La burocrazia togata del cavaliere

fo64

Forumer storico
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Dal sito del Corriere della Sera, in relazione al discorso del Presidente Berlusconi alla festa per i 10 anni di forza Italia:
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Non risparmia i suoi attacchi contro i magistrati il premier. E a un certo punto Silvio Berlusconi legge integralmente un articolo scritto da «don Gianni» Baget Bozzo per rievocare il clima di dieci anni fa.
Lo legge per intero, subissato dagli applausi dei forzisti al palazzo dei congressi, quando scandisce i passaggi più duri contro i magistrati di mani pulite: «Il fascismo - cita il premier - è stato meno odioso di questa burocrazia togata che usava la violenza in nome della legge. Borrelli, Colombo, Bocassini saranno sempre "signati nigro lapillo" come figure da ricordare con orrore, quelle del giudice iniquo».
Berlusconi alla fine chiama sul palco il sacerdote e lo abbraccia con trasporto.
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Silvio, mi consenta... :-x :-x
Avrei alcune cose da obiettare.
Dal sito di Società Civile, alcuni dati e considerazioni su quell'inchiesta che 12 anni fa cambiò un bel pezzo della storia di questo nostro paese:
Fo64

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L’ALFABETO DI MANI PULITE

Arresti.
Tra il 1992 e il 1994, gli anni d’oro di Mani pulite, 70 Procure italiane hanno indagato 12 mila persone e realizzato 5 mila arresti.
A Napoli il record: 554. A Milano, su 5 mila indagati, in dieci anni si sono avute 588 condanne davanti al giudice per l’udienza preliminare e 645 davanti al tribunale.
Sono 1.471 le persone con processi ancora in corso. Tra le assoluzioni, moltissime sono quelle per prescrizione. Quelle nel merito, invece, sono solo il 14,5 per cento (la media italiana di assoluzioni è oltre il 20 per cento).

Bluff.
Mani pulite non sarebbe neppure iniziata senza i bluff di Di Pietro. Prima forzatura: chiede al capitano dei carabinieri Roberto Zuliani, a cui si è affidato un piccolo imprenditore di Monza costretto a pagare tangenti a Chiesa, di compiere l’arresto proprio lunedì 17 febbraio, quando è di turno Di Pietro.
Seconda forzatura: fa credere al suo capo, Borrelli, di essersi dimenticato di depositare gli atti in tempo per celebrare il processo per direttissima a Chiesa, per la sola tangentina di 7 milioni; così intanto prosegue le indagini.
Terza forzatura: fa credere a Chiesa che gli imprenditori stanno confessando e agli imprenditori che sta parlando Chiesa; risultato, parlano tutti.
Più volte i magistrati del pool fanno credere agli avvocati di sapere più di quanto sanno. Esito: molti indagati si precipitano a confessare, prima di essere accompagnati a San Vittore. Qualche volta il bluff non riesce: nel 1993, per esempio, dopo avere indagato a tempo pieno per due mesi su Primo Greganti e le “tangenti rosse”, fanno credere di essere arrivati a un passo da Achille Occhetto e Massimo D’Alema, segretario e vicesegretario del Pds. Gli avvocati si muovono, ma questa volta nessuno abbocca.

Calzino.
Davigo vorrebbe rivoltare l’Italia come un calzino. Lo abbiamo letto mille volte. Ma lo ha detto veramente?
Tutto nasce dopo l’arresto, il 25 luglio 1994, del responsabile dei servizi fiscali della Fininvest, Salvatore Sciascia, per le tangenti pagate alla Guardia di finanza. “Chi l’ha autorizzata a pagare?”, gli domanda Di Pietro. “Paolo Berlusconi”, risponde Sciascia.
Dopo questa confessione, Paolo Berlusconi diventa un ricercato e un latitante.
L’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni dichiara: “Se avessi un fratello latitante gli direi di consegnarsi subito, ma per fortuna ho una sorella veterinaria”. E il ministro della Giustizia Alfredo Biondi: “Berlusconi deve decidere secondo il senso dello Stato. Lo stato di famiglia è un’altra cosa...”. Giuliano Ferrara, allora ministro dei Rapporti con il Parlamento, dice: “Il governo non ha fratelli, ma non possiamo consentire che rovescino come un calzino tutto, dalla bottega dell’artigiano a grandi corporation come la Fininvest e la Fiat”. È a questo punto che Davigo ribatte: “Ma in quale Paese un ministro potrebbe accusare i magistrati di rivoltare la nazione come un calzino?”.
Da quel giorno, grazie a un’abile campagna mediatica, Davigo passerà alla storia come il pm che voleva “rovesciare l’Italia come un calzino”.

Fiorino.
Il 29 luglio 1994 Paolo Berlusconi si consegna a Di Pietro e ammette di aver autorizzato le tangenti alla Finanza. Fa scudo al fratello Silvio: “Sciascia”, assicura, “dipendeva soltanto da me”.
Di Pietro, allora, gli mostra un documento: una donazione di 500 milioni a Sciascia elargita nel 1988 da Silvio: “Lei ne sapeva niente?”. “No”. “E allora vede che lei non conta niente?”. Paolo, a quel punto, deve ammettere che per le questioni strategiche tutti, nel gruppo, fanno capo a Silvio.
E ottiene gli arresti domiciliari, lasciando il palazzo di Giustizia da un’uscita secondaria, nascosto nel bagagliaio di un furgoncino: un Fiat Fiorino beige

Giustizialismo.
Oggi sono tutti contro il “giustizialismo” (definizione sbagliata: il giustizialismo è quello di Peron).
Ieri, invece, i deputati della Lega agitavano il cappio in Parlamento (Luca Leoni Orsenigo, 16 marzo 1993).
Quelli dell’Msi, non ancora An, il 1 aprile 1993 assediavano la Camera e ne bloccavano per 50 minuti gli ingressi, tirando monete con le fionde. Erano giovani camerati che indossavano una maglietta con la scritta: “Siete circondati, arrendetevi”.
Ed erano guidati dai seguenti parlamentari, che il ministero dell’Interno segnalò e censurò: Buontempo, Nania, Maceratini, Rositani, Martinazzo, Pasetto, Matteoli, Poli Bortone, Gasparri.

Mela marcia.
Così erano definiti, dai vertici dei loro partiti, Mario Chiesa e i primi politici inquisiti.
Racconta Piercamillo Davigo: “Un indagato in carcere mi chiese: “Che cosa hanno scritto del mio arresto?”. Io gli diedi i giornali che avevo sotto braccio, in cui era stato qualificato dai suoi dirigenti “una isolata mela marcia”. Subito mi disse: “A sì? Adesso, dottore, le descrivo il resto del cestino”.

Zanzone.
“Zanza”, a Milano, è il piccolo malavitoso furbo. E “Zanzone” viene chiamato Di Pietro da alcuni cronisti giudiziari per le sue furbizie. Esempio. Quando viene arrestato Roberto Mongini, democristiano, vicepresidente della Sea (l’azienda che gestisce gli aeroporti milanesi), Davigo e Colombo si dannano l’anima per convincerlo a confessare le sue tangenti, ma Mongini resta a San Vittore zitto per 16 giorni.
Una sera, i tre del pool hanno un invito da amici. Colombo e Davigo arrivano puntuali. Di Pietro si fa vivo solo verso mezzanotte, con un gran sorriso sornione sulle labbra. Dice ai colleghi: “Piercamillo, mi devi pagare da bere: sai, sono passato per caso da San Vittore. Mongini collabora”.
Poi spiega il metodo usato: “Ho preso quattro faldoni a caso pieni di documenti, sono entrato in cella e gli ho detto: veda un po’ di fare i suoi conti. Lui ha guardato i faldoni e poi ha cominciato a parlare”. È un esempio del “metodo Di Pietro”, insuperabile negli interrogatori, fatto di piccole astuzie ma anche di grande capacità di porre le domande giuste, di intuito, di abilità a entrare in sintonia con l’indagato.
Con il procedere dell’inchiesta e del sostegno entusiastico di massa al magistrato simbolo di Mani pulite, confessare a Di Pietro diventa poi un titolo di merito: gli indagati vogliono confessare a lui e solo a lui. Per questa sua capacità psicologica di far collaborare gli indagati viene chiamato anche “la Madonna”. Molti indagati, in quei mesi, vedono “la Madonna” e parlano.
 

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