poderoso.»
102.
Meli: «Eppure è noto che talvolta le sorti della guerra si orientano verso equilibri che le rispettive potenze in
campo non lascerebbero mai supporre. Sicché per noi fletter subito il capo significa precluderci ogni speranza: agendo
si può forse nutrirla ancora, questa speranza di risorgere.»
103.
Ateniesi: «Speranza: incanto che illude ad osare! Sempre pronta a vibrare un colpo, anche se non a prostrare in
ginocchio, chi arrischia con lei il superfluo. Ma chi profonde nell'avventura tutto il proprio (ha natura di prodiga, la
speranza!) apprende dopo la disfatta a riconoscerne il volto: quando ormai, a chi sarà entrato in familiarità con lei,
spogliato a causa sua di tutto, non sarà più concessa occasione di mettere a frutto quella sua esperienza per farsene
scudo, in avvenire. Il vostro paese è debole, e alla bilancia della sorte basterà oscillare di poco per cancellarvi: evitatelo.
Come dovreste rinunciare ad imitare la maggior parte dell'umanità, cui, benché sia ancora possibile la salvezza con
espedienti terreni, quando ogni tangibile e ragionevole motivo di speranza li abbandona in male acque, sovviene la
seduzione dell'oltremondo, i vapori mistici della mantica, gli oracoli, e il fumoso corredo che li accompagna: risorse che
suscitano l'illusione, e affrettano il disastro.»
104.
Meli: «Credetelo, è arduo soprattutto per noi questo confronto disperato con la vostra potenza e con la sorte se
costei non si terrà neutrale. Ci sorregge tuttavia la fede che, in quanto alla fortuna, non sia volontà del dio di
sopprimerci: poiché ci erigiamo innocenti a contrasto di chi viola il giusto. Quanto allo squilibrio di forze, c'è fondata
ragione di aspettarsi l'intervento amico di Sparta. Crediamo sia costretta a non sottrarsi, se non per altro, alla difesa
d'uomini del suo stesso ceppo e per sentimento d'onore. Considerandolo da ogni lato, non è poi tanto folle il nostro
ardimento.»
105.
Ateniesi: «Quanto al sorriso del dio, siamo certi che anche noi non resteremo in ombra. Poiché le nostre
pretese o la nostra politica non varcano gli orizzonti entro cui la coscienza dell'umanità colloca il suo rapporto con la
realtà divina o regola civilmente le relazioni tra uomo e uomo. Riteniamo infatti che nel cosmo divino, come in quello
umano (vale l'opinione per il primo, ma per l'altro è una sicurezza nitida) urga eterno, trionfante, radicato nel seno
stesso della natura, un impulso: a dominare, ovunque s'imponga la propria forza. È una legge, che non fummo noi a
istituire, o ad applicare primi, quando già esistesse. L'ereditammo che già era in onore e la trasmetteremo perenne nel
tempo, noi che la rispettiamo, consapevoli che la vostra condotta, o quella di chiunque altro, se salisse a tali vertici di
potenza, ricalcherebbe perfettamente il contegno da noi tenuto in questa occasione. Ecco i ragionevoli motivi in virtù
dei quali non ci allarma la volontà divina: non periremo per causa sua. Per il credito che accordate a Sparta, per il senso
139
d'onore che le attribuite e che dovrebbe spingerla a proteggervi, ci felicitiamo per il vostro inesperto candore, ma non
invidiamo in voi l'incoscienza! Negli Spartani, quand'è scopertamente in gioco il proprio destino o le tradizioni del loro
stato, fervono gli spiriti più nobili. Ma la discussione sul loro modo di trattare con le altre genti riuscirebbe prolissa:
ebbene, stringendola in giudizio conciso si verificherebbe al più alto grado di chiarezza, tra i popoli di cui abbiamo
esperienza, che nei loro ideali onesto equivale a gradito e giusto a utile. Non sarà davvero una disposizione spirituale
come quella descritta a favorire la vostra irrazionale fiducia di salvezza.»
106.
Meli: «Ma è proprio un'obiezione così concepita a metter ali a questa nostra fiducia. Melo è una colonia di
Sparta. Sarà la sua opportunità politica a distoglierla dall'idea di tradirci: per non apparire infida a quanti tra i Greci
favoreggiano la sua causa, e far così un dono prezioso ai nemici.»
107.
Ateniesi: «Ne siete certi? Allora ignorate che, in politica, l'utile va d'accordo con la sicurezza dello stato,
mentre a praticare il giusto e l'onesto ci si espone a pesanti rischi. Non sono da Spartani queste prodezze: non è la loro
natura.»
108.
Meli: «Però noi pensiamo che, in nostro favore, Sparta sarà più portata a imboccare questa strada rischiosa e
valuterà, in fondo, meno pericolosi i suoi passi in questo scacchiere che in altri: siamo prossimi, come teatro
d'operazioni, al Peloponneso e, per concezioni politiche, la comunanza di stirpe ci rende più degni di fiducia degli
estranei.»
109.
Ateniesi: «Non ci si può illudere che per chi entra spalla a spalla in un conflitto, la sicurezza assuma il volto
dell'affinità politica con chi ne ha invocato l'intervento: deve piuttosto spiccare, in questo o quel settore, un vantaggio
bellico ben definito, dal lato di chi ricorre all'alleanza. E Sparta è più scrupolosa delle altre potenze su questo punto
(diffida perfino dei propri mezzi e si accinge a una azione d'offesa solo se intorno a lei si assiepa un quadrato ben
agguerrito di reparti amici). Sicché non è nemmeno logico aspettarsi che tentino una traversata: verso un'isola poi,
quando noi dominiamo i mari!»
110.
Meli: «Potrebbe affidare ad altri l'incarico della nostra difesa. Il mare di Creta è ampio. I dominatori del mare
saranno tenuti in scacco se vorranno agguantare una squadra: e mille sentieri di salvezza si apriranno a chi vorrà eludere
il blocco. Se anche questa prova cadesse, potrebbero offendere il vostro paese e il resto della vostra lega: quegli alleati
cui la spada di Brasida non giunse. Così dovrete battervi più per la vostra terra e per quella degli alleati, che per un
possesso straniero.»
111.
Ateniesi: «Quand'anche quest'ipotesi s'avverasse, non ci coglierebbe sprovvisti d'esperienza, e anche a voi
dovrebbe già esser noto che gli Ateniesi non indietreggiarono mai da un assedio per paura d'altri. Ma ormai ci siamo
convinti: benché si sia qui asserito che il dibattito doveva avere il suo centro nel problema della vostra salvezza non
avete voluto, in questi preliminari non brevi, pronunziare una parola sola cui ci si possa umanamente affidare per
concepire un piano sicuro di salvezza. I vostri temi ricorrenti e più solidi sono speranze, fantasie campate nel futuro: e
le concrete difese con cui vi proponete di sbarrare il passo al congegno bellico che già preme alle vostre porte paiono
troppo fragili per garantirvi scampo. E vi renderete colpevoli di una più sinistra follia, se dopo averci congedati non
stillerete dalle vostre menti qualche risoluzione più avveduta. Non vi appellerete, speriamo, al sentimento dell'onore:
causa prima di tanta rovina tra gli stati, tra i funesti e minacciosi bagliori di un abisso che può inghiottire un popolo e
seppellirlo in un silenzio avvilente. Già più d'uno, con gli occhi ben aperti sul destino cui volava incontro, fu trascinato
fatalmente dall'istinto noto tra gli uomini con nome di onore: potere malefico di un nome! Domati da una parola,
costoro s'abbattono di schianto su pene irrimediabili, spontaneamente scelte e desiderate, attingendo un'umiliazione più
vile, perché prodotta dalla propria follia, non da una percossa della fortuna. State in guardia, se vi sorregge la ragione,
da questa rovina: non sentitevi schiaffeggiati se la città più potente di Grecia vi costringe a cedere, con offerte equanimi.
Non è per voi una infamia entrare nella sua lega, serbando la vostra terra a prezzo di un tributo. Vi si consente di
scegliere tra la sicurezza e la lotta: non appigliatevi al partito peggiore. Poiché è destinato sempre a felici successi chi
non si flette di Eronte agli uguali, mentre intrattiene con i più forti rapporti di prudente fermezza e di severità moderata
con gli inferiori. Dibattete fra voi, anche quando noi delegati saremo lontani, questi punti e tornate spesso su questa
riflessione: la scelta coinvolge la patria. È una la patria: e a una parola sola, decisiva, sta sospeso il suo destino, di vita o
di morte.»
112.
A tal punto gli Ateniesi troncarono il negoziato e si ritirarono. I Meli rimasero con se stessi: e ostinati in quei
medesimi principi che avevano espresso in sede di dibattito, emisero il seguente comunicato: «La nostra decisione non è
mutata, cittadini d'Atene, non strapperemo a una città viva ormai da ottocent'anni, con una parola che dura un attimo, la
sua libertà. Pieni di fede nella fortuna che sotto il governo degli dei l'ha per tanti secoli salvaguardata, tenteremo con le
nostre forze e aspettando l'aiuto spartano, di salvare la città. Ci offriamo neutrali alla vostra amicizia, e vi proponiamo
di allontanarvi dal nostro suolo dopo aver sancito quei patti che ad ambedue promettano e garantiscano un profitto.»
140
113.
Fu tutto qui il responso dei Meli. Gli Ateniesi sospendendo definitivamente a questo punto i negoziati,
replicarono: «A giudicare da questa risposta, frutto di una risoluzione meditata, si potrebbe dire che tra gli uomini voi
siete gli unici a valutare il patrimonio del futuro più solido di quello del presente. Per il desiderio che vibra in voi
scorgete una realtà concreta laddove è l'invisibile. E per esservi dati, anima e corpo, agli Spartani, alla sorte, alle
speranze con la più incondizionata fiducia, crollerete nel più sanguinoso disastro.»
114.