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LA PCR NON FA DIAGNOSI DI COVID-19
By Leopoldo Salmaso Last updated Ott 23, 2020 7,923
Kary B. Mullis, premio Nobel per aver inventato la PCR
Siamo convinti che molti dei personaggi coinvolti nella “panicodemia” stiano agendo in buona fede. Tuttavia è scientificamente inoppugnabile che i numeri dei casi etichettati come “Covid-19” sono enormemente gonfiati.
Non vi è alcun fondamento epidemiologico per terrorizzare l’intera umanità e imporre lockdown che fanno sprofondare miliardi di persone nella povertà e nella disperazione, fino al suicidio.
Di Torsten Engelbrecht e Konstantin Demeter
I test PCR (Polymerase Chain Reaction) non sono adatti a diagnosticare una malattia infettiva. La PCR può “captare” anche le più brevi sequenze di DNA o RNA, ma non permette di capire se quelle sequenze siano frammenti sparsi o facciano parte di un microorganismo intero, che deve essere isolato in un processo separato.
Eppure i test PCR vengono usati per “dare i numeri” della Covid-19, cioè dei presunti casi e decessi associati ad un virus chiamato SARS-CoV-2. Con quei numeri i globocrati hanno trovato uno strumento micidiale per tenere in ostaggio il mondo: inculcando la falsa convinzione che una persona con tampone positivo sia infettata da un nuovo virus potenzialmente letale e assai contagioso, essi trasformano cittadini critici in pecore terrorizzate e obbedienti: è questo il più attuale e indiscutibile “effetto gregge”.
Il mantra dell'OMS “Testate, testate, testate…” è infondato.
Il 16 marzo 2020 Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore Generale dell’OMS, in una conferenza stampa su COVID-19 esortò la comunità mondiale: “Abbiamo un messaggio semplice per tutti i paesi: testate, testate, testate” (1).
Questo messaggio fu diffuso negli angoli più remoti della Terra (2, 3) al punto che la credenza nel valore dei test PCR per far diagnosi di Covid-19 ha assunto caratteristiche dogmatiche.
Ma i dogmi sono espressione di fede, non di scienza.
Walter Lippmann, definito il giornalista più influente del XX secolo (4), scrisse: “Quando tutti pensano allo stesso modo, nessuno pensa granché” (5).
Così, in merito alla PCR, la maggioranza dogmatica la pensa allo stesso modo, tradendo perfino l’inventore della PCR il quale sosteneva che la PCR non è sufficiente a far diagnosi di infezione. In rare occasioni il mainstream concede qualcosa alle tesi “eretiche”, ad esempio il New York Times con l’articolo “La fede in un test rapido porta all’epidemia che non c’è” (6).
Manca un gold standard.
I test PCR utilizzati per “diagnosticare” la Covid-19 non hanno un gold standard di riferimento. Per chiarire: il gold standard per un test di gravidanza è la gravidanza stessa. Ma per COVID-19 non esiste nulla di simile. Alla domanda “Quanto è accurato l’attuale test PCR per far diagnosi di infezione da SARS-CoV-2?”, lo specialista in malattie infettive Sanjaya Senanayake ha risposto: “Se si propone un nuovo test per individuare lo Staphylococcus aureus nel sangue, lo valutiamo a confronto con il gold standard che usiamo da decenni: le colture ematiche. Ma per COVID-19 non abbiamo gold standard” (7).
Infatti solo un virus identificato mediante isolamento, purificazione completa e coltura può fungere da gold standard, ma nessuno ha mai isolato, purificato né coltivato SARS-CoV-2.
Jessica C. Watson dell’Università di Bristol (UK), nel suo articolo “Interpreting a COVID-19 test result”, recentemente pubblicato sul BMJ, scrive che “manca un chiaro gold standard”. Poi, la Watson sostiene che, “pragmaticamente”, il quadro clinico più la PCR positiva ” è forse il miglior gold standard disponibile” (8). Osserviamo: in mancanza di oro uno può anche accontentarsi dell’ottone, ma non dica “l’ottone è forse il miglior oro disponibile”.
La logica scientifica esclude che si possa “provare” alcunché tramite tautologie, ma costituisce una chiara tautologia affermare che i test PCR possono far parte di un gold standard da utilizzare per valutare i test PCR stessi. D’altra parte, non esistono sintomi patognomonici, cioè inconfondibili, di COVID-19, come ci è stato confermato anche da Thomas Löscher, medico “ortodosso” già direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’Università di Monaco di Baviera (9). E se non esistono sintomi inequivocabili per ciò che viene definito COVID-19, la diagnosi esclusivamente clinica di COVID-19 non può servire come gold standard per i test PCR.
Abbiamo perciò chiesto alla Watson come mai ha scritto che la diagnosi di COVID-19 “è forse il miglior gold standard disponibile”. Purtroppo non abbiamo avuto risposta, nonostante ripetute richieste fatte sia direttamente che tramite Rapid-Response sul sito web del BMJ (10).
Nessuna prova che l’RNA sia di origine virale
Che cosa è necessario per identificare un virus a RNA? Dobbiamo sapere da dove proviene l’RNA che troviamo coi test PCR. Sia libri di testo classici (ad es. White/Fenner. Medical Virology, 1986, p. 9) che i maggiori virologi come Luc Montagnier o Dominic Dwyer affermano che la completa purificazione delle particelle virali è prerequisito essenziale per provare l’esistenza di un virus (11). “Purificare” significa separare un oggetto da tutto ciò che non gli appartiene. Ora, va ricordato che la PCR è estremamente sensibile, cioè può “captare” anche le più brevi sequenze di DNA o RNA, ma non permette di capire se quelle sequenze siano frammenti sparsi o facciano parte di un microorganismo intero, che deve essere in un processo separato. Per questo motivo abbiamo chiesto se le immagini al microscopio elettronico, esibite da vari Autori, mostrano virus completamente purificati. Nessuno ha risposto in maniera affermativa, eppure nessuno ha obiettato che la completa purificazione non fosse un passo necessario per accertare il rilevamento di un virus. Abbiamo ricevuto solo le risposte elencate nella tabella seguente.
Risposte alla domanda: “Le Vostre immagini al microscopio elettronico mostrano virus completamente purificati?
Fonte: Torsten Engelbrecht
Se gli autori di questi studi ammettono che le immagini da loro pubblicate non mostrano particelle completamente purificate, allora non possono affermare che l’RNA da loro trovato mediante PCR appartenga a quelle particelle virali.
Nel 2001, Science pubblicò un “appassionato appello di esperti virologi (tra cui Calisher) alle giovani generazioni”. La sostanza di quell’ appello: “I metodi moderni per individuare i virus, come le PCR troppo spinte… dicono poco o nulla su come un virus si riproduce, quali animali lo ospitano, o come causa malattie… È come voler dire che una persona ha l’alito cattivo esaminando le sue impronte digitali” (12).
Abbiamo chiesto a Calisher se è a conoscenza di studi in cui SARS-CoV-2 sia stato isolato e completamente purificato. La sua risposta: “Non conosco nessuno studio del genere. Eppure l’ho cercato” (13).
I Centers For Disease Control And Prevention (CDC) statunitensi ammettono chiaramente di non avere a disposizione un virus isolato e il relativo genoma (14).
Conclusione: l’idea che le sequenze di RNA su cui sono stati “calibrati” i test SARS-CoV-2 RT-PCR appartengano ad un nuovo virus patogeno chiamato SARS-CoV-2 non è supportata dai criteri scientifici vigenti.
Nessuna prova che SARS-COV-2 causi Covid-19
Anche volendo ignorare il prerequisito della purificazione, non è stata fornita alcuna prova scientifica che le particelle chiamate SARS-CoV-2 siano gli agenti causali della nuova malattia chiamata COVID-19.
Per poter dimostrare tale legame occorre soddisfare i quattro postulati di Koch, ma questo non è mai stato fatto (15) o, quando fatto, ha fallito come lo studio pubblicato su “Nature” il 7 maggio (16), che non soddisfa nessuno dei quattro postulati.
Non sorprende quindi che nessuno dei principali rappresentanti della teoria ufficiale della COVID-19 in Germania (Istituto Robert Koch – RKI; Alexander S. Kekulé, Università di Halle; Hartmut Hengel e Ralf Bartenschlager della Deutsche Gesellschaft für Virologie; Thomas Löscher; Ulrich Dirnagl della Charité di Berlino; Georg Bornkamm, virologo e professore emerito del Helmholtz-Zentrum di Monaco di Baviera) abbia potuto rispondere alla seguente domanda: “Se un virus nuovo, chiamato SARS-CoV-2, non è mai stato completamente purificato, come si può essere sicuri che determinate sequenze di RNA appartengano esclusivamente a codesto nuovo virus?”.
Va anche considerato che sostanze come gli antibiotici, normalmente aggiunti alle colture cellulari negli studi in vitro per individuare i virus, possono “stressare” le colture cellulari al punto da evocare nuove sequenze di geni precedentemente inesistenti (17). Su questo aspetto Barbara McClintock richiamò l’attenzione nella sua lettura magistrale per il conferimento del premio Nobel 1983 (18).
La PCR da sola trova tutto e il contrario di tutto
L’autorità sanitaria della provincia cinese del Guangdong, già a febbraio 2020, riferì che persone malate e risultate positive, dopo essersi completamente ristabilite dai sintomi della malattia, sono risultate dapprima negative ma poi di nuovo positive (19, 20). Un mese dopo, uno studio pubblicato sul Journal of Medical Virology ha mostrato che in un ospedale di Wuhan 29 pazienti su 610 avevano da tre a sei risultati di test che variavano tra negativo, positivo e dubbio (21). In uno studio di Singapore sono stati testati quasi quotidianamente 18 pazienti. Si è constatato che per la maggioranza dei pazienti i risultati dei test sono passati da positivo a negativo e di nuovo a positivo almeno una volta; in diversi pazienti più volte; in uno dei pazienti fino a quattro volte (22). Wang Chen, presidente dell’Accademia cinese delle scienze mediche, ha ammesso a febbraio che i test PCR sono “accurati solo dal 30 al 50%”, mentre Sin Hang Lee, del Laboratorio di diagnostica molecolare di Milford, in una lettera al Coronavirus-Response-Team dell’OMS e ad Anthony S. Fauci, l'”eminenza grigia” della virologia statunitense, afferma: “è stato ampiamente riportato dai social media che i kit RT-qPCR utilizzati per rilevare l’RNA SARS-CoV-2 in campioni umani producono molti risultati falsi positivi e non sono abbastanza sensibili per rilevare alcuni casi veramente positivi” (23).
Anche un test quasi infallibile può naufragare a causa del PPV
Nella pratica clinica si accettano test che abbiano una specificità notevole, prossima al 99%. La specificità è la capacità di un test di escludere i falsi positivi. Se un test ha una specificità del 95%, significa che nel 5% dei casi risulterà falsamente positivo. Ma non basta: qualunque sia la specificità del test, il numero assoluto di falsi positivi varia enormemente se la variabile ricercata è molto diffusa oppure rara nel gruppo studiato, perciò bisogna sempre associare il Valore Predittivo Positivo (PPV) il quale calcola la probabilità statistica che una persona con un risultato positivo al test sia realmente infettata: minore è la prevalenza (diffusione) dell’infezione, minore è il PPV del test.
Ora, anche ammettendo che i test PCR possano diagnosticare un’infezione da cosiddetto SARS-CoV-2, essi provocherebbero solo un infondato panico se quel virus non fosse estremamente contagioso e non causasse malattia grave o mortale nella maggior parte dei casi.
L’ortodossa rivista Deutsches Ärzteblatt il 12 giugno 2020 ha pubblicato un articolo in cui il PPV è stato calcolato utilizzando tre diversi scenari di prevalenza (24). Anche accettando una “favolosa” specificità del 95%, vi si conclude che i test SARS-CoV-2 RT-PCR possono avere un PPV “spaventosamente basso”. Nello scenario in cui si ipotizza una prevalenza del 3%, il PPV è appena del 30%, cioè non meno del 70% dei risultati “positivi” sarebbero falsi positivi. Nello scenario in cui si ipotizza una prevalenza di infezione del 20%, il PPV è del 78%, il che significa che il 22 per cento dei test positivi sarebbero falsi positivi. Cioè: dei circa 20 milioni di persone attualmente considerate “positive” a livello mondiale, almeno 4,4 milioni sarebbero falsi positivi.
continua

Siamo convinti che molti dei personaggi coinvolti nella “panicodemia” stiano agendo in buona fede. Tuttavia è scientificamente inoppugnabile che i numeri dei casi etichettati come “Covid-19” sono enormemente gonfiati.
Non vi è alcun fondamento epidemiologico per terrorizzare l’intera umanità e imporre lockdown che fanno sprofondare miliardi di persone nella povertà e nella disperazione, fino al suicidio.
Di Torsten Engelbrecht e Konstantin Demeter
I test PCR (Polymerase Chain Reaction) non sono adatti a diagnosticare una malattia infettiva. La PCR può “captare” anche le più brevi sequenze di DNA o RNA, ma non permette di capire se quelle sequenze siano frammenti sparsi o facciano parte di un microorganismo intero, che deve essere isolato in un processo separato.
Eppure i test PCR vengono usati per “dare i numeri” della Covid-19, cioè dei presunti casi e decessi associati ad un virus chiamato SARS-CoV-2. Con quei numeri i globocrati hanno trovato uno strumento micidiale per tenere in ostaggio il mondo: inculcando la falsa convinzione che una persona con tampone positivo sia infettata da un nuovo virus potenzialmente letale e assai contagioso, essi trasformano cittadini critici in pecore terrorizzate e obbedienti: è questo il più attuale e indiscutibile “effetto gregge”.
Il mantra dell'OMS “Testate, testate, testate…” è infondato.
Il 16 marzo 2020 Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore Generale dell’OMS, in una conferenza stampa su COVID-19 esortò la comunità mondiale: “Abbiamo un messaggio semplice per tutti i paesi: testate, testate, testate” (1).
Questo messaggio fu diffuso negli angoli più remoti della Terra (2, 3) al punto che la credenza nel valore dei test PCR per far diagnosi di Covid-19 ha assunto caratteristiche dogmatiche.
Ma i dogmi sono espressione di fede, non di scienza.
Walter Lippmann, definito il giornalista più influente del XX secolo (4), scrisse: “Quando tutti pensano allo stesso modo, nessuno pensa granché” (5).
Così, in merito alla PCR, la maggioranza dogmatica la pensa allo stesso modo, tradendo perfino l’inventore della PCR il quale sosteneva che la PCR non è sufficiente a far diagnosi di infezione. In rare occasioni il mainstream concede qualcosa alle tesi “eretiche”, ad esempio il New York Times con l’articolo “La fede in un test rapido porta all’epidemia che non c’è” (6).
Manca un gold standard.
I test PCR utilizzati per “diagnosticare” la Covid-19 non hanno un gold standard di riferimento. Per chiarire: il gold standard per un test di gravidanza è la gravidanza stessa. Ma per COVID-19 non esiste nulla di simile. Alla domanda “Quanto è accurato l’attuale test PCR per far diagnosi di infezione da SARS-CoV-2?”, lo specialista in malattie infettive Sanjaya Senanayake ha risposto: “Se si propone un nuovo test per individuare lo Staphylococcus aureus nel sangue, lo valutiamo a confronto con il gold standard che usiamo da decenni: le colture ematiche. Ma per COVID-19 non abbiamo gold standard” (7).
Infatti solo un virus identificato mediante isolamento, purificazione completa e coltura può fungere da gold standard, ma nessuno ha mai isolato, purificato né coltivato SARS-CoV-2.
Jessica C. Watson dell’Università di Bristol (UK), nel suo articolo “Interpreting a COVID-19 test result”, recentemente pubblicato sul BMJ, scrive che “manca un chiaro gold standard”. Poi, la Watson sostiene che, “pragmaticamente”, il quadro clinico più la PCR positiva ” è forse il miglior gold standard disponibile” (8). Osserviamo: in mancanza di oro uno può anche accontentarsi dell’ottone, ma non dica “l’ottone è forse il miglior oro disponibile”.
La logica scientifica esclude che si possa “provare” alcunché tramite tautologie, ma costituisce una chiara tautologia affermare che i test PCR possono far parte di un gold standard da utilizzare per valutare i test PCR stessi. D’altra parte, non esistono sintomi patognomonici, cioè inconfondibili, di COVID-19, come ci è stato confermato anche da Thomas Löscher, medico “ortodosso” già direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’Università di Monaco di Baviera (9). E se non esistono sintomi inequivocabili per ciò che viene definito COVID-19, la diagnosi esclusivamente clinica di COVID-19 non può servire come gold standard per i test PCR.
Abbiamo perciò chiesto alla Watson come mai ha scritto che la diagnosi di COVID-19 “è forse il miglior gold standard disponibile”. Purtroppo non abbiamo avuto risposta, nonostante ripetute richieste fatte sia direttamente che tramite Rapid-Response sul sito web del BMJ (10).
Nessuna prova che l’RNA sia di origine virale
Che cosa è necessario per identificare un virus a RNA? Dobbiamo sapere da dove proviene l’RNA che troviamo coi test PCR. Sia libri di testo classici (ad es. White/Fenner. Medical Virology, 1986, p. 9) che i maggiori virologi come Luc Montagnier o Dominic Dwyer affermano che la completa purificazione delle particelle virali è prerequisito essenziale per provare l’esistenza di un virus (11). “Purificare” significa separare un oggetto da tutto ciò che non gli appartiene. Ora, va ricordato che la PCR è estremamente sensibile, cioè può “captare” anche le più brevi sequenze di DNA o RNA, ma non permette di capire se quelle sequenze siano frammenti sparsi o facciano parte di un microorganismo intero, che deve essere in un processo separato. Per questo motivo abbiamo chiesto se le immagini al microscopio elettronico, esibite da vari Autori, mostrano virus completamente purificati. Nessuno ha risposto in maniera affermativa, eppure nessuno ha obiettato che la completa purificazione non fosse un passo necessario per accertare il rilevamento di un virus. Abbiamo ricevuto solo le risposte elencate nella tabella seguente.
Risposte alla domanda: “Le Vostre immagini al microscopio elettronico mostrano virus completamente purificati?
Studio | Autore rispondente | Risposta | Data della risposta |
Leo L. M. Poon; Malik Peiris. Emergence of a novel human coronavirus threatening human health, Nature Medicine, March 2020 | Malik Peiris | “The image is the virus budding from an infected cell. It is not purified virus.” | 12 maggio 2020 |
Myung-Guk Han et al. Identification of Coronavirus Isolated from a Patient in Korea with COVID-19, Osong Public Health and Research Perspectives, February 2020 | Myung-Guk Han | “We could not estimate the degree of purification because we do not purify and concentrate the virus cultured in cells.” | 6 maggio 2020 |
Wan Beom Park et al. Virus Isolation from the First Patient with SARS-CoV-2 in Korea, Journal of Korean Medical Science, February 24, 2020 | Wan Beom Park | “We did not obtain an electron micrograph showing the degree of purification.” | 19 marzo 2020 |
Na Zhu et al., A Novel Coronavirus from Patients with Pneumonia in China, 2019, New England Journal of Medicine, February 20, 2020 | Wenjie Tan | “[We show] an image of sedimented virus particles, not purified ones.” | 19 marzo 2020 |
Se gli autori di questi studi ammettono che le immagini da loro pubblicate non mostrano particelle completamente purificate, allora non possono affermare che l’RNA da loro trovato mediante PCR appartenga a quelle particelle virali.
Nel 2001, Science pubblicò un “appassionato appello di esperti virologi (tra cui Calisher) alle giovani generazioni”. La sostanza di quell’ appello: “I metodi moderni per individuare i virus, come le PCR troppo spinte… dicono poco o nulla su come un virus si riproduce, quali animali lo ospitano, o come causa malattie… È come voler dire che una persona ha l’alito cattivo esaminando le sue impronte digitali” (12).
Abbiamo chiesto a Calisher se è a conoscenza di studi in cui SARS-CoV-2 sia stato isolato e completamente purificato. La sua risposta: “Non conosco nessuno studio del genere. Eppure l’ho cercato” (13).
I Centers For Disease Control And Prevention (CDC) statunitensi ammettono chiaramente di non avere a disposizione un virus isolato e il relativo genoma (14).
Conclusione: l’idea che le sequenze di RNA su cui sono stati “calibrati” i test SARS-CoV-2 RT-PCR appartengano ad un nuovo virus patogeno chiamato SARS-CoV-2 non è supportata dai criteri scientifici vigenti.
Nessuna prova che SARS-COV-2 causi Covid-19
Anche volendo ignorare il prerequisito della purificazione, non è stata fornita alcuna prova scientifica che le particelle chiamate SARS-CoV-2 siano gli agenti causali della nuova malattia chiamata COVID-19.
Per poter dimostrare tale legame occorre soddisfare i quattro postulati di Koch, ma questo non è mai stato fatto (15) o, quando fatto, ha fallito come lo studio pubblicato su “Nature” il 7 maggio (16), che non soddisfa nessuno dei quattro postulati.
Non sorprende quindi che nessuno dei principali rappresentanti della teoria ufficiale della COVID-19 in Germania (Istituto Robert Koch – RKI; Alexander S. Kekulé, Università di Halle; Hartmut Hengel e Ralf Bartenschlager della Deutsche Gesellschaft für Virologie; Thomas Löscher; Ulrich Dirnagl della Charité di Berlino; Georg Bornkamm, virologo e professore emerito del Helmholtz-Zentrum di Monaco di Baviera) abbia potuto rispondere alla seguente domanda: “Se un virus nuovo, chiamato SARS-CoV-2, non è mai stato completamente purificato, come si può essere sicuri che determinate sequenze di RNA appartengano esclusivamente a codesto nuovo virus?”.
Va anche considerato che sostanze come gli antibiotici, normalmente aggiunti alle colture cellulari negli studi in vitro per individuare i virus, possono “stressare” le colture cellulari al punto da evocare nuove sequenze di geni precedentemente inesistenti (17). Su questo aspetto Barbara McClintock richiamò l’attenzione nella sua lettura magistrale per il conferimento del premio Nobel 1983 (18).
La PCR da sola trova tutto e il contrario di tutto
L’autorità sanitaria della provincia cinese del Guangdong, già a febbraio 2020, riferì che persone malate e risultate positive, dopo essersi completamente ristabilite dai sintomi della malattia, sono risultate dapprima negative ma poi di nuovo positive (19, 20). Un mese dopo, uno studio pubblicato sul Journal of Medical Virology ha mostrato che in un ospedale di Wuhan 29 pazienti su 610 avevano da tre a sei risultati di test che variavano tra negativo, positivo e dubbio (21). In uno studio di Singapore sono stati testati quasi quotidianamente 18 pazienti. Si è constatato che per la maggioranza dei pazienti i risultati dei test sono passati da positivo a negativo e di nuovo a positivo almeno una volta; in diversi pazienti più volte; in uno dei pazienti fino a quattro volte (22). Wang Chen, presidente dell’Accademia cinese delle scienze mediche, ha ammesso a febbraio che i test PCR sono “accurati solo dal 30 al 50%”, mentre Sin Hang Lee, del Laboratorio di diagnostica molecolare di Milford, in una lettera al Coronavirus-Response-Team dell’OMS e ad Anthony S. Fauci, l'”eminenza grigia” della virologia statunitense, afferma: “è stato ampiamente riportato dai social media che i kit RT-qPCR utilizzati per rilevare l’RNA SARS-CoV-2 in campioni umani producono molti risultati falsi positivi e non sono abbastanza sensibili per rilevare alcuni casi veramente positivi” (23).
Anche un test quasi infallibile può naufragare a causa del PPV
Nella pratica clinica si accettano test che abbiano una specificità notevole, prossima al 99%. La specificità è la capacità di un test di escludere i falsi positivi. Se un test ha una specificità del 95%, significa che nel 5% dei casi risulterà falsamente positivo. Ma non basta: qualunque sia la specificità del test, il numero assoluto di falsi positivi varia enormemente se la variabile ricercata è molto diffusa oppure rara nel gruppo studiato, perciò bisogna sempre associare il Valore Predittivo Positivo (PPV) il quale calcola la probabilità statistica che una persona con un risultato positivo al test sia realmente infettata: minore è la prevalenza (diffusione) dell’infezione, minore è il PPV del test.
Ora, anche ammettendo che i test PCR possano diagnosticare un’infezione da cosiddetto SARS-CoV-2, essi provocherebbero solo un infondato panico se quel virus non fosse estremamente contagioso e non causasse malattia grave o mortale nella maggior parte dei casi.
L’ortodossa rivista Deutsches Ärzteblatt il 12 giugno 2020 ha pubblicato un articolo in cui il PPV è stato calcolato utilizzando tre diversi scenari di prevalenza (24). Anche accettando una “favolosa” specificità del 95%, vi si conclude che i test SARS-CoV-2 RT-PCR possono avere un PPV “spaventosamente basso”. Nello scenario in cui si ipotizza una prevalenza del 3%, il PPV è appena del 30%, cioè non meno del 70% dei risultati “positivi” sarebbero falsi positivi. Nello scenario in cui si ipotizza una prevalenza di infezione del 20%, il PPV è del 78%, il che significa che il 22 per cento dei test positivi sarebbero falsi positivi. Cioè: dei circa 20 milioni di persone attualmente considerate “positive” a livello mondiale, almeno 4,4 milioni sarebbero falsi positivi.
continua