FORTEBRACCIO
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Pare che la sortita di Sandro Bondi sull’incandidabilità di chi ha “processi in corso, salvo quelli di natura politica” sia già costato al coordinatore forzista una bella strigliata dal suo padrone Silvio che, a parte una mezza dozzina di prescrizioni e tre assoluzioni
perché il reato l’ha depenalizzato lui stesso, vanta tre processi in corso per altrettante vicende difficilmente ricollegabili alla politica: le mazzette al testimone David Mills perché mentisse o tacesse ai processi (corruzione giudiziaria);
i fondi neri di Mediaset sulla compravendita di film dalle major americane (falso in bilancio, frode fiscale e appropriazione indebita). In più l’acquisto del dirigente Rai Agostino Saccà, e forse anche di alcuni senatori in cambio di ragazze (corruzione).
Il Cavaliere deve aver domandato al suo avventato maggiordomo se abbia la più pallida idea di che cosa sia Forza Italia, perché sia nata, chi l’abbia fondata e con l’aiuto di chi.
Ora il popolare James Bondi, dovrà dimostrare caso per caso che tutti i condannati, imputati, inquisiti e prescritti in lista con il Popolo della Libertà Provvisoria sono perseguitati politici. Una fatica di Sisifo persino in un manicomio come l’Italia.
Nel ’96, nel tentativo disperato di bloccare le rogatorie sui conti esteri Fininvest usati per pagare Craxi estero su estero, Berlusconi provò a sostenere con la giustizia britannica quello che quotidianamente racconta in Italia: e cioè che era vittima di un processo politico.
Gli rispose sprezzante lord Simon Brown, giudice della High Court of Justice, respingendo con perdite il suo ricorso il 25 ottobre ’96: “Se ben capisco l’argomentazione dei richiedenti (Fininvest, NdR), essi sostengono che una delle due serie di procedimenti giudiziali attualmente in corso in Italia – per donazioni illecite di 10 miliardi al signor Craxi – è politica (….).
Le donazioni politiche illegali sono un reato politico? (….)
Non sono d’accordo.
A me sembra piuttosto un reato contro la legge ordinaria promulgata per garantire un corretto ordinamento del processo democratico in Italia – reato in nulla diverso, diciamo, dal votare due volte alle elezioni.
E’ certo un reato commesso in un contesto politico.
A mio giudizio, però, ciò non ne fa un reato politico (….). Non accetto in nessun modo che il desiderio della magistratura italiana di smascherare e punire la corruzione nella vita pubblica e politica, e il conflitto che ciò ha creato tra i giudici e i politici in quel Paese, operi in modo tale da trasformare i reati in questione in reati politici.
E’ un uso scorretto dela lingua definire la campagna dei magistrati come improntata a ‘fini politici’, o le loro azioni nei confronti del signor Berlusconi come persecuzione politica (….).
Respingo la teoria alla base dell’istanza dei richiedenti, secondo la quale i pagamenti a uomini politici o a partiti politici (se per mezzo di tangenti o di donazioni illecite, a mio parere, non rileva) configurano reati di natura politica.
Non c’è nulla che abbia natura politica o che sia reso tale dal fatto che l’autore del reato speri di modificare la politica comprando influenza politica, o dal fatto che la magistratura, perseguendolo, speri di far pulizia nell’ambiente politico.
In poche parole, non c’è un solo argomento portato dai richiedenti, da solo o in concomitanza con gli altri, che mi induca a ritenere che i reati considerati abbiano natura politica. Non riesco proprio a vedere i pagatori corrotti della politica, come ‘i Garibaldi di oggi’, o come cercatori di ‘libertà’, o ‘prigionieri politici’…”.
Quando anche l’Italia era un paese serio, cioè ai tempi della Costituente, si decise di regalare ai parlamentari l’immunità proprio per proteggerli da eventuali persecuzioni giudiziarie per “reati politici”: denunce troppo accese, scioperi, manifestazioni di protesta, blocchi stradali e così via. Poi, via via, il concetto di “reato politico” andò estendendosi, fino ad abbracciare le più invereconde ruberie e mafioserie. E l’immunità divenne impunità.
Se un tempo, come ultima speme, l’imputato colpevole ricorreva alla perizia psichiatrica tentando di strappare la seminfermità mentale, dagli anni 80 in poi gli si applicò una strada meno accidentata: quella che porta diritti al Parlamento, divenuto qualcosa di simile ai conventi e alle chiese del medioevo.
Ora il Popolo della Libertà Provvisoria vuole addirittura ripristinare la cuccagna immunitaria, abrogata per la vergogna nel 1993.
E contemporaneamente, per assicurare un seggio sicuro e invulnerabile ai suoi condannati e imputati, escogita il concetto di "processo di natura politica".
Sarà interessante, se qualcuno glielo chiederà, sapere da Bondi che cosa ci trovi di "politico" nelle condanne e nei processi a carico di tanti sicuri candidati del Pdl.
Esempio: i rapporti diretti fra Dell'Utri e un mezzo esercito di mafiosi, da Mangano a Cinà, da Bontate a Teresi, da Jimmy Fauci a Virga, a partire dai primi anni 70, cioè circa vent'ani prima che il nostro eroe fondasse Forza Italia (condanna a 9 anni in primo grado).
Lo stesso Dell'Utri intascava i fondi neri ricavati con le fatture false e gonfiate di Publitalia per pagare i lavori nella sua villa sul lago di Como (condanna definitiva a 2 anni per frode fiscale).
Non contento, nel 1992, non riuscendo a convincere un imprenditore trapanese a versagli in nero la metà di una sponsorizzazione (700 milioni di lire), gli mandò in ufficio il boss di Trapani per un recupero crediti decisamente più persuasivo (condanna in appello a 2 anni per estorsione mafiosa, sia per Dell'Utri sia per il boss).
(Continua)