great gatsby
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RITROVARE LA FAME NEGLI OCCHI PER CRESCERE
di GIANNI SIMONATO
Sembra che abbiamo perduto l’arte di arrangiarci! Ma come, proprio noi cittadini di questo Paese che, pur con tutte le sue diversità, è conosciuto nel mondo come il più creativo e più innovativo nella moda, nella cucina, nelle attività artigianali ed artistiche. Vero che con gli anni ci si rincoglionisce, ma non posso credere che siamo allo stadio terminale. Siamo passati da una seconda Guerra Mondiale spaventosa ricostruendo mattone su mattone fino a diventare la quinta potenza industriale mondiale. Possiamo dire che il passato successo del Paese sia da attribuire alle positive condizioni politiche, al clima fiscale particolarmente favorevole, al basso costo del lavoro, alla flessibilità del lavoro? Sicuramente no, non è mai stato facile, in ogni momento della storia passata. Questo perchè le condizioni ideali di fatto non esistono. Non esiste un momento migliore di un altro per creare un’impresa, in assoluto. Ci sono sempre pro e contro, punti di forza e punti di debolezza. Negli anni ‘80 con un’inflazione al 20% non ce la passavamo certamente bene. Siamo passati attraverso le crisi petrolifere, la fine dei cambi fissi, le lotte sindacali. E siamo ancora qua.
E allora smettiamola di aspettare che qualcuno cambi le cose per noi. Quando lo spread si sarà abbassato, quando i conti pubblici ritorneranno in ordine cosa succederà? Tutti diventeremo forse ricchi e la vita diventerà più facile? Illusione, pura illusione. L’unificazione europea è ben lontana dal suo compimento. Se solo dopo dieci anni scopriamo che i bilanci dell’Europa a 27 non sono in ordine, cosa ci possiamo aspettare che vengano forse sistemati in sei mesi? Illusione, pura illusione. Giusto sistemare i problemi degli Stati e perseguire politiche comuni, e per le singole imprese cosa cambia? Dobbiamo scrollarci di dosso il vittimismo e cominciare a riorganizzare le nostre attività, senza aspettarci aiuti particolari dallo Stato. Per venirne fuori dobbiamo ritrovare l’arte di arrangiarci, nella quale noi italiani siamo maestri. Quando il mondo esterno cambia in maniera più veloce del cambiamento del singolo, quest’ultimo entra in crisi, ed è quello che sta accadendo. Le imprese e i professionisti non stanno tenendo il passo con il cambiamento. Vedo tre punti di profondo rinnovamento, sia per le imprese che per i professionisti: individualismo, produzione, export.
Il vecchio modello di sviluppo si è sempre basato su un alto tasso di individualismo. Mentre l’Europa procede verso una sia pur difficoltosa unificazione, imprese e professionisti lavorano ancora in maniera individuale, e per questo hanno il fiato corto. Oggi la competizione è talmente forte che far da soli non è più sufficiente. Si richiedono competenze via via superiori, prezzi competitivi, investimenti in innovazione, mercati lontani da raggiungere. Richiesta incompatibile con la sola intelligenza individuale, occorre far ricorso al fare insieme, alla cosiddetta intelligenza collettiva. Ma se solo si mettessero insieme le imprese, lavorando in network di filiera, quale potenza ne verrebbe fuori? La produzione materiale, in un mondo affollato da produttori, spinge i prezzi al ribasso, erodendo i margini. Guardati attorno e fai produrre chi è più competitivo, nel rispetto di leggi e regolamenti. Pensa a produrre bene, a costi competitivi ma pensa a creare qualcosa di nuovo, anche partendo dal vecchio. Se ti fermi, al contrario, si fermeranno anche i tuoi margini, innestando una pericolosa discesa. L’export è stato uno dei fattori che ha contribuito a creare il miracolo italiano. Per anni abbiamo goduto della svalutazione della nostra moneta per fare ottimi profitti sulle piazza europee. Questo mecanismo è finito con l’europa a 27. Ma il mondo non è finito, anzi si è allargato negli ultimi anni. Hai sempre guardato a 60 milioni di italiani, e a 500 milioni di europei a 27, ma nel mondo ci sono 7 miliardi di persone. Abbiamo perso la voglia di arrangiarci, non abbiamo più la fame dipinta sul viso. Abbiamo ancora delle riserve di ricchezza che ci fanno pensare che è meglio proteggere il gruzzoletto piuttosto che puntare a creare sviluppo. E questa condizione non la cambia nessun Governo, è dentro a ciascuno di noi che voglia affrontare la sfida del cambiamento. Smettiamola di lamentarci ad ogni costo e ritroviamo quella voglia e quella determinazione che ci hanno resi grandi nel mondo, con l’espressione di chi ha ancora la fame dipinta sul viso e non vuole smettere di mettersi in gioco.
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di GIANNI SIMONATO
Sembra che abbiamo perduto l’arte di arrangiarci! Ma come, proprio noi cittadini di questo Paese che, pur con tutte le sue diversità, è conosciuto nel mondo come il più creativo e più innovativo nella moda, nella cucina, nelle attività artigianali ed artistiche. Vero che con gli anni ci si rincoglionisce, ma non posso credere che siamo allo stadio terminale. Siamo passati da una seconda Guerra Mondiale spaventosa ricostruendo mattone su mattone fino a diventare la quinta potenza industriale mondiale. Possiamo dire che il passato successo del Paese sia da attribuire alle positive condizioni politiche, al clima fiscale particolarmente favorevole, al basso costo del lavoro, alla flessibilità del lavoro? Sicuramente no, non è mai stato facile, in ogni momento della storia passata. Questo perchè le condizioni ideali di fatto non esistono. Non esiste un momento migliore di un altro per creare un’impresa, in assoluto. Ci sono sempre pro e contro, punti di forza e punti di debolezza. Negli anni ‘80 con un’inflazione al 20% non ce la passavamo certamente bene. Siamo passati attraverso le crisi petrolifere, la fine dei cambi fissi, le lotte sindacali. E siamo ancora qua.
E allora smettiamola di aspettare che qualcuno cambi le cose per noi. Quando lo spread si sarà abbassato, quando i conti pubblici ritorneranno in ordine cosa succederà? Tutti diventeremo forse ricchi e la vita diventerà più facile? Illusione, pura illusione. L’unificazione europea è ben lontana dal suo compimento. Se solo dopo dieci anni scopriamo che i bilanci dell’Europa a 27 non sono in ordine, cosa ci possiamo aspettare che vengano forse sistemati in sei mesi? Illusione, pura illusione. Giusto sistemare i problemi degli Stati e perseguire politiche comuni, e per le singole imprese cosa cambia? Dobbiamo scrollarci di dosso il vittimismo e cominciare a riorganizzare le nostre attività, senza aspettarci aiuti particolari dallo Stato. Per venirne fuori dobbiamo ritrovare l’arte di arrangiarci, nella quale noi italiani siamo maestri. Quando il mondo esterno cambia in maniera più veloce del cambiamento del singolo, quest’ultimo entra in crisi, ed è quello che sta accadendo. Le imprese e i professionisti non stanno tenendo il passo con il cambiamento. Vedo tre punti di profondo rinnovamento, sia per le imprese che per i professionisti: individualismo, produzione, export.
Il vecchio modello di sviluppo si è sempre basato su un alto tasso di individualismo. Mentre l’Europa procede verso una sia pur difficoltosa unificazione, imprese e professionisti lavorano ancora in maniera individuale, e per questo hanno il fiato corto. Oggi la competizione è talmente forte che far da soli non è più sufficiente. Si richiedono competenze via via superiori, prezzi competitivi, investimenti in innovazione, mercati lontani da raggiungere. Richiesta incompatibile con la sola intelligenza individuale, occorre far ricorso al fare insieme, alla cosiddetta intelligenza collettiva. Ma se solo si mettessero insieme le imprese, lavorando in network di filiera, quale potenza ne verrebbe fuori? La produzione materiale, in un mondo affollato da produttori, spinge i prezzi al ribasso, erodendo i margini. Guardati attorno e fai produrre chi è più competitivo, nel rispetto di leggi e regolamenti. Pensa a produrre bene, a costi competitivi ma pensa a creare qualcosa di nuovo, anche partendo dal vecchio. Se ti fermi, al contrario, si fermeranno anche i tuoi margini, innestando una pericolosa discesa. L’export è stato uno dei fattori che ha contribuito a creare il miracolo italiano. Per anni abbiamo goduto della svalutazione della nostra moneta per fare ottimi profitti sulle piazza europee. Questo mecanismo è finito con l’europa a 27. Ma il mondo non è finito, anzi si è allargato negli ultimi anni. Hai sempre guardato a 60 milioni di italiani, e a 500 milioni di europei a 27, ma nel mondo ci sono 7 miliardi di persone. Abbiamo perso la voglia di arrangiarci, non abbiamo più la fame dipinta sul viso. Abbiamo ancora delle riserve di ricchezza che ci fanno pensare che è meglio proteggere il gruzzoletto piuttosto che puntare a creare sviluppo. E questa condizione non la cambia nessun Governo, è dentro a ciascuno di noi che voglia affrontare la sfida del cambiamento. Smettiamola di lamentarci ad ogni costo e ritroviamo quella voglia e quella determinazione che ci hanno resi grandi nel mondo, con l’espressione di chi ha ancora la fame dipinta sul viso e non vuole smettere di mettersi in gioco.
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