Il Suicidio economico delle economie occidentali.

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Nelle scorse settimane, si è accennato alla Cina (parlo dei mass media). Fece discutere una proposta del Ministro Tremonti, lanciata inizialmente da Bossi, su dei fantomatici dazi da imporre alle merci Cinesi. Anche negli USA si è gridato al pericolo giallo, in misura meno scomposta che da noi. Ci sono motivi precisi per questa minore aggressività americana frutto più di un timore nella caduta di certezze, che di seguito dirò, così come ci sono motivi validi, per quello che non è stato un colpo di sole d'agosto, in generale, per questa preoccupazione che abbiamo verso la Cina, preoccupazione e contraddizione. Veniamo con ordine.

La Cina è un grande paese, un mercato potenziale da un miliardo e mezzo di persone. Questo paese macina con un ritmo di crescita, che va dal 7 al 9% annuo di PIL. Nei primi sei mesi del 2003, la Cina ha esportato per 190 milioni di dollari. La questione del "pericolo giallo", si condensa qui. La Cina riesce a produrre a basso costo, grazie alla mano d'opera che poco costa. I suoi prodotti diventano così competitivi rispetto a quelli nostri come a quelli degli altri paesi occidentali. La proposta di Tremonti tuttavia, non ha trovato eco a Bruxelles e per fortuna aggiungo io. Imporre dazi alle merci cinesi, non migliora certo la nostra competitività, rischia solo di far esplodere una guerra commerciale, rischiamo di prenderci tutti una tirata d'orecchie dal WTO e di mettere anche in difficoltà l'economia cinese, con danni irreparabili, che partono dagli USA e quindi vanno a propagarsi in tutta l'economia mondiale, scaraventandola in una recessione senza fine. Il discorso si fa complesso e spero di rendervelo più chiaro possibile.

Tremonti fa una proposta maldestra e quando invoca il modello americano di protezionismo sul mercato interno, pensa ad esempio all'acciaio. Ebbene l'industria siderurgica americana è un baraccone, che grazie al periodo protezionista, non ha fatto altro che peggiorare e succhiare sempre più risorse dallo Stato, non potendo competere per qualità con quella coreana ad esempio. Un esempio che non regge, evidentemente l'Onorevole Tremonti dimentica la sberla del WTO agli USA proprio questa estate per questa questione. Insomma c'è il WTO, quindi la storia dei dazi, rimane un sogno di mezza estate tremontiano. Il problema esiste però, certo che esiste. Come risolverlo ? Credo che solo la politica può, solo gli accordi possono. Il WTO è la sede naturale per questo, più incontri bilaterali tra i vari premier e la nomenklatura cinese. Berlusconi ad ottobre dovrebbe recarsi in Cina speriamo concretizzi qualcosa.

Occorre però che esponga un mio pensiero. L'Italia con questa sortita ha in realtà denunciato se stessa. I suoi limiti. Il nostro paese ha vissuto per decenni con la facile scorciatoia della moneta svalutata, con l'evasione fiscale, che permetteva la sopravvivenza di piccole imprese ma contribuiva al deficit dello Stato. Tutta questa droga, ha fatto si che il paese rimanesse in un eterno provincialismo economico e politico, che non lo ponesse di fronte alle sfide, che non stimolasse ricerca e sviluppo. Oggi l'Italia è castrata, parte male, la sua quota di export è crollata al 3.5%, come competitività sta verso il quarantesimo posto dietro la Colombia. Un paese economicamente alla deriva, con un'industria debole. Un condizione che il buon Luciano Gallino descrive nel suo ultimo libro "La scomparsa dell'Italia industriale". Di fronte a questa condizione, due sono i principali errori che si compiono, quello di rispolverare assurdi protezionismi e quello di considerare le nuove flessibilità sul lavoro, la panacea di tutti i mali, la soluzione di basso profilo, come la chiamo io, per risolvere il problema dei costi. In realtà, come ho già detto più volte, la flessibilità del lavoro è uno dei tanti meccanismi e va maneggiato con cura, se non si vuole creare un esercito di precari e di senza futuro. E' vero che la Cina sul fronte lavoro ha dei costi bassissimi rispetto ai nostri e delle flessibilità "naturali" ma è anche un paese emergente diavolo. L'evoluzione della società cinese, non possiamo prevederla ma di certo fra 20 anni, i lavoratori cinesi avranno chiesto di migliorare le loro condizioni.

Veniamo agli USA e qui capirete anche, perché mai la flessibilità non basta più e non era una soluzione. Gli americani lamentano la debolezza dello yuan, la moneta cinese. E' vero che la moneta cinese, viene controllata al ribasso dal governo cinese, è vero che almeno un milione di posti di lavoro americani, sui tre persi negli ultimi tre anni, sono dovuti a questo fattore ma ... ci sono dei ma. Apriamo qui, finalmente la grande parentesi sulla Cina, da cui si intuisce anche la minor pressione americana, insomma la classica protesta sottotono. La Cina volenti o meno, ha salvato l'economia mondiale. In Asia ha sostituito il claudicante Giappone, mantenendo la moneta, cioè prima non ha permesso la svalutazione, evitando così, dopo la crisi giapponese e quella Brasiliana, un collasso generale delle monete così dette deboli, che avrebbe avuto effetti deleteri per l'economia del mondo. Dio sa quanto gli sia costato alla Cina questo. Non dimentichiamo cioè, che la Cina ha bisogno di mantenere dei ritmi di crescita superiori al 6%. Si tratta di un paese immenso, dove le regioni interne vivono ancora una condizione di debolezza economica notevole.

La Cina deve riassorbire sia le masse contadine che dalla periferia, convergono nelle metropoli, sia i lavoratori espulsi dalle ex industrie statali, le quali, ora private, devono far quadrare i bilanci e procedono a profonde ristrutturazioni. I cinesi sono dei grandi risparmiatori, circa il 30% del reddito, stanno sostituendo sempre più i giapponesi. la banca centrale cinese in realtà compre dollari al ritmo di 30 milioni al mese e possiede orami una delle più grandi riserve in dollari del mondo. In parole povere i cinesi hanno sostenuto gli USA nella caduta post bolla new economy, finanziando il suo deficit e permettendo all'americano medio di mantenere i suoi consumi, fornendogli credito. Questo gli americani lo sanno ed è per tale motivo, che la loro lamentela è più formale che sostanziale. Figuriamoci se si mettono a far dazi, creando difficoltà ad un paese che cede di pochi punti di PIL, si ritrova un miliardo e mezzo di persone da "allocare", non si sa dove. Immaginate le conseguenze sul mercato mondiale. Questa per sommi capi la situazione.

Conclusione del discorso. In questo frangente, gli USA si trovano di fronte, alla caduta di uno dei pilastri della sua economia. La flessibilità del sistema ma in particolare del lavoro. Il lavoratore americano, aveva bassa produttività in quanto in America si era scelto più la quantità che la qualità. Questo grazie al minor costo del lavoro stesso. Negli ultimi anni la produttività è aumentata notevolmente, ed infatti la disoccupazione è aumentata. Cosa succede però dietro le quinte del mondo del lavoro, che allarma gli economisti americani ? Sta accadendo che l'America perde lavoro a favore di una diversa allocazione presso paesi asiatici come la Cina proprio ma anche paesi come la Russia. Nel 2003 calcolano la perdita di circa 500.000 posti e sono posti di alto livello e profilo. L'istituto di previsioni dell'industria tecnologica Gartner fa questa stima, lo accennai già in un mio precedente articolo, l'ultimo prima delle vacanze "Scenario economico dopo le vacanze".

Come vedete non c'è flessibilità che tenga, di fronte all'evolversi delle economie dei paesi del terzo mondo. Non c'è da temere il declino occidentale o meglio, non c'è da temerlo se tale fase, che sarà piuttosto lunga, verrà ben gestita. Stiamo pagando il grande errore dell'uomo bianco. Noi abbiamo sbagliato, dovevamo permettere uno sviluppo armonico e corale dell'economia mondiale. Mi vengono i brividi al pensiero che abbiamo ancora l'Africa all'anno zero. Ma così è andata. Era ovvio che paesi come la Cina ma anche l'India, non dimentichiamolo, prima o poi venissero fuori. Li abbiamo accolti nel WTO, con la prospettiva del grande mercato, un mercato in cui l'Italia ha una presenza minima ahimè e quindi ora dobbiamo essere coerenti.

La soluzione al problema attuale della difficile competizione, va trovata con strumenti adatti, sopratutto non facendo noi i gamberi, dal punto di vista sociale e del lavoro. Dobbiamo invece spingere i paesi in via di sviluppo ad investire anche nel campo della qualità della vita e giungere ai nostri livelli di civiltà. Temo però che questa strada verrà difficilmente intrapresa. Agenzie mondiali come l'FMI, non consigliano certo di migliorare la qualità della vita, mentre danno i loro prestiti solo a quei paesi che tagliano il tagliabile e quel poco di sociale che hanno. Anche perché tali paesi si incartano con certe politiche tipicamente neoliberiste, trapiantate in ambienti e culture lontane mille miglia dalla nostra e si vedono quindi costretti a tagliare tutte le spese, per riemergere da devastanti crisi finanziarie.

Abbiamo creato, a tal proposito, dei bei capolavori come l'Argentina, dove nelle regioni interne ora, patiscono anche la fame, tipo Somalia e dove l'altro giorno hanno annunciato l'ennesimo pericolo di default. Quindi non nutro molta fiducia. Benissimo ma una soluzione devono trovarla e non credo possa essere il protezionismo, tanto meno farci diventare come i cinesi, in bici e a basso costo.

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