giuseppe.d'orta
Forumer storico
Io non rubo, integro. D'altra parte, oggi in Italia chi è che non integra? Totò in "Fifa e Arena", 1948.
MILANO - Giocavano tra di loro, i topi della posta. Un gioco d'azzardo semplice e un po' rischioso. Dotato di una sola regola: vince chi trova, in meno tempo, la busta con più soldi. Un modo come un altro per ingannare le ore durante i turni notturni, e per dare un senso o meglio un metodo alla pratica del saccheggio forsennato che da anni imperversava al Centro Meccanizzato Postale di Peschiera Borromeo.
Un saccheggio che secondo alcune stime avrebbe permesso ai ladri che smistavano la corrispondenza di mezzo paese per conto delle Poste di mettersi in tasca un milione di euro. A svelare questo retroscena, il giorno dopo la retata della polizia postale e delle comunicazioni che ha portato all'arresto di diciassette persone e alla denuncia di altre 23, è una signorina dal tono gentile e affabile: questa donna, che chiameremo Anna, è uno dei sei agenti che per tre mesi hanno lavorato come infiltrati tra i nastri trasportatori della posta al Cmp.
Che tipo di gioco facevano i postini infedeli?
"Si comportavano come se fosse un poker, era inquietante vederli, tutti divertiti, aprire sbirciando quelle buste, lenti lenti, come se fossero le cinque carte di una mano a poker, poi uscire dai bagni, raccontare agli altri il proprio punto e gioire o incupirsi. In realtà, nella sostanza, il tutto si riduceva a una gara a chi trovava la busta più grossa, quella con il contenuto più prezioso, nel minor tempo possibile".
Può raccontare come è cominciato il suo servizio sotto copertura?
"Ho cominciato a fine novembre. Mi sono fatta assumere come trimestrale per ditte esterne che lavoravano in service. Lentamente sono entrata in contatto con loro, io e gli altri agenti siamo diventati loro amici. Abbiamo raccontato le nostre storie, ci siamo fatti conoscere. Ricordo ancora quando ci presentarono, all'ufficio risorse umane. Alla fine si fidavano di noi. Siamo anche usciti a cena insieme, qualche volta".
E' stato allora che avete deciso di mettere le microcamere nei bagni?
"Esatto. Era l'unico modo. Anche perché questi qui sono dei fenomeni. Quando sono davanti al nastro sono velocissimi a far sparire le buste".
Chi era il più bravo?
"Senza dubbio Franco Vatti. Un ragazzo di trent'anni. Alla fine l'abbiamo soprannominato il prestigiatore. Eravamo con lui davanti al macchinario e non ci accorgevamo di niente. Poi il giorno dopo guardavamo le riprese nei water e lo vedevamo aprire 40, 50 buste. Lo abbiamo studiato a lungo e alla fine abbiamo individuato il suo punto debole".
Quale?
"L'abbigliamento. Veniva con tre maglioni e due cappotti. E sì che in quelle sale, con le macchine accese giorno e notte a volte faceva un caldo da stare in maglietta a dicembre. Metteva tutto sotto...".
Siete riusciti a parlare con loro?
"Certo. Uno, durante un turno un po' più stancante del solito mi ha detto: "Sai cosa sogno? Sogno di trovare la busta che ti cambia la vita. La busta giusta". Comunque parlare con loro è stata un'impresa".
Perché?
"Perché quello è il regno della diffidenza e dell'omertà. Tutti sanno perfettamente che lì si ruba, ma nessuno parla. Per due motivi. Il primo è la paura: chi ha provato a ribellarsi a quel regime o, peggio, a denunciarlo, ha passato guai seri. E il secondo è che in fondo c'è una sorta di comprensione diffusa. Me lo ha spiegato un postino quando gli ho detto che rubare secondo me non era bello: "Questa è una fabbrica dove i lavoratori non guadagnano più di mille, mille e duecento euro. E camparci a Milano, con uno stipendio del genere e magari con una famiglia è impossibile. Tu limitati a fare il tuo lavoro e stai zitta"".
Li avete presi tutti?
"No. Abbiamo arrestato solamente una minima parte di quelli che rubano. Nei bagni abbiamo visto entrare almeno altre dodici persone, che però non siamo riusciti a identificare, senza contare che la zona che noi abbiamo controllato sarà un decimo di tutto il Cmp. A fianco c'è un capannone grande come uno stadio di calcio. A Natale si riempie di ogni ben di dio. Computer portatili, strumenti musicali, telefonini, gioielli, orologi, pezzi d'arredamento.... Beh, la gente faceva a gara per andare a fare i turni di notte là dentro".
http://www.repubblica.it/2005/f/sezioni/cronaca/postsic/infi/infi.html
MILANO - Giocavano tra di loro, i topi della posta. Un gioco d'azzardo semplice e un po' rischioso. Dotato di una sola regola: vince chi trova, in meno tempo, la busta con più soldi. Un modo come un altro per ingannare le ore durante i turni notturni, e per dare un senso o meglio un metodo alla pratica del saccheggio forsennato che da anni imperversava al Centro Meccanizzato Postale di Peschiera Borromeo.
Un saccheggio che secondo alcune stime avrebbe permesso ai ladri che smistavano la corrispondenza di mezzo paese per conto delle Poste di mettersi in tasca un milione di euro. A svelare questo retroscena, il giorno dopo la retata della polizia postale e delle comunicazioni che ha portato all'arresto di diciassette persone e alla denuncia di altre 23, è una signorina dal tono gentile e affabile: questa donna, che chiameremo Anna, è uno dei sei agenti che per tre mesi hanno lavorato come infiltrati tra i nastri trasportatori della posta al Cmp.
Che tipo di gioco facevano i postini infedeli?
"Si comportavano come se fosse un poker, era inquietante vederli, tutti divertiti, aprire sbirciando quelle buste, lenti lenti, come se fossero le cinque carte di una mano a poker, poi uscire dai bagni, raccontare agli altri il proprio punto e gioire o incupirsi. In realtà, nella sostanza, il tutto si riduceva a una gara a chi trovava la busta più grossa, quella con il contenuto più prezioso, nel minor tempo possibile".
Può raccontare come è cominciato il suo servizio sotto copertura?
"Ho cominciato a fine novembre. Mi sono fatta assumere come trimestrale per ditte esterne che lavoravano in service. Lentamente sono entrata in contatto con loro, io e gli altri agenti siamo diventati loro amici. Abbiamo raccontato le nostre storie, ci siamo fatti conoscere. Ricordo ancora quando ci presentarono, all'ufficio risorse umane. Alla fine si fidavano di noi. Siamo anche usciti a cena insieme, qualche volta".
E' stato allora che avete deciso di mettere le microcamere nei bagni?
"Esatto. Era l'unico modo. Anche perché questi qui sono dei fenomeni. Quando sono davanti al nastro sono velocissimi a far sparire le buste".
Chi era il più bravo?
"Senza dubbio Franco Vatti. Un ragazzo di trent'anni. Alla fine l'abbiamo soprannominato il prestigiatore. Eravamo con lui davanti al macchinario e non ci accorgevamo di niente. Poi il giorno dopo guardavamo le riprese nei water e lo vedevamo aprire 40, 50 buste. Lo abbiamo studiato a lungo e alla fine abbiamo individuato il suo punto debole".
Quale?
"L'abbigliamento. Veniva con tre maglioni e due cappotti. E sì che in quelle sale, con le macchine accese giorno e notte a volte faceva un caldo da stare in maglietta a dicembre. Metteva tutto sotto...".
Siete riusciti a parlare con loro?
"Certo. Uno, durante un turno un po' più stancante del solito mi ha detto: "Sai cosa sogno? Sogno di trovare la busta che ti cambia la vita. La busta giusta". Comunque parlare con loro è stata un'impresa".
Perché?
"Perché quello è il regno della diffidenza e dell'omertà. Tutti sanno perfettamente che lì si ruba, ma nessuno parla. Per due motivi. Il primo è la paura: chi ha provato a ribellarsi a quel regime o, peggio, a denunciarlo, ha passato guai seri. E il secondo è che in fondo c'è una sorta di comprensione diffusa. Me lo ha spiegato un postino quando gli ho detto che rubare secondo me non era bello: "Questa è una fabbrica dove i lavoratori non guadagnano più di mille, mille e duecento euro. E camparci a Milano, con uno stipendio del genere e magari con una famiglia è impossibile. Tu limitati a fare il tuo lavoro e stai zitta"".
Li avete presi tutti?
"No. Abbiamo arrestato solamente una minima parte di quelli che rubano. Nei bagni abbiamo visto entrare almeno altre dodici persone, che però non siamo riusciti a identificare, senza contare che la zona che noi abbiamo controllato sarà un decimo di tutto il Cmp. A fianco c'è un capannone grande come uno stadio di calcio. A Natale si riempie di ogni ben di dio. Computer portatili, strumenti musicali, telefonini, gioielli, orologi, pezzi d'arredamento.... Beh, la gente faceva a gara per andare a fare i turni di notte là dentro".
http://www.repubblica.it/2005/f/sezioni/cronaca/postsic/infi/infi.html