Il Senato Usa ha approvato nuove sanzioni contro la Russia

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SPY FINANZA/ Ue, la guerra del gas che l'Italia non vuole vedere
Il Senato Usa ha approvato nuove sanzioni contro la Russia, aprendo una guerra tra gli stati dell'Ue sul gasdotto Nord Stream 2. Ma in Italia, dice MAURO BOTTARELLI, non se ne parla
17 giugno 2017 Mauro Bottarelli
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Lapresse


Cosa ricorderemo, da italiani, di giovedì 15 giugno?
La bagarre dentro e fuori al Senato sullo ius soli. È stato un martellamento mediatico.
Eppure, due giorni fa è successo qualcosa di epocale, qualcosa in grado di cambiare la nostra vita di cittadini italiani ed europei: ma nessun telegiornale ha aperto bocca al riguardo, nessun quotidiano ieri lo riportava in prima pagina. E non è un caso, è una strategia. Ma permettetemi di andare indietro ancora di un giorno, ovvero a mercoledì 14, quando gli occhi di tutto il mondo erano fissi su un campo da baseball della Virginia, dove un uomo ha aperto il fuoco contro alcuni politici repubblicani, ferendo in modo grave il coordinatore del partito, Steve Scalise.

Ovviamente, la notizia ha fatto il giro del mondo in un attimo, spartendosi l'attenzione mediatica con il terribile incendio alla Grenfell Tower di Londra. Ma cosa accadeva al Senato Usa in contemporanea? Con voto perfettamente bipartisan e dall'esito bulgaro di 97 a 2, la Camera alta Usa ha dato il via libera a nuove sanzioni contro la Russia per la sua interferenza nelle elezioni presidenziali dello scorso novembre.
Di più, il nuovo pacchetto contiene anche una novità di fondamentale importanza: d'ora in poi, il presidente non potrà ammorbidire o addirittura rimuovere le sanzioni senza prima ricevere il via libera dal Congresso.
Di fatto, una messa in quarantena riguardo il tema che maggiormente sta a cuore al Deep State: la guerra contro Mosca. Stando alla legge, «le sanzioni contro la Russia sono in risposta alla violazione dell'integrità territoriale dell'Ucraina e della Crimea, così come ai cyber-attacchi e all'interferenza nelle elezioni presidenziali e alla continua aggressione in Siria». L'emendamento, inoltre, consente «nuove e più ampie sanzioni in settori chiave dell'economia russa, come quello minerario, de metalli, delle spedizioni e delle ferrovie» e «autorizza una robusta assistenza per rafforzare le istituzioni democratiche e contrastare la disinformazione in Europa Centrale e dell'Est, nazioni che sono vulnerabili all'aggressione e all'interferenza russa».

Stando a quanto votato dal Senato, le nuove sanzioni saranno imposte contro «attori russi corrotti e tutti coloro coinvolti in seri abusi dei diritti civili», ad esempio chiunque fornisca armi al governo siriano o lavori nell'industria della difesa o nell'intelligence russa, così come «coloro i quali conducano attività cyber dolosa per conto del governo russo o siano coinvolti nella privatizzazione corrotta di assets a controllo statale».
Insomma, un atto di guerra diplomatica in piena regola, il capolavoro assoluto dei neo-con da quando hanno preso il timone del governo parallelo del Paese. Ieri, poi, il Senato Usa ha dato il via libera definitivo, passando ora la palla alla Camera dei Rappresentanti.

E mentre noi ci arrovellavamo con lo ius soli e con lo scontro M5S-Repubblica sul presunto incontro tra Matteo Salvini e Davide Casaleggio, cosa accadeva?
Il grande strappo.
Germania e Austria, casualmente due dei più grossi clienti energetici della Russia in Europa, attaccavano frontalmente e con durezza senza precedenti la decisione Usa sulle nuove sanzioni contro Mosca, dichiarando che queste «potrebbero influenzare negativamente l'economia Europa, andando a intaccare l'approvvigionamento di gas naturale russo». E a parlare in tal senso sono stati il cancelliere austriaco, Christian Kern e il ministro degli Esteri tedesco, Sigmar Gabriel: insomma, un qualcosa con il crisma dell'ufficialità. E destinato ad avanzare un'accusa precisa: Washington, con questa mossa, intende tutelare i posti di lavoro del comparto energetico Usa, di fatto rendendo illegale la fornitura russa verso l'Europa attraverso le sanzioni contro aziende del comparto. Poi, l'accusa più dura, avanzata direttamente da Gabriel: «La velata e sottintesa minaccia di sanzioni e multe verso le aziende europee che partecipano al progetto Nord Stream 2 introduce una dimensione nuova e completamente negativa nelle relazioni tra Europa e Stati Uniti».

Detto dal capo della diplomazia di Berlino e alla quasi vigilia del G20 di Amburgo, la cosa prende i contorni della rottura epocale: avete sentito nulla dai tg al riguardo? No, erano troppo preoccupati a ragguargliarci sulle condizioni del gomito del ministro Fedeli. Ma mettiamo un attimo la questione in prospettiva? Nord Stream 2, un gasdotto da oltre 1.200 chilometri che affianca l'originale Nord Stream, punta a ridurre la dipendenza dal transito attraverso l'Ucraina ed è contestato anche da diversi Paesi europei, fra cui l'Italia, oltre alla Polonia e diversi Stati dell'Est. In base alla nuova legislazione votata dal Senato, ora il presidente degli Stati Uniti avrà il diritto di imporre sanzioni contro imprese che compiono investimenti o vendono beni o servizi ai gasdotti russi per più di 5 milioni di dollari l'anno. Il nuovo gasdotto, stando al testo approvato dal Senato, avrà «un impatto negativo sulla sicurezza energetica europea e sull'economia ucraina». E l'Ucraina a chi è in mano, grazie a un colpo di Stato che l'Ue ha riconosciuto e applaudito? Dipartimento di Stato Usa, Cia e Fmi. Per questo, i due ministri sostengono in una nota che «è interesse comune dell'Unione europea e degli Stati Uniti intraprendere azioni decise e unite allo scopo di risolvere il conflitto in Ucraina», ma che non è accettabile «la minaccia di sanzioni extraterritoriali illegali imposte a imprese europee che partecipano agli sforzi di espandere la rete di fornitura di energia dell'Europa». Stando ai due rappresentanti, «le sanzioni politiche non devono in nessun modo essere collegate a interessi economici». Le forniture di energia all'Europa «sono una questione europea, non degli Stati Uniti».

Questo è il primo atto della nuova politica lanciata dalla Merkel dopo il G7 di Taormina, quando disse che l'Europa non può più fidarsi degli Stati Uniti e deve prendere il futuro nelle proprie mani? Pare di sì, per interesse economico e non certo per idealità alla Ventotene, ma il nodo resta: questa è una svolta epocale, anche perché come ci mostra il grafico le esigenze di import energetico dell'Ue sono un nodo dirimente oggi, ma lo saranno ancora di più nel futuro, più o meno prossimo.

Ma attenzione, perché qui siamo di fronte anche a una frattura in seno alla stessa Ue. Di proprietà della russa Gazprom, Nord Stream 2, infatti, è sostenuto da diverse compagnie europee, fra cui l'anglo-olandese Shell, le tedesche Uniper e Wintershall (controllata dalla Basf), la francese Engie e l'austriaca Omv. Il progetto, però, incontra anche l'opposizione della Commissione europea, cui i Paesi dell'Ue potrebbero dare un mandato per negoziare con la Russia, mandato che però non è necessario, stando al giudizio di Angela Merkel.

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Insomma, siamo di fronte a interessi enormi e in grado di creare i presupposti per l'Europa che verrà, ma anche per lo sviluppo economico dei vari Paesi dell'Unione. Quindi, al netto del silenzio interessato dei grandi media, è altro a inquietare: perché non una parola al riguardo dal premier, Paolo Gentiloni o dal ministro degli Esteri, Angelino Alfano?
Qual è la posizione dell'Italia in merito e in seno all'Ue?
Quale parere porterà al riguardo il nostro Paese al G20 di Amburgo?
Forse, siamo troppo occupati con lo ius soli e con la strisciante campagna elettorale permanente in vista del voto politico?
Se così fosse, saremmo all'irresponsabilità politica totale.
A destra come al centro come a sinistra, ma con l'esecutivo al primo posto, visto che suo mandato è governare il Paese e perseguirne il bene comune, non fare comizi di parte.

E attenzione, perché mentre si occupa il tempo del Parlamento per provvedimenti ideologici e propagandistici, utili al Pd solo per strizzare l'occhio a Giuliano Pisapia e alla sua area left, sottotraccia sta accadendo qualcosa che potrebbe risultare fatale, in caso di attacco speculativo durante l'estate. Nei primi quattro mesi dell'anno, infatti, lo stock di titoli di Stato detenuti dalle banche italiane è aumentato di 20 miliardi, il tutto mentre il debito pubblico continua a salire. Gli istituti nostrani non riescono o non vogliono impiegare la liquidità su altri binari? Di certo, appaiono ancora legate a triplo filo al debito sovrano italiano. Che spaventa, già oggi, chi italiano non è. Mentre infatti le nostre banche continuano a fare indigestione di Btp, a marzo si alleggerisce il portafoglio di titoli di Stato italiani detenuti da investitori stranieri. Il controvalore dei governativi italiani detenuti da investitori non residenti risultava pari a 663,836 miliardi, in lieve calo rispetto ai 664,228 miliardi di fine febbraio. Il dato segna un nuovo minimo da tre anni: per ritrovare un importo inferiore occorre risalire ai 655,900 miliardi di marzo 2014. In base a calcoli della Reuters sui dati di Bankitalia, a marzo 2017 la quota di titoli di Stato italiani in mano a investitori esteri è scesa al 34,7% del totale di quelli in circolazione dal 35,1% del mese precedente, ma, a fine 2016, la quota di titoli di Stato italiani in mano a investitori esteri veri e propri - ciò non soggetti nazionali che operano attraverso società o holding estere - era pari solo al 26,7% del totale.

E se dovesse ripartire la tarantella dello spread a breve, magari proprio per darci una bella sveglia e costringerci a prendere una posizione chiara su Nord Stream 2?
SPY FINANZA/ Ue, la guerra del gas che l'Italia non vuole vedere
 
MERKEL: NO A NUOVE SANZIONI ANTIRUSSE. DANNEGGIANO “NOI”
Maurizio Blondet 17 giugno 2017 15


Mai visto prima: Berlino e Vienna hanno criticato le nuove sanzioni americane alla Russia. Insieme, i due ministri degli esteri, stentoreamente, ufficialmente, hanno minacciato addirittura contro-sanzioni a danno degli Stati Uniti.

Il motivo è presto detto: che le nuove sanzioni – emanate dal Senato Usa – colpiscono direttamente gli interessi germanici. Precisamente, impongono multe, ammende e sanzioni alle aziende che partecipano alla costruzione, o al finanziamento, del Nord Stream 2, il gasdotto che porta il gas russo alla Germania e passa in fondo al Baltico, lasciando fuori Polonia e Ucraina, i nuovi alleati dell’America.

Le ditte minacciate di ritorsione sono la tedesca BASF ed EON, la austriaca OMV, inoltre la Shell, la francese Engie. Niente sanzioni!, hanno detto i due ministri degli esteri di lingua tedesca, uniti in un nuovo Anscluss dei bottegai.

Beninteso, invece l’Italia deve continuare ad obbedire alle sanzioni contro la Russia decretate da Berlino (scusate, dalla UE) per favorire i golpisti di Kiev. Infatti, nello steso comunicato in cui si oppongono fieramente alle sanzioni americane a Mosca, i due ministri Sigmar Gabriel e Christian Kern ribadiscono che “è importante per l’Europa e gli Stati Uniti formare unn fronte unito sulla questione dell’Ucraina”, dove secondo la Ue sono i russi ad armare i separatisti del Donbass, e Putin va punito perché s’è ripreso la Crimea.

Quindi noi italiani non possiamo più vendere il gorgonzola e le cravatte di Armani ai moscoviti, ma i tedeschi possono costruire coi russi un gasdotto da miliardi di dollari, che farà della Germania un hub delle forniture in tutta Europa.

Fantastica la dichiarazione di Angela Merkel, dettata attraverso il suo portavoce: “Gli interessi economici e la questione delle sanzioni non vanno mescolati”: frase di cui non sappiamo se apprezzare di più la malafede o la demenzialità.

Ovviamente, la Commissione cosiddetta Europea s’è subito allineata al nuovo e inedito anti-americanismo merkeliano, mantenendo beninteso l’anti-putinismo basale: “E’ importante garantire l’unità dei partner nelle sanzioni, dunque che nuove misure nei partner internazionali siano coordinate per assicurare il loro impatto a livello internazionale”. Non vorremmo che al governo italiano, dopo aver applicato le sanzioni alla Russia al costo di 9 miliardi l’anno per la nostra economia, venga richiesto di infliggere sanzioni anche all’America, con altri miliardi di danni ai nostri esportatori. Perché siamo sicuri che Gentiloni, come sempre, obbedirebbe.

E’ il destino manifesto, Angela

Sigmar Gabriel ha voluto a fianco il cancelliere austriaco Kern: “Non possiamo accettare la minaccia di sanzioni extra-territoriali illegali contro aziende europee che partecipano all’approvvigionamento energetico europeo”.
Quante interessanti considerazioni implica quest’alzata tedesca. Decenni di sforzi per negare il destino manifesto che vuole l’integrazione fra Russia ed Europa, di impedirne e ostacolarne i progressi inventandosi casus belli, provocazioni e ostilità idiote fino all’orlo della guerra guerreggiata; ed ecco un grido del cuore che sale dalla strozza germanica: “No alle sanzioni che ci colpiscono economicamente, noi!”. Il gruppo Merkel è giunto ad accusare il Senato Usa di voler sostituire la Russia come nostro fornitore energetico, vendendoci il gas naturale liquefatto che l’America produce e che fatica a trovare acquirenti. Insomma han difeso Mosca contro il gas liquido di Washington. Se non è destino manifesto questo…solo che è dubbio come ciò si coniughi col mantenimento delle sanzioni sul Gorgonzola. Ma non cercate la logica a Berlino. Berlino è l’imperio. Ciò che è bene per l’Anscluss è bene per l’Italia.

Demenzialità, paranoia e schizofrenia , beninteso, sono largamente presenti anche nel Senato americano e nelle sue motivazioni per giustificare sanzioni più dure, che sono praticamente un atto di guerra. Nuovi colpi all’industria energetica russa, nuove punizioni contro personalità russe che il Senato dichiara “corrotte”, o “implicate nelle gravi violazioni dei diritti dell’uomo” (senti chi parla) , o perché forniscono armi ad Assad; poi, in un crescendo wagneriano, “nuove sanzioni in settori-chiave dell’economia russa, compresi il settore minerario, i trasporti marittimi e le ferrovie”; inoltre dare “assistenza per rinforzare le istituzioni democratiche e contro la disinformazione nei paesi dell’Europa centrale e orientale che sono vulnerabili all’aggressione e all’ingerenza russa”.

In pieno delirio di esaltazione, il senatorer McCain ha vaneggiato: “Da troppo tempo il messaggio che è stato inviato a Vladimir Putin è stato che la Russia poteva invadere i suoi vicini, minacciare gli alleati dell’America, intensificare i suoi cyber-attacchi e ingerirsi nelle elezioni estere senza troppe ripercussioni. Finché la Russia non pagherà il prezzo delle sue azioni, le sue attività di destabilizzazione continueranno”.

Il voto al Senato: un atto della guerra civile americana
Questo delirio, questo allucinato rovesciamento della realtà, è stato approvato a maggioranza schiacciante: da 97 senatori su 100. Due soli hanno avuto il coraggio di votare contro, uno si è astenuto. Uno dei tre è Rand Paul, il figlio di Ron Paul. Il suo consigliere, Daniel McAdams, direttore del Ron Paul Institute for Peace, ha spiegato il vero motivo della furente e allucinata tornata di sanzioni anti-russe del Senato: “Si tratta di impedire con ogni mezzo al presidente Trump di sviluppare la sua politica estera nel senso di un miglioramento della relazioni americane con la Russia”: E fa notare che nell’emendamento del Senato (che deve ancora essere approvato dalla Camera) hanno infilato una norma che rende necessario il placet del Congresso nel caso di sospensione o alleggerimento, da parte del presidente, delle sanzioni in vigore.


Donald Trump e i suoi cari nell’immaginario demenziale americano.
Dunque quello del Senato è, molto più che un atto di ostilità estera, un atto di guerra interna, nella vera e propria guerra civile del scatenata contro Trump, dove si è già cominciato ad aprire il fuoco su avversari politici (come sa lo sciagurato senatore Scalise, sparato da un fanatico sostenitore di Bernie Sanders). Serve a sostenere e rafforzare la narrativa delirante – ma ormai solidissima negli oppositori, a cominciare dai media – che Trump e i suoi cari sono degli agenti di Mosca, che fanno gli interessi di Putin invece che della loro patria, che se ha vinto le elezioni è solo perché Putin lo ha aiutata con i suoi hacker e le sue intrusioni nelle mai della Clinton – una certezza che non ha bisogno di prove ma esige una procedura accelerata di impeachment.

Trump, molto più di Putin (e della Merkel), ha ragione di allarmarsi: hanno votato contro la Russia, ossia contro di lui, 97 senatori su 100, ossia anche tutti i repubblicani, in teoria il “suo” partito. Una politica estera ispirata da caos e odi e lotte interne, per motivi interni, da parte delle superpotenza. Allegria.

E’ appena il caso di ricordare che il Senato non ha dimenticato di coinvolgere nella sua farneticazione anche l’Iran, esigendone le più dure ritorsioni per il “suo sostegno ad atti di terrorismo internazionale”.

Intanto a Belgrado, Pechino fa la ferrovia: Budapest-Atene. AV.
Ci interessa di più ricordare qualcosa che succede all’Est europeo, dove siamo tutti tanto impegnati, noi sudditi, a contrastare l’avanzata di Mosca. Ce lo ha detto la seguente notiziola: Bruxelles ha “chiesto spiegazioni” all’Ungheria sulla costruzione della linea ferroviaria Budapest-Belgrado. Linea ad alta velocità, che è parte di un progetto di creazione una tratta ad alta velocità di mille chilometri, che unirà Budapest ad Atene passando per Belgrado e la Macedonia, ed è finanziato da – eh sì – da Pechino. Per 2,89 miliardi di dollari.

Bruxelles vuole appunto sapere da Orban come mai ha violato le regole eurocratiche, che obbligano fare concorsi pubblici (intra-eropei) per aprire così grandi cantieri. Insomma, prima viene la Siemens. Ma i cinesi hanno proposto tutto loro, pagano loro, e già hanno costruito il ponte sul Danubio a Belgrado, 170 milioni di euro finanziati all’85% dalle banca d’esport ed import di Cina. I belgradesi l’hanno chiamato ponte Pupin. Pechino, lo chiama “ponte dell’amicizia cino-serba”.


Treno cinese ad alta velocità. Pechino sta costruendo la tratta Budapest-Belgrado, parte del grande progetto Budapest-Atene.
Gli americani starebbero pensando di ostacolare questo progetto cinese per mezzo di una destabilizzazione “islamica” dei Balcani, che stanno preparando nel Kossovo e in Albania, dove convivono la più grande base americana (Camp Bondsteeel), i terroristi-spacciatori kossovari di Hakim Thaci già usati contro Macedonia e Montenegro, e – recenti arrivi – elementi del Mujaheddin el-Khalk, gli anti-ayatollah iraniani, che gli americani hanno recuperato e stanno riaddestrando a Camp Bondsteel. Recentemente, il noto John Bolton (j neocon) è stato a Tirana per curare questo tipo di affari. A Tirana si sono rifugiati, sotto protezione Usa ma (si dice) anche dei servizi tedeschi, anche i dirigenti dell’organizzazione di Fetullah Gulen; invano Erdogan ha protestato; per il deep state è una riserva di sovversione da usare contro Ankara,al bisogno.



http://www.maurizioblondet.it/merkel-no-nuove-sanzioni-antirusse-danneggiano/.

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La russofobia USA sta portando allo scontro. Ma sui "suicidi" attorno al clan Clinton, solo silenzio - Rischio Calcolato


Come mai nemmeno una riga sulla stampa USA? Come mai nemmeno un virgola su quella europea,
costretti a dover dar conto dell’ennesimo, strano suicidio attorno al clan Clinton. L’11 luglio scorso, infatti, l’ex funzionario del governo di Haiti, Klaus Eberwein (foto di copertina), ha deciso di spararsi in testa all’età di 50 anni. E sapete cosa avrebbe dovuto fare la settimana seguente? Spiegare a una Corte di Haiti le sue accuse relative a casi di corruzione e malversazione della Clinton Foundation proprio nell’Isola.


Insomma, quando era passato da poco l’anniversario della morte di Seth Rich, il funzionario del Comitato elettorale democratico ucciso nel corso di una strana rapina il 3 luglio 2016, quando era da poco emerso il suo ruolo di collaboratore di WikiLeaks, un altro personaggio coinvolto suo malgrado nell’attività dei Clinton, casualmente perde la vita.


“La Clinton Foundation è criminale, sono ladri, bugiardi, una vera disgrazia”. E guarda caso, prima che il 18 di luglio avesse la possibilità di motivare le sue accuse davanti alla Haitian Ethics and Anti-Corruption Commission, si è suicidato. Al centro delle accuse di Eberwein c’era, tra l’altro, la costruzione di scuole e alloggi a seguito del devastante terremoto che colpì Haiti il 12 gennaio del 2010: “Solo un misero 0,6% delle donazioni giunte da benefattori internazionali alla Clinton Foundation con l’espressa volontà di di assistere gli haitiani è davvero finito in finalità benefiche con le associazioni del posto. Un altro 9,6% è andato al governo haitiano e il rimanente 89,8% – circa 5,4 miliardi di dollari – fu gestito e indirizzato verso organizzazioni non di Haiti”.
 
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La russofobia USA sta portando allo scontro. Ma sui "suicidi" attorno al clan Clinton, solo silenzio - Rischio Calcolato


Come mai nemmeno una riga sulla stampa USA? Come mai nemmeno un virgola su quella europea,
costretti a dover dar conto dell’ennesimo, strano suicidio attorno al clan Clinton. L’11 luglio scorso, infatti, l’ex funzionario del governo di Haiti, Klaus Eberwein (foto di copertina), ha deciso di spararsi in testa all’età di 50 anni. E sapete cosa avrebbe dovuto fare la settimana seguente? Spiegare a una Corte di Haiti le sue accuse relative a casi di corruzione e malversazione della Clinton Foundation proprio nell’Isola.


Insomma, quando era passato da poco l’anniversario della morte di Seth Rich, il funzionario del Comitato elettorale democratico ucciso nel corso di una strana rapina il 3 luglio 2016, quando era da poco emerso il suo ruolo di collaboratore di WikiLeaks, un altro personaggio coinvolto suo malgrado nell’attività dei Clinton, casualmente perde la vita.


“La Clinton Foundation è criminale, sono ladri, bugiardi, una vera disgrazia”. E guarda caso, prima che il 18 di luglio avesse la possibilità di motivare le sue accuse davanti alla Haitian Ethics and Anti-Corruption Commission, si è suicidato. Al centro delle accuse di Eberwein c’era, tra l’altro, la costruzione di scuole e alloggi a seguito del devastante terremoto che colpì Haiti il 12 gennaio del 2010: “Solo un misero 0,6% delle donazioni giunte da benefattori internazionali alla Clinton Foundation con l’espressa volontà di di assistere gli haitiani è davvero finito in finalità benefiche con le associazioni del posto. Un altro 9,6% è andato al governo haitiano e il rimanente 89,8% – circa 5,4 miliardi di dollari – fu gestito e indirizzato verso organizzazioni non di Haiti”.
Se da qui a settembre dovessero aumentare le tensioni nei Balcani o saltare fuori un false flag sui confini russi, prepariamoci a un autunno di confronto. L’Europa, ovviamente, sarà il campo di battaglia. Come sempre.
 
"Mentre gli USA sono in lotta con la Russia l'Europa viene mangiata dalla Cina"
© AP Photo/ Ng Han Guan

Nessuno presta la dovuta attenzione al fatto che la Cina sta aumentando notevolmente la sua forza militare ed economica nell'Europa orientale, acquisendo quote di società locali e partecipando alla costruzione e gestione di centrali nucleari, afferma Mark Pfeifle, ex consigliere per la sicurezza nazionale del presidente americano George W. Bush.

A suo parere le preoccupazioni della Lituania sulla costruzione di una centrale nucleare in Bielorussia da parte della società russa Rosatom non sono nulla "in confronto al rischio geopolitico di un'ulteriore espansione dell'infrastruttura cinese in Europa".

"Mentre l'America è fissata sui tweet del presidente e sui tacchi della first lady, in Europa si sta verificando un cambiamento geopolitico che dovrebbe far tremare fino all'osso," — dichiara l'ex consigliere per la Sicurezza Nazionale del presidente americano George W. Bush.

La Cina è diventata proprietaria di gran parte delle quote del porto del Pireo e allo stesso tempo Pechino sta concentrando gli sforzi per acquistare asset in Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia, entrando anche in contratti per la costruzione di centrali nucleari.

La Casa Bianca dovrebbe invitare urgentemente gli esperti europei e asiatici al Dipartimento di Stato e coinvolgere personale diplomatico di talento piuttosto che farli uscire dal gioco. Questi esperti devono valutare l'influenza crescente della Cina nella regione.

Il gioco di "scacchi geopolitici" richiede che i giocatori pianifichino non solo una mossa, ma anche due o più mosse successive. Occorre tener conto di molti aspetti dell'economia, della geopolitica e della strategia militare. Bisogna rendersi conto che ci possono essere più avversari, è convinto Mark Pfeifle.
 

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