La "giustizia" itagliana

Fleursdumal

फूल की बुराई
:down: :down: :down: kafka gli fa un baffo

http://www.repubblica.it/2008/02/sezioni/cronaca/gravina-2/comme-davanz/comme-davanz.html

IL COMMENTO
Gravina, la giustizia smarrita
di GIUSEPPE D'AVANZO

FILIPPO Pappalardi torna a casa, ma in stato di arresto e attenderà, in stato di arresto, che l'indagine per la morte di Francesco e Salvatore, i suoi figli, trovi una ragionevolezza smarrita. Anche in quest'ultima mossa, soltanto apparentemente più lieve, le decisioni della magistratura appaiono incongrue, incomprensibili. Si dice: non è stato il padre a uccidere i due ragazzi. Non c'è alcun indizio per poter sostenere che abbia voluto cagionarne la morte.

L'accusa nei suoi confronti deve essere corretta: Filippo Pappalardi non è l'assassino, anche perché non c'è stato alcun assassinio. Deve rispondere di non avere avuto cura dei suoi ragazzi, di averli abbandonati al pericolo quella sera del 5 giugno del 2006 (minorenni, non potevano provvedere a loro stessi) e di averne così provocato la morte con l'accidentale caduta nel pozzo-cisterna. È un reato che abitualmente si contesta alla madre che abbandona il neonato all'angolo di una strada; agli infermieri che si allontanano - tutti - da una casa di cura che ospita anziani e inabili.

Sarà l'inchiesta ora a definire la fondatezza di questa nuova accusa. Sorprende che Pappalardi - dopo avere perso i suoi figli, dopo essere stato accusato di omicidio - debba attenderne l'esito in stato di arresto.

Era proprio necessario, era proprio "dovuto"? Ci sono tre condizioni per disporre una "custodia cautelare". La reiterazione del reato. Il pericolo di fuga. L'inquinamento delle prove. Nessuna di queste condizioni fa capolino nell'affare. Pappalardi non può più abbandonare i suoi figli che sono morti. Non può danneggiare un'inchiesta già con larghezza compromessa da errori, passi falsi, incertezze investigative. Non è fuggito finora. Non fuggirà oggi.

E allora perché Pappalardi resta agli arresti? Per "l'estrema negatività della sua personalità". Non ha mostrato mai "senso di colpa", scrive il giudice. I suoi comportamenti sono "ripugnanti". "Al di là della gravità del fatto", quel tipo lì - che non piange i figli, non si dispera in pubblico per la loro sorte; che non si mortifica per un matrimonio andato a male; che manda al diavolo il codazzo delle telecamere e, durante gli interrogatori, anche i giudici - è "socialmente pericoloso" e merita di starsene agli arresti in casa.

Non c'è dubbio che Filippo Pappalardi abbia una faccia che può non piacere. È violento, arrogante. È un "padre padrone", prepotente e manesco. Ma la fisiognomica e comportamenti primitivi non possono essere condizione sufficiente per tenere agli arresti un padre "sbagliato" che ha perso due figli, è stato accusato senza alcuna prova di essere l'assassino, è stato incarcerato, innocente.

Negli affari giudiziari bisogna diffidare di chi mena fendenti forsennati nella convinzione di avere tra le dita la corda della verità. Ma in questo affare di Gravina c'è di più e di peggio. C'è la sgradevole sensazione di trovarsi alle prese con una magistratura che, indispettita dai suoi errori, non riesce a correggere se stessa. Anzi non accetta di vedere censurate le sue decisioni e pretende - in ogni caso - un castigo anche a costo di ritorsioni contro il malcapitato che ha davanti. Una ritorsione, ecco che cosa sembra la decisione del giudice.

Sono decenni che il processo italiano è in crisi di efficienza, di risultati e di credibilità, un ordigno maligno che sanziona prima dell'accertamento e, quando accerta le responsabilità, non riesce a punirle. In questa scena così critica - di cui la magistratura è corresponsabile ma inabilitata a riformare - la responsabilità delle toghe dovrebbe essere raddoppiata e non attenuata, soprattutto a fronte degli errori commessi.

Quando questo non accade, le toghe dimenticano che possono sperperare giorno dopo giorno il loro prestigio dinanzi a un'opinione pubblica che non ne comprende gli orientamenti; non ne apprezza l'ostinazione; non capisce le sue decisioni, contrarie soprattutto al senso comune. Sono queste le condizioni, sostengono gli studiosi che hanno le loro radici nelle scienze sociali e nella scienza politica, che mettono in movimento contrappesi tecnici, istituzionali, politici.

Gli ultimi sono naturalmente i più importanti. Prevedono che venga aumentato il numero dei giudici; che si riformi la procedura; che si abolisca un tribunale; che si modifichi la giurisdizione; che si diminuiscano le risorse assegnate al sistema giudiziario; che si emendi la Costituzione. Sono i contrappesi politici alla fine a potenziare i contrappesi tecnici perché sono utili a incentivare nei giudici un atteggiamento di autolimitazione (self-restraint); sono in grado di essere un buon deterrente alla manipolazione delle norme.

Alla vigilia di una nuova stagione politica, la magistratura dovrebbe ricordare che non può reggere, all'infinito, un conflitto con le opinioni diffuse e condivise. Pena, perdere ogni credibilità. È quel che già è affiorato nelle ultime legislature. Un'opinione pubblica stanca, diffidente, sospettosa della consorteria togata ha "autorizzato" la politica a individuare contrappesi. La Bicamerale era questa cosa qui. È stato il varco politico e istituzionale dentro il quale si è mosso poi il contro-riformismo del centro-destra, di Berlusconi, dei suoi avvocati.

Ci si augura che, nel prossimo Parlamento, non si debba ancora assistere al conflitto infinito tra le toghe e la politica. Anche i magistrati dovrebbero capirlo ed evitarlo. Soltanto applicando la legge con equilibrio e saggezza. Come a Gravina, purtroppo, non è accaduto.
 

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