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[center:e48e34534b]L’Italia dalla seconda alla terza repubblica: per i lavoratori di male in peggio[/center:e48e34534b]
La situazione politica italiana è in nervosa agitazione e non promette niente di buono per i lavoratori.
I ds si sciolgono nel nascente partito democratico.
I cespugli centristi della maggioranza, Di Pietro e Dini in testa, tramano con il centro-destra.
Pur se la costituzione di un partito unico delle Libertà arranca, vanno avanti le prove di mobilitazione di piazza delle destre, ultima quella di sabato 13 ottobre di An a Roma. Non accenna, poi, a placarsi lo scompiglio provocato sul e nel “palazzo” dalla campagna dei grandi mezzi di informazione contro la “casta”... Cosa sta succedendo?
Al momento della liquidazione della prima repubblica, nei primi anni novanta, dicemmo che la seconda repubblica in incubazione avrebbe avuto il compito di rompere il compromesso sociale tra capitale e lavoro salariato stabilito nel secondo dopoguerra, di disciplinare strettamente i lavoratori al rilancio della competitività delle imprese, di restituire lustro alla potenza dell’Italia sul mercato mondiale.
Questa operazione, a cui hanno concorso -con metodi e tempistiche diverse- i governi tecnici, i governi di centro-destra e quelli di centro-sinistra, è riuscita solo in parte.
Da un lato, per la resistenza, sorda e talvolta aperta, dei lavoratori ad accettare passivamente la torchiatura e l’annullamento politico riservati loro dalla seconda repubblica.
Dall’altro lato, per l’incapacità del grande capitale e dei suoi centri di potere politico a disciplinare al rilancio della nazione gli strati intermedi della società.
Il “compromesso storico” tra capitale e lavoro salariato era, infatti, intrecciato ad un altro compromesso: quello stabilito dal grande capitale con i ceti medi per bilanciare il movimento operaio.
La ristrutturazione del paese non doveva mettere in riga solo il proletariato, doveva anche tagliare i relativi “privilegi” dei lavoratori del pubblico impiego e dare un minimo di regola fiscale alle brame esentasse dei ceti medi accumulatori.
Nel periodo 1992-2006 le due operazioni non sono riuscite fino in fondo nei termini sperati dai grandi poteri finanziari e industriali nazionali e internazionali.
Oggi i nodi vengono al pettine.
Per un contesto internazionale in cui le imprese italiane sono doppiamente insidiate. Dall’emersione di concorrenti estremamente dinamici, nell’Est europeo e nell’Estremo Oriente.
Dalla presenza negli altri paesi imperialisti di processi di ristrutturazione dei rapporti tra le classi sociali a vantaggio del grande capitale più profondi e rapidi di quelli avvenuti in Italia. Vi sono riusciti la Gran Bretagna, la Spagna e la Germania.
Ora tenta il gran passo anche la borghesia francese con Sarkozy.
Senza contare l’insidia del dumping in Europa delle merci made in Usa messa in opera dalle imprese d’oltre Atlantico con il favore della svalutazione del dollaro.
La borghesia italiana ha bisogno di compiere un salto.
Di dare al processo di accumulazione e all’intera vita sociale la disciplina autoritaria...richiesta per riprendere quota nella concorrenza internazionale.
Il governo Prodi, il costituendo partito democratico, le sperimentazioni sul polo di centro-destra, l’indecisionismo della seconda repubblica non soddisfano la “razza padrona” italiana, quei re della finanza e dell’industria che, come ha scritto Scalfari, rappresentano il vero potere, inamovibile, del paese.
Nell’arco di un secolo questo potere è passato dal liberalismo giolittiano al fascismo, dal fascismo alla repubblica a seconda di come i tempi imponevano di perfezionare lo sfruttamento del lavoro salariato e di migliorare la collocazione dell’Italia nella gerarchia del capitalismo mondiale.
Adesso, questi stessi grandi poteri capitalistici stanno premendo per un nuovo cambio. Da qui la campagna contro la “casta politica”.
Colpevole, agli occhi della supercasta della finanza e della grande imprenditoria che l’ha allevata, di essere incapace di portare avanti la centralizzazione di tutti gli strati della nazione al rilancio della competitività del paese.
Soprattutto di essere troppo debole verso la “corporazione” del lavoro salariato.
Non che nulla sia stato compiuto dalla seconda repubblica.
Da ultimo dal governo di centro-sinistra, sua ala “radicale” compresa.
Ma è ancora poco.
Lo ha esplicitato Galli della Loggia qualche giorno fa sul Corriere della Sera: il turbine di Mani Pulite, che ha fatto scomparire la Dc e il Psi (ma non i democristiani e i socialisti!), ha permesso alla “sinistra”, uscita indenne da Tangentopoli, di arrivare al governo senza aver in precedenza assunto una cultura di governo; il guaio è che –si lamenta
Galli della Loggia- la “sinistra” continua a non volerla acquisire, tale cultura, si rifiuta di “condurre una grande battaglia di rottura rispetto al proprio stesso passato per cancellare dal suo popolo la mentalità radicale [s.n.], e dunque sempre incline potenzialmente al massimalismo di vario tipo.
La sinistra è ancora prigioniera di un male forse incurabile: il continuismo con la vecchia tradizione comunista.” (23 settembre).
Agli occhi degli industriali e dei banchieri, anche il partito democratico, il cui segretario in pectore non fa altro che sbracciarsi per affermare che il conflitto capitale e lavoro è morto, sembra incapace di tagliare questo cordone “del popolo della sinistra”.
Un progetto molto ambizioso
Così i grandi poteri capitalistici nazionali e internazionali si sono rimessi in moto contro “l’impresa della politica”, come fecero agli inizi degli anni novanta.
Anche questa volta, come nel 1992, occorre sparigliare le carte e preparare una svolta autoritaria, l’arrivo di un novello Cesare, come ha auspicato uno dei loro portavoce, Scalfari, qualche mese fa.
E anche questa volta, il grande capitale cerca di far leva sull’insoddisfazione popolare verso un sistema politico lontano ed estraneo dalle aspettative della gente. Il progetto è lungimirante e ambizioso.
Lo scontento causato dalle conseguenze sui lavoratori del passaggio alla terza repubblica sarà crescente.
Per quanti sforzi si facciano a spingerlo nel retrobottega della coscienza, non potrà essere annullato.
L’unico modo per evitare che trovi un autonomo punto di coagulo è quello di indirizzarlo contro una serie di capri espiatori.
Che stanno in basso: gli immigrati, gli emarginati, la vecchia generazione operaia che sarebbe renitente ai sacrifici (!), gli sfruttati del Sud e dell’Est del mondo che osano ribellarsi al pieno dominio del capitale italiano.
Ma capri espiatori che stanno anche in alto, nella “casta” dei politici borghesi o in quella dei finanzieri speculativi tipo Tanzi e Ricucci (a questi, si capisce, sarà riservato un trattamento di favore).
La promessa è quella di una razionalizzazione del potere politico ed economico, con vantaggi per tutte le “classi produttive” della nazione.
L’obiettivo è in realtà una più scientifica organizzazione della torchiatura e del controllo sociale del lavoro salariato.
Riprendendo la lezione storica della genesi del nazismo e del fascismo, il capitale si prepara a deviare e sublimare lo scontento e la rabbia dei lavoratori verso il sostegno attivo a questo programma, verso la loro mobilitazione contro i nemici esterni alla comunità nazionale e contro i “corrotti” interni che ne minano la compattezza e la competitività.
Di qui, la “tolleranza-zero”, la propaganda razzista, la campagna giovanilista bipartisan contro l’“inutile” peso della vecchia generazione (“Giovinezza, Giovinezza…”), il parziale scoperchiamento della fogna dorata della politica, i tentativi italici di innesto ogm incrociato democrazia-fascismo che le tecniche borghesi di manipolazione della vita sociale e politica hanno in agenda per l’intero Occidente.
(CONTINUA)
La situazione politica italiana è in nervosa agitazione e non promette niente di buono per i lavoratori.
I ds si sciolgono nel nascente partito democratico.
I cespugli centristi della maggioranza, Di Pietro e Dini in testa, tramano con il centro-destra.
Pur se la costituzione di un partito unico delle Libertà arranca, vanno avanti le prove di mobilitazione di piazza delle destre, ultima quella di sabato 13 ottobre di An a Roma. Non accenna, poi, a placarsi lo scompiglio provocato sul e nel “palazzo” dalla campagna dei grandi mezzi di informazione contro la “casta”... Cosa sta succedendo?
Al momento della liquidazione della prima repubblica, nei primi anni novanta, dicemmo che la seconda repubblica in incubazione avrebbe avuto il compito di rompere il compromesso sociale tra capitale e lavoro salariato stabilito nel secondo dopoguerra, di disciplinare strettamente i lavoratori al rilancio della competitività delle imprese, di restituire lustro alla potenza dell’Italia sul mercato mondiale.
Questa operazione, a cui hanno concorso -con metodi e tempistiche diverse- i governi tecnici, i governi di centro-destra e quelli di centro-sinistra, è riuscita solo in parte.
Da un lato, per la resistenza, sorda e talvolta aperta, dei lavoratori ad accettare passivamente la torchiatura e l’annullamento politico riservati loro dalla seconda repubblica.
Dall’altro lato, per l’incapacità del grande capitale e dei suoi centri di potere politico a disciplinare al rilancio della nazione gli strati intermedi della società.
Il “compromesso storico” tra capitale e lavoro salariato era, infatti, intrecciato ad un altro compromesso: quello stabilito dal grande capitale con i ceti medi per bilanciare il movimento operaio.
La ristrutturazione del paese non doveva mettere in riga solo il proletariato, doveva anche tagliare i relativi “privilegi” dei lavoratori del pubblico impiego e dare un minimo di regola fiscale alle brame esentasse dei ceti medi accumulatori.
Nel periodo 1992-2006 le due operazioni non sono riuscite fino in fondo nei termini sperati dai grandi poteri finanziari e industriali nazionali e internazionali.
Oggi i nodi vengono al pettine.
Per un contesto internazionale in cui le imprese italiane sono doppiamente insidiate. Dall’emersione di concorrenti estremamente dinamici, nell’Est europeo e nell’Estremo Oriente.
Dalla presenza negli altri paesi imperialisti di processi di ristrutturazione dei rapporti tra le classi sociali a vantaggio del grande capitale più profondi e rapidi di quelli avvenuti in Italia. Vi sono riusciti la Gran Bretagna, la Spagna e la Germania.
Ora tenta il gran passo anche la borghesia francese con Sarkozy.
Senza contare l’insidia del dumping in Europa delle merci made in Usa messa in opera dalle imprese d’oltre Atlantico con il favore della svalutazione del dollaro.
La borghesia italiana ha bisogno di compiere un salto.
Di dare al processo di accumulazione e all’intera vita sociale la disciplina autoritaria...richiesta per riprendere quota nella concorrenza internazionale.
Il governo Prodi, il costituendo partito democratico, le sperimentazioni sul polo di centro-destra, l’indecisionismo della seconda repubblica non soddisfano la “razza padrona” italiana, quei re della finanza e dell’industria che, come ha scritto Scalfari, rappresentano il vero potere, inamovibile, del paese.
Nell’arco di un secolo questo potere è passato dal liberalismo giolittiano al fascismo, dal fascismo alla repubblica a seconda di come i tempi imponevano di perfezionare lo sfruttamento del lavoro salariato e di migliorare la collocazione dell’Italia nella gerarchia del capitalismo mondiale.
Adesso, questi stessi grandi poteri capitalistici stanno premendo per un nuovo cambio. Da qui la campagna contro la “casta politica”.
Colpevole, agli occhi della supercasta della finanza e della grande imprenditoria che l’ha allevata, di essere incapace di portare avanti la centralizzazione di tutti gli strati della nazione al rilancio della competitività del paese.
Soprattutto di essere troppo debole verso la “corporazione” del lavoro salariato.
Non che nulla sia stato compiuto dalla seconda repubblica.
Da ultimo dal governo di centro-sinistra, sua ala “radicale” compresa.
Ma è ancora poco.
Lo ha esplicitato Galli della Loggia qualche giorno fa sul Corriere della Sera: il turbine di Mani Pulite, che ha fatto scomparire la Dc e il Psi (ma non i democristiani e i socialisti!), ha permesso alla “sinistra”, uscita indenne da Tangentopoli, di arrivare al governo senza aver in precedenza assunto una cultura di governo; il guaio è che –si lamenta
Galli della Loggia- la “sinistra” continua a non volerla acquisire, tale cultura, si rifiuta di “condurre una grande battaglia di rottura rispetto al proprio stesso passato per cancellare dal suo popolo la mentalità radicale [s.n.], e dunque sempre incline potenzialmente al massimalismo di vario tipo.
La sinistra è ancora prigioniera di un male forse incurabile: il continuismo con la vecchia tradizione comunista.” (23 settembre).
Agli occhi degli industriali e dei banchieri, anche il partito democratico, il cui segretario in pectore non fa altro che sbracciarsi per affermare che il conflitto capitale e lavoro è morto, sembra incapace di tagliare questo cordone “del popolo della sinistra”.
Un progetto molto ambizioso
Così i grandi poteri capitalistici nazionali e internazionali si sono rimessi in moto contro “l’impresa della politica”, come fecero agli inizi degli anni novanta.
Anche questa volta, come nel 1992, occorre sparigliare le carte e preparare una svolta autoritaria, l’arrivo di un novello Cesare, come ha auspicato uno dei loro portavoce, Scalfari, qualche mese fa.
E anche questa volta, il grande capitale cerca di far leva sull’insoddisfazione popolare verso un sistema politico lontano ed estraneo dalle aspettative della gente. Il progetto è lungimirante e ambizioso.
Lo scontento causato dalle conseguenze sui lavoratori del passaggio alla terza repubblica sarà crescente.
Per quanti sforzi si facciano a spingerlo nel retrobottega della coscienza, non potrà essere annullato.
L’unico modo per evitare che trovi un autonomo punto di coagulo è quello di indirizzarlo contro una serie di capri espiatori.
Che stanno in basso: gli immigrati, gli emarginati, la vecchia generazione operaia che sarebbe renitente ai sacrifici (!), gli sfruttati del Sud e dell’Est del mondo che osano ribellarsi al pieno dominio del capitale italiano.
Ma capri espiatori che stanno anche in alto, nella “casta” dei politici borghesi o in quella dei finanzieri speculativi tipo Tanzi e Ricucci (a questi, si capisce, sarà riservato un trattamento di favore).
La promessa è quella di una razionalizzazione del potere politico ed economico, con vantaggi per tutte le “classi produttive” della nazione.
L’obiettivo è in realtà una più scientifica organizzazione della torchiatura e del controllo sociale del lavoro salariato.
Riprendendo la lezione storica della genesi del nazismo e del fascismo, il capitale si prepara a deviare e sublimare lo scontento e la rabbia dei lavoratori verso il sostegno attivo a questo programma, verso la loro mobilitazione contro i nemici esterni alla comunità nazionale e contro i “corrotti” interni che ne minano la compattezza e la competitività.
Di qui, la “tolleranza-zero”, la propaganda razzista, la campagna giovanilista bipartisan contro l’“inutile” peso della vecchia generazione (“Giovinezza, Giovinezza…”), il parziale scoperchiamento della fogna dorata della politica, i tentativi italici di innesto ogm incrociato democrazia-fascismo che le tecniche borghesi di manipolazione della vita sociale e politica hanno in agenda per l’intero Occidente.
(CONTINUA)