Index Linked abbinate Lehman Brothers

tontolina

Forumer storico
ndex Linked emessa da Popolare Vita
Un lettore, sfruttando il servizio S.o.S. Bank, mi ha chiesto delucidazioni sulla proposta di scambio che il Banco Popolare gli ha illustrato.
Nel 2007 ha sottoscritto tal "Adesso Index Giugno 2007", emessa da Popolare Vita.
Questo strumento, purtroppo, era abbinato a Lehman Brothers.
Il Banco Popolare, come hanno fatto altri, ha proposto di cambiargli la vecchia polizza con una nuova denominata "Bel Domani Scudo 1".



Premetto: l'incidente sulla banca americana poteva anche capitare. Alzi la mano chi poteva prevedere che la terza banca d'affari americana sarebbe saltata!
Io no.
Quello che fa arrabbiare sono altre cose.
1) il lettore aveva espressamente richiesto un titolo senza rischi senza stare a contrattare sul tasso d'interesse.
Gli è stata fatta sottoscrivere una index con cedole calcolate in maniera incredibile e con una liquidità meno che inesistente.
2) su 10.000€ di nominale il caricamento superava i 900€!
Non mi era mai successo di vedere provvigioni così onerose (9%) per un prodotto di me rda come questo!
Se non è di me rda, gradirei che qualcuno mi spiegasse i vantaggi che non sono proprio riuscito a trovare.
Non mi scuso per il termine perchè non sono riuscito a trovare una parola più dispregiativa che potesse illustrare il prodotto.



La nuova proposta:
1) innanzitutto la scadenza è superiore di due anni. In questi ultimi due anni non sono previste remunerazioni di alcun genere.
Gratta, gratta, la banca ci guadagna!
2) viene mantenuta la cedola al 5% (verrà liquidata al 29-06-2009) mentre le successive (fino al 2013) verranno pagate se le quotazioni di un paniere di titoli rimarranno superiori al 72% dal prezzo strike. E' sufficiente che uno solo di questi titoli non rispetti la condizione che la cedola sarà nulla!
Capirai!



In questo momento, quindi, le probabilità di riscuotere l'interesse sono al lumicino!


3) volendo liquidare il titolo anticipatamente bisognerà tener conto del prezzo di uno zero coupon (e sarà la banca, d'imperio, a stabilirlo). A questo valore bisognerà applicare un'aliquota peggiorativa dal 58,4% (del primo anno) a scalare fino al 91,5% (del settimo).
Non si capisce come mai visto che il prodotto è strutturato e il cliente ha già pagato [derubato?] fior di commissioni (non si sa per cosa).


Morale: questa proposta è meglio di niente, ovviamente, ma che la società non ci venga a raccontare che è venuta incontro al cliente.
Il suggerimento (anche per altri):
1) prima di sottoscrivere index linked pensateci 100 volte.
2) leggete attentamente il prospetto informativo.
Se questo è molto lungo vuol dire che il prodotto è complesso e, quindi, molto probabilmente, svantaggioso per voi.
3) se non lo capite non lo dovete sottoscrivere. Non fidatevi di quello che vi viene spiegato dal funzionario di turno. A volte non sa neanche lui che cosa sta vendendo;
4) se insistono per farvelo sottoscrivere, dovete assolutamente lasciar perdere!


Nel nostro caso, se uno è un pò incazzato per il trattamento ricevuto, si può richiedere alla banca tutta la documentazione riguardo alla sottoscrizione del prodotto.
Se l'avessero persa (non si sa mai) o ci fossero dei cavilli, il contratto potrebbe essere nullo e si potrebbe tornare in possesso del proprio capitale anzitempo.
Per questo, però, occorre l'interesse di un legale molto preparato in disciplina bancaria (che è molto complessa).

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Franco Meglioli
Tel. 0522/98.34.87 - 346/54.05.788
 
è sempre bello vedere quanto le banche "tengano" ai propri clienti (senza i quali non potrebbero vivere) e quanto abbiano a cuore i loro interessi (dei clienti, ovviamente...)
 
da http://www.valori.it/italian/finanza-globale.php?idnews=840&start=0
Lehman, ai creditori azioni anziché contanti - 02/02/2009

I creditori di Lehman Brothers potrebbero ricevere azioni anziché contanti, nell’ambito di un piano che punta a separare gli asset illiquidi dell’istituto di credito in due compagnie distinte

I creditori di Lehman Brothers potrebbero ricevere azioni anziché contanti, nell'ambito di un piano che punta a separare gli asset illiquidi dell'istituto di credito in due compagnie distinte. In questo modo, si potrebbero superare le grandi difficoltà che i liquidatori della banca fallita nello scorso mese di settembre stanno incontrando nel cercare di piazzare gli asset sul mercato. A spiegarlo al quotidiano Financial Times è stato lo stesso responsabile della liquidazione del colosso, Bryan Marsal.
Ancora non si conoscono i dettagli dell'operazione, ma le due nuove società potrebbero essere create entro i prossimi due anni. Una dovrebbe includere le controllate real estate, valutate circa 43 miliardi di dollari, mentre l'altra dovrebbe comprendere tutti gli altri asset illiquidi, compresi gli investimenti in private equity e partecipazioni come quella nella compagnia canadese SkyPower. E ai creditori della banca dovrebbero essere offerte proprio le azioni delle due nuove società.
I liquidatori, inoltre, devono affrontare la questione della banca industriale operante nello Stato dello Utah e di Lehman Brothers Bank, entrambe controllate dell'ex colosso americano. La strategia di Marsal punta a convincere la nuova amministrazione Obama del buono stato di salute dei due istituti, al fine di poter accedere al piano di salvataggio governativo da oltre 800 miliardi di dollari.
 
La verità sul fallimento di Lehman Brothers

Mauro Bottarelli


venerdì 6 febbraio 2009
George Soros non è certo uno sprovveduto quando si parla dei marosi della finanza e delle operazioni spericolate, ma lui stesso, in un'intervista pubblicata recentemente su La Repubblica, si è detto ancora stupefatto del crollo di Lehman Brothers, del suo non salvataggio da parte del governo statunitense come fatto per altre istituzioni. Anche uno come lui non riesce a spiegarsi come sia stato possibile. A sentire questo mi torna in mente un titolo letto il 15 settembre del 2008.

«Crollo Lehman, ingenti danni per gli investimenti arabi e il greggio, vera vittima sacrificale della peggiore crisi finanziaria nella storia». A dare questa lettura decisamente di parte del terremoto finanziario che stava scuotendo il mondo era, martedì 16 settembre, il quotidiano panarabo al Hayat, edito a Londra, stampato in inglese e di proprietà saudita. Il quale lamentava come il prezzo del greggio sia «a meno 50 dollari al barile rispetto al limite di 147 dollari raggiunto nelle settimane scorse, il livello più basso registrato da sette mesi».

L'altro grande giornale panarabo, al Sharq al Awsat (anche questo di proprietà saudita) metteva invece l'accento sugli «effetti devastanti sulle principali borse dei ricchi Emirati del Golfo». Ovviamente la tutela dei propri interessi è legittima, ma un peana di questo genere per il calo del prezzo del petrolio dopo la spaventosa impennata dei mesi scorsi - che ha riempito le casse dei paesi produttori - e le recenti decisioni a sorpresa dell'Opec di tagliare la produzione appare quanto meno fuori luogo. Gli ultimi a piangere miseria, insomma, dovrebbero essere proprio i ricchi produttori di petrolio.

Ma attenzione perché la comunità finanziaria araba di Londra non parla mai a caso. E, soprattutto, scrive in arabo ma parla e ragiona in inglese. Tra le righe di quel messaggio viene lancia un'accusa precisa: il fallimento di Lehman è stato permesso scientemente perché questo avrebbe riequilibrato gli assetti. Ovvero, crollo del prezzo del greggio e una pesante batosta verso chi finora ha fatto soldi sfruttando la crisi e comprato a prezzi di saldo pezzi di finanza mondiale attraverso i fondi sovrani.

Che il governo americano abbia rifiutato un aiuto nei confronti di Bank of America se questa avesse salvato Lehman Brothers è noto, ma questo non rappresenta ancora una prova. Che Bank of America sia corsa a divorare Merrill Lynch subito dopo, anche in questo caso senza garanzie da parte di Washington, nemmeno. Anche il fatto che la banca britannica Barclays - in cordata proprio con Bank of America nella missione per salvare l'ex gigante di Wall Street - abbia acquistato alcune attività (le più sane e lucrose, brokeraggio e trading Usa) del gruppo Lehman Brothers non prova nulla ma dimostra che la carcassa della mayor di Wall Street faceva gola a molti e che lo spettacolo di disperazione che offriva non disturbava troppo il Tesoro americano e la Fed.

Il fatto però che su un sito informatissimo come Cnbc si parlasse apertamente di petrolio che toccherà a breve quota 75 dollari comincia invece a far intravedere qualche possibile scenario: ovvero, di fronte a un "too big to fail" malmesso come Lehman il segretario al Tesoro Usa, Henry Paulson (ex capo di Goldman Sachs), ha preferito indossare la maschera del liberista duro e puro rifiutando altri aiuti di Stato e ottenendo così un triplice effetto: far scendere il prezzo del greggio (vera leva della possibile ripresa), risparmiare denaro necessario a salvare attraverso un prestito ponte da 85 miliardi di dollari il colosso delle assicurazioni Aig e assestare uno shock "salutare" all'economia mondiale, quella occidentale, che necessita di disintossicarsi del tutto, ma soprattutto quella overvalued e troppo interventista dei paesi arabi e della Russia.

Non è un caso che sempre martedì 16 settembre la Borsa di Mosca fosse scesa del 16% a 905.57 punti, sotto la pericolosa soglia psicologica dei 1.000 punti, gettando letteralmente nel panico gli investitori e costringendo le autorità a sospendere le contrattazioni fino a venerdì 19. Una scelta strategica quella americana: Lehman, infatti, era la banca con la maggiore attività al mondo come trader di obbligazioni e fondi obbligazionari mentre Aig e il suo crollo avrebbero colpito letalmente quasi esclusivamente gli Usa e l'Europa, come denunciava il britannico Daily Telegraph poche ore dopo il salvataggio del colosso assicurativo: «Le banche europee erano particolarmente a rischio in caso di un fallimento della Aig, perché detengono i tre quarti dei 441 miliardi di dollari di strumenti complessi e deregolati protetti dalla Aig. Tali obbligazioni sono legate al mercato dei subprime, che si sta inabissando».

Europei salvi grazie alla Fed, quindi. E i russi, invece? «L'economia russa è sufficientemente solida per poter reagire alla crisi dei mercati, che si dimostra peggiore delle peggiori attese» ha sottolineato il presidente russo Dmitri Medvedev il 18 settembre scorso, secondo il quale «il mercato globale soffre la più grande crisi degli ultimi 10 anni. A cosa è legato? Lo sappiamo benissimo» ha precisato, avanzando una nemmeno velata accusa per le politiche economiche degli Stati Uniti, che si riflettono negativamente sui mercati internazionali. D'altronde bastava leggere il titolo della homepage del sito del quotidiano filo-governativo Izvestiya di giovedì 18 settembre per capire il clima: «Gli Stati Uniti si stanno dimostrando più pericolosi per il mondo di una minaccia nucleare».

Eravamo a cavallo tra la fine di settembre e l'inizio di ottobre dello scorso anno. Guardatevi intorno: il rublo è crollato, il prezzo del barile resta basso nonostante le minacce dell'Opec di tagliare ancora e ancora la produzione, il piano Paulson - il famoso Tarp - non ha funzionato appieno ma è stato prodromico al progetto di "bad bank" in cui scaricare gli asset tossici a prezzi medi concordati e non in base al mark-to-market che Barack Obama si troverà costretto suo malgrado a varare. E che farà uscire le istituzioni finanziarie americane dalla crisi molto prima e molto meglio.

Insomma, il fallimento Lehman Brothers è stato strategico, voluto, globalmente indirizzato a colpire dove faceva più male ai nemici che sfruttavano la debolezza di un presidente a fine mandato e di un paese in piena crisi per muoversi su equilibri e interessi contrapposti a quelli di Washington. Il fallimento Lehman Brothers è stato il primo caso di "guerra per banche". Chapeau. Speriamo sia anche l'ultimo. E che Dio benedica l'America.

P.S.: Prima parlavamo di Barclays corsa a divorare pezzi di finanza statunitense a prezzi di saldo. Un azzardo, in tempi di guerra per banche, visto che il gigante inglese è costretto ad ammettere la necessità di aumento di capitale ed è pronto a chiedere l'intervento del governo.

Peccato che quando lo scorso ottobre cedette al fondo sovrano di Abu Dhabi il 16,5% delle azioni per 5,3 miliardi di sterline, il board della banca accettò condizioni capestro come le cosiddette "mandatory convertible notes", un complicato meccanismo di gestione del pacchetto azionario in base al quale oggi Barclays rischia di vedere salire il fondo di Abu Dhabi al 55%, perdendo di fatto la sovranità, se si vedrà costretta ad aumentare di nuovo il capitale.

Gli sceicchi, probabilmente, hanno scommesso proprio su questo quando hanno deciso di investire, hanno controllato bene i conti e hanno inserito la clausola sulla fluttuazione del valore del titolo che garantirebbe loro una montagna di azioni al prezzo minimo concordato: non stupirebbe scoprire che nel frattempo qualche loro trader abbia lavorato debitamente e in maniera massiccia sui credit default swaps di Barclays per guadagnare anche nel medio termine. Come già detto, gli arabi a Londra parlano e ragionano in inglese. E si fanno fregare una sola volta.





http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=12053
 
Ma quanti partners ed ex partners fanno parte del prestigioso club della potente e ancor più preveggente Goldman Sachs!





Apprendo solo oggi la versione che Edward Liddy, meglio noto come Ed, ha fornito ai media sull'incredibile circostanza nella quale, a metà dell'orribile mese di settembre del 2008, venne coinvolto dal suo ex capo ed ex (?) inverstment banker, Hank Paulson, l'uomo che dal vertice della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs fu spedito, ad opera dell'allora presidente degli Stati Uniti d'America, George W. Bush, a dirigere, nel giugno del 2006, il ministero del Tesoro a stelle e strisce, con una scelta dei tempi veramente opportuna e che diverrà maggiormente chiara ai più solo il 9 agosto del 2007, quando prenderà ufficialmente il via la tempesta perfetta che si appresta fra poco ad entrare nel suo ventunesimo mese di vita.

Scusandomi per la ricostruzione storica dell'ascesa di Paulson al dicastero del Tesoro, ma le date sono una delle poche cose che una stampa e dei media del tutto emebedded alle logiche del capitalismo finanziario non possono ancora modificare, quale fu il tenore della telefonata intercorsa tra il boss e il suo ex dipendente (peraltro, Liddy, almeno così raccontano le cronache, aveva chiuso la sua carriera in Goldman sedendo nel Board of Directors della 'Ditta'), una telefonata che lo colse nella sua casa proprio nei giorni in cui il rinomato trio Bush-Paulson-Bernspan.stava decidendo chi salvare e chi lasciar affondare tra Lehman Brothers, Merrill Lynch e American International Corporation, la più grande compagnia del mondo nata un secolo prima in Asia con un esordio che pare non fosse proprio dei più specchiati e più o meno coevo con la prima tempesta perfetta che l'umanità abbia conosciuto, quella dell'ottobre del 1907 che, al confronto di quella attuale, fu più che un altro una tempesta in un bicchiere d'acqua e che fu risolta dall'intervento energico di John Pierpoint Morgan, che si limitò a staccare qualche assegno e utilizzò l'ingente carico d'oro imbarcato sul translatantico Lusitania, battente, almeno credo, bandiera dell'impero britannico.

Stando a quanto racconta l'ex partner di Goldman Sachs, il suo capo giunse rapidamente al sodo e gli chiese di farsi carico, in qualità di nuovo Chief Executive Officer, della tecnicamente fallita compagnia di assicurazione, ruolo al quale Ed era alquanto preparato avendo svolto lo stesso incarico in un'altra compagnia di assicurazioni, motivo per il quale aveva abbandonato il cautissimo stipendio e la vera e propria pioggia di benefit con i quali Goldman usava, ed usa ancora, gratificare i suoi massimi dirigenti, un incarico di cui Liddy comprese al volo la delicatezza e la pericolosità, facendo pure, o subendo, la previsione di affrontare l'improba fatica per uno stipendio annuo limitato all'elargizione di un molto, ma molto simbolico dollaro statunitense, ma, si sa, "chi per la Patria muor vissuto è assai", con quel che notoriamente ne segue.

La storia finirebbe qui, se non fosse che poche ore più tardi, decidendo la fine anticipata dalla gloriosa banca di investimenti denominata Lehman Brothers, Paulson e i suo compagni di avventura posti ai massimi livelli del sistema della riserva federale, Bernspan e Timothy Geithner in prima fila, nonché avuto il via libera dal molto incauto inquilino di allora della Casa Bianca, misero le basi per un'ondata senza precedenti di perdite della stessa AIG, non fosse altro che per il motivo che la sventurata compagnia risultava controparte di buona parte dei Credit Default Swaps riferiti alla ditta dei fratelli Lehman, nonché di altri contratti per centinaia, se non migliaia di miliardi di dollari, riferiti ad altri contratti della specie che rischiavano di vedere concretizzarsi, in base alle stringenti clausole previste dagli alti volumi contenenti le specifiche previsioni e validati dal consiglio direttivo dell'ISDA, composto da diciannove professionisti molto stimati nell'ambiente della finanza più o meno strutturata, ma che non avrebbero assolutamente messo in gioco la propria onorabilità e credibilità nemmeno su pressione dei governi e delle banche centrali!

Come ho già scritto nel Diario della crisi finanziaria, l'obiettivo principale delle investment banks e delle banche più o meno globali ovunque basate nel mondo era quello di impedire a ogni costo il default, seppur semplicemente su base tecnica, di AIG, anche perché a quell'evento sarebbe seguita inevitabilmente una mesta e tristissima processione di Chairman e CEO delle banche di mezzo mondo in direzione dei tribunali fallimentari dei paesi di appartenenza, al fine di ottenere almeno la protezione prevista dalle norme di legge nei confronti dei creditori, un vero e proprio gioco al massacro nel quale ogni entità finanziaria era presente sia dal lato del creditore che da quello del debitore.

Ma la telefonata deve essere stata molto più lunga di quello che Liddy dice, o essere stata seguita da incontri a quattr'occhi con il suo ex principale in sale a prova di intrusioni più o meno autorizzate, anche perché, come è emerso dalla documentazione fornita dalla stessa AIG alla presidente di un apposta commissione del Congresso che indaga sulla vicenda, solo in poche settimane, e cioè sino alla fine dell'anno di disgrazia 2008, la compagnia di assicurazione ha soddisfatto le pretese della maggiori banche statunitensi, europee e asiatiche, rimborsi provvidenziali per la cifra di 90 miliardi di dollari e tra i quali spiccano in assoluto quelli erogati alla stessa Goldman Sachs per 13,9 miliardi di dollari, seguiti, per importi decrescenti da quelli in favore delle principali banche statunitensi, europee e asiatiche.

Purtroppo per gli appartenenti al club davvero più esclusivo della finanza globale basato a Manhattan, New York, la sospettosa e a volte impertinente autorità giudiziaria di quel facoltosissimo distretto, nella persona del nuovo e temibile sceriffo di New York, Andrew Cuomo, ha deciso di indagare sulla celerità e sulla congruenza degli stesi rimborsi, menttendo sotto indagine anche il potentissimo David Viniar, il sessantatrenne Chief Financial Officer di Goldman, così come altri esponenti dellae maggiori banche operanti sulla piazza, una mossa che ha avuto l'effetto di un terremoto, anche se i media si sono limitati a riportare l'autodifesa di Viniar che dice che tutto si è svolto secondo le regole, e Viniar, Blankfein e Paulson sono certamente uomini d'onore!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nel sito dell'associazione FLIP all'indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l'autore e l'indirizzo del blog

Pubblicato da marco sarli a 10.46

http://diariodellacrisi.blogspot.com/2009/03/ma-quanti-partners-ed-ex-partners.html
 

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