Fleursdumal
फूल की बुराई
Il risveglio.
L’immagine che il Censis ci restituisce è desolante: siamo un paese con le “pile scariche”, senza slancio né entusiasmo, disperatamente settato su uno sviluppo economico lento e, forse, negativo.
Dopo la crescita drogata degli anni ottanta (quando ognuno per la sua parte, visse l’illusione della ricchezza di carta, costruita sulla montagna del debito pubblico e sulla speranza che, qualcuno dopo, ci avrebbe pensato a sistemare le cose), siamo qui ad interrogarci, indifferenti ai numeri ed annoiati da questi continui richiami all’orgoglio nazionale, che non si smuove.
Sembreremmo un paese vecchio e decadente; riedizione moderna dell’ultima Roma, schiacciata dal suo stesso peso e da orde di nuovi barbari che ne attraversavano, a piacimento, i confini.
E’ questo dunque che siamo: un popolo stanco, annoiato e confuso, apatico ed indifferente?
E’ questo il messaggio che dovremmo ricavare da quelle statistiche economiche che, tanto impietosamente, il Censis ci sventola sotto il naso?
No, non è così: noi siamo un paese in convalescenza; stiamo liberandoci dai fumi delle continue sbornie del secolo scorso, quando ci siamo ubriacati delle follie imperialiste di Giolitti prima e di Mussolini poi e, quindi, ci siamo storditi nel consumismo drogato promosso (qui come altrove) dalle grandi multinazionali americane (i veri imperi moderni).
Siamo annoiati dai numeri economici, perché il Pil non esprime nulla di concreto: produrre più macchine e frigoriferi non indica assolutamente benessere; abbiamo già più macchine e frigoriferi di quanti ce ne servano davvero.
E’ il sistema che sta mostrando il suo limite e noi siamo stufi di comprare cose inutili che, abili markettari, tentano di farci apparire indispensabili.
A Natale 2002, c’è il boom dei viaggi all’estero e il crollo dei regali tradizionali; chi può se ne va, fugge verso le spiagge tropicali alla ricerca di serenità; lontano dal clamore delle vetrine piene della stessa noia di sempre.
Si, siamo un paese stanco; stanco di comprare regali inutili, prodotti che non ci migliorano la vita e ci costringono ad inseguire spese e debiti.
Siamo un paese stanco che, finalmente, sta (lentamente) decidendo di uscire dal fiammeggiante consumismo fatto di niente e di liberarsi dagli slogans pubblicitari, per cercare, altrove, il proprio benessere.
Sono pieni i monasteri di gente (normale) che decide di passare le vacanze in meditazione, sono pieni i voli verso l’India alla ricerca delle religioni orientali e sono vuoti i negozi delle grandi strade griffate, dove un vestito costa più dello stipendio mensile di una media famiglia italiana.
Dovremmo sentirci vecchi per questo? Dovremmo innalzare i nostri lamenti al cielo ed esorcizzare le nostre disgrazie?
Oppure dovremmo, finalmente, essere grati a noi stessi per la nuova comprensione della vita che stiamo acquisendo e della libertà, che, lentamente, stiamo cercando di riconquistare?
Siamo in una fase di transizione e siamo confusi (questo spiega il boom di viaggi all’estero: molti cercano altrove le risposte che sono già scritte nel loro cuore), stiamo abbandonando i vecchi modelli e non vediamo ancora le nostre nuove vite, emergere dalla montagna di falsità che il consumismo multinazional-markettaro ha costruito sopra di noi.
Abbiamo vissuto nelle illusioni create dagli strateghi del branding, dagli specialisti della comunicazione di massa e dagli esperti della manipolazione.
Adesso siamo stanchi ed annoiati.
Siamo, per questo, un paese finito, oppure (finalmente) stiamo cominciando a vivere?
Io non ho dubbi: grazie a Dio, ci stiamo svegliando.
L’immagine che il Censis ci restituisce è desolante: siamo un paese con le “pile scariche”, senza slancio né entusiasmo, disperatamente settato su uno sviluppo economico lento e, forse, negativo.
Dopo la crescita drogata degli anni ottanta (quando ognuno per la sua parte, visse l’illusione della ricchezza di carta, costruita sulla montagna del debito pubblico e sulla speranza che, qualcuno dopo, ci avrebbe pensato a sistemare le cose), siamo qui ad interrogarci, indifferenti ai numeri ed annoiati da questi continui richiami all’orgoglio nazionale, che non si smuove.
Sembreremmo un paese vecchio e decadente; riedizione moderna dell’ultima Roma, schiacciata dal suo stesso peso e da orde di nuovi barbari che ne attraversavano, a piacimento, i confini.
E’ questo dunque che siamo: un popolo stanco, annoiato e confuso, apatico ed indifferente?
E’ questo il messaggio che dovremmo ricavare da quelle statistiche economiche che, tanto impietosamente, il Censis ci sventola sotto il naso?
No, non è così: noi siamo un paese in convalescenza; stiamo liberandoci dai fumi delle continue sbornie del secolo scorso, quando ci siamo ubriacati delle follie imperialiste di Giolitti prima e di Mussolini poi e, quindi, ci siamo storditi nel consumismo drogato promosso (qui come altrove) dalle grandi multinazionali americane (i veri imperi moderni).
Siamo annoiati dai numeri economici, perché il Pil non esprime nulla di concreto: produrre più macchine e frigoriferi non indica assolutamente benessere; abbiamo già più macchine e frigoriferi di quanti ce ne servano davvero.
E’ il sistema che sta mostrando il suo limite e noi siamo stufi di comprare cose inutili che, abili markettari, tentano di farci apparire indispensabili.
A Natale 2002, c’è il boom dei viaggi all’estero e il crollo dei regali tradizionali; chi può se ne va, fugge verso le spiagge tropicali alla ricerca di serenità; lontano dal clamore delle vetrine piene della stessa noia di sempre.
Si, siamo un paese stanco; stanco di comprare regali inutili, prodotti che non ci migliorano la vita e ci costringono ad inseguire spese e debiti.
Siamo un paese stanco che, finalmente, sta (lentamente) decidendo di uscire dal fiammeggiante consumismo fatto di niente e di liberarsi dagli slogans pubblicitari, per cercare, altrove, il proprio benessere.
Sono pieni i monasteri di gente (normale) che decide di passare le vacanze in meditazione, sono pieni i voli verso l’India alla ricerca delle religioni orientali e sono vuoti i negozi delle grandi strade griffate, dove un vestito costa più dello stipendio mensile di una media famiglia italiana.
Dovremmo sentirci vecchi per questo? Dovremmo innalzare i nostri lamenti al cielo ed esorcizzare le nostre disgrazie?
Oppure dovremmo, finalmente, essere grati a noi stessi per la nuova comprensione della vita che stiamo acquisendo e della libertà, che, lentamente, stiamo cercando di riconquistare?
Siamo in una fase di transizione e siamo confusi (questo spiega il boom di viaggi all’estero: molti cercano altrove le risposte che sono già scritte nel loro cuore), stiamo abbandonando i vecchi modelli e non vediamo ancora le nostre nuove vite, emergere dalla montagna di falsità che il consumismo multinazional-markettaro ha costruito sopra di noi.
Abbiamo vissuto nelle illusioni create dagli strateghi del branding, dagli specialisti della comunicazione di massa e dagli esperti della manipolazione.
Adesso siamo stanchi ed annoiati.
Siamo, per questo, un paese finito, oppure (finalmente) stiamo cominciando a vivere?
Io non ho dubbi: grazie a Dio, ci stiamo svegliando.